L’album dell’amore tra Napoli e Diego Maradona

Il libro La foto con Dios, di Carlo Rainone, racconta un legame fortissimo attraverso degli scatti d'epoca e delle storie incredibili.

Da bambino, quando abitavo in un quartiere della periferia orientale di Napoli, andavo a tagliare i capelli da Eduardo, lo stesso barbiere che mio padre ha frequentato per quarant’anni. Appese al muro del negozio di Eduardo, sopra la fascia di di piastrelle porcellanate bianche e verdi, c’erano le foto di suo figlio Marco: era un aspirante calciatore iscritto della Scuola Calcio “Maradona-Bruscolotti”, aperta per l’appunto da Diego Maradona e Giuseppe Bruscolotti quando erano compagni di squadra nel Napoli, nella seconda metà degli anni Ottanta. Alcune di queste foto erano davvero grandi, ricordo che ce n’era una gigantesca con Fernando De Napoli e Antônio Careca, altri due giocatori del Napoli che vinceva gli scudetti e la Coppa UEFA. E poi c’era anche quella con Maradona, solo che era molto più piccola, quindi inevitabilmente nascosta rispetto alle altre. Ogni volta che entravo nel negozio, avevo sette-otto anni, dentro di me mi chiedevo perché Eduardo avesse ingrandito altre foto e non quella in cui c’era Maradona. Avrei potuto chiederlo direttamente a Eduardo, ma ero troppo timido per farlo. Ora Eduardo e il suo negozio non ci sono più, quindi il mio dubbio resterà inevaso per sempre.

Chi è è cresciuto a Napoli dopo l’addio di Maradona ha provato un profondo sentimento di invidia per chi ha vissuto gli anni tra il 1984 e il 1991. Posso dirlo con una certa cognizione, faccio parte di quella generazione di invidiosi. E in fondo la domanda che mi sono posto per tanto tempo, quella sulla foto piccola di Maradona nel negozio di Eduardo, non era altro che una manifestazione a ranghi ridotti del mio risentimento per lui, per suo figlio Marco, per tutti gli Eduardo e i Marco che hanno potuto incontrare Maradona o semplicemente esserci in quel periodo: se l’avessi avuta io, una foto insieme a Maradona, avrei insistito perché mio padre ne facesse un poster. Mio padre, per tutta risposta, ne avrebbe fatti stampare tre. Per sicurezza.

Due Maradona (uno è sulla torta) e un ristoratore

Sono sicuro che questa invidia sia – uso il congiuntivo presente perché è un sentimento che esiste ancora, eccome se esiste – trasversale e vada oltre la passione per il Napoli, sono certo che sia un fatto storico, culturale, antropologico: tantissimi tifosi di altre squadre che vivevano a Napoli ai tempi di Maradona, o che l’hanno visitata in quegli anni, raccontano ancora oggi di quanto la città fosse poverissima eppure viva, ottimista oltre i limiti dell’entusiasmo, felicemente impegnata nella venerazione perpetua del suo campione/figlio adottivo – ma anche nello sfruttamento intensivo del suo volto, ci mancherebbe altro – e nell’immaginarsi grande, ricca, vincente, così come era diventato il Napoli grazie a Maradona. Era una sorta di incantesimo, era un’enorme illusione collettiva e mi sarebbe piaciuto vederla, viverla dall’interno. Lo dico nonostante il senno di poi, nonostante il passaggio di Maradona non abbia cancellato i problemi socioeconomici della città e non abbia portato a nulla di concreto oltre i trofei finiti nella bacheca del Napoli, un po’ come sarebbe successo con l’effimero Rinascimento Napoletano targato Antonio Bassolino. Va detto, però, che quella stagione politica viene subito dopo l’era-Maradona. E questo non può essere considerato un caso, perché non lo è.

Ho pensato a tutto questo – a Eduardo, a suo figlio Marco che non ho mai visto di persona, all’invidia della mia generazione e di quelle successive, a Bassolino – sfogliando La foto con Dios di Carlo Rainone (2023, ed. il Saggiatore), un libro che esce oggi e che in realtà è un album di foto di Maradona durante i suoi anni al Napoli. La verità è che Maradona, per quanto sia onnipresente e certamente ingombrante, è solo una parte del racconto costruito da Rainone. La sua presenza in tutti gli scatti si potrebbe equiparare a un MacGuffin tarantiniano, è l’elemento che tiene insieme il tutto ma non riempie la trama, visto che i veri protagonisti sono gli altri, sono le persone che si sono fatte scattare delle foto con Diego – tutti i napoletani lo chiamavano così, in maniera colloquiale, familiare, e continuano a farlo ancora oggi.

Queste persone che popolano il libro, però, non sono giocatori del Napoli o altri professionisti del calcio: si tratta di gente comune o poco più che comune, si tratta di proprietari di negozi e di caseifici, di titolari di fabbriche e di ristoranti, di collaboratrici domestiche, concessionari di automobili, tifosi dei gruppi organizzati, di tate, poliziotti, arredatori, fan giapponesi, inservienti dello stadio San Paolo o di altri stadi italiani. E poi di tantissimi bambini o ragazzini che non avevano ancora una professione. Alcuni di loro non erano nemmeno tifosi del Napoli.

La foto di una partita di beneficenza ad Acerra (tra poco ne parleremo)

Sotto ogni foto c’è una didascalia che spiega come come quello scatto è stato ottenuto. Ed è proprio questa la vera trama del libro di Rainone: in quelle immagini e nei testini che le accompagnano ci sono Napoli e la Campania che inseguono Maradona e alla fine lo raggiungono, ci sono uomini adulti che hanno messo a punto strategie fantasiose e macchinazioni complicatissime, come le fan adolescenti dei Beatles negli anni Sessanta, pur di farsi immortalare accanto a Maradona, magari per riuscirci hanno coinvolto un loro parente lontanissimo, un conoscente con cui hanno scambiato due parole in croce, un amico di un amico mai visto prima. Oppure un figlio o un nipotino per intenerire gli eventuali ostacoli umani alla riuscita del piano.

Alcuni racconti hanno dell’incredibile: c’è quello di un bambino battezzato quando aveva due anni – quando di solito a Napoli il primo sacramento della chiesa cattolica viene somministrato da neonati – perché così Maradona avrebbe potuto fargli da padrino, nel senso che i genitori hanno preferito aspettare una data in cui Maradona potesse presenziare alla funzione, solo che parliamo di Maradona e quindi questo bambino nel frattempo era cresciuto ed era evidentemente troppo grosso per stare in grembo a un adulto; c’è la storia di una ragazza che per anni ha cercato di incontrare Maradona in tutti i modi e alla fine è stata invitata, a sorpresa, a una festa in cui c’era anche lui, e nei suoi occhi si vedono felicità e smarrimento in dosi simili; ci sono degli scatti di una partita amichevole giocata ad Acerra, una cittadina nella provincia settentrionale della città, per finanziare l’intervento chirurgico di un bambino affetto da labbro leporino, e pur di partecipare Maradona versò personalmente i 12 milioni di premio assicurativo che lo avrebbero protetto in caso di infortuni.

Insomma, le immagini che compongono La foto con Dios non sono solo semplici foto private scattate – tirate, si diceva a Napoli – con le macchine fotografiche portatili acquistate nei negozi del Vomero o del Rettifilo, nel mercato di Forcella o nei primi centri commerciali: nella sua ricerca, durata per anni su diverse piattaforme, Rainone ha raccolto e documentato e raccontato dei veri e propri atti di attesa e di fede, quindi degli atti d’amore. Un amore non completamente disinteressato, visto che Maradona restituiva qualcosa di tangibile e che sarebbe rimasto, vale a dire la sua presenza in una fotografia. Ma la purezza del sentimento, in certi casi, si misura come nei film di supereroi, vale a dire attraverso le prove da superare per raggiungere l’obiettivo finale. Prove non facili, questo va detto. Anche perché temporalmente siamo negli anni Ottanta, non proprio l’epoca dei pionieri, e quindi il calcio era già un’industria miliardaria, i calciatori – e Maradona più di chiunque altro – cominciavano a essere dei brand di intrattenimento in carne e ossa, stava diventando sempre più difficile avvicinarli e averci a che fare, le società avevano tutto l’interesse a proteggerli, a tenerli nascosti, a isolarli dal resto del mondo. E invece Maradona, basta guardare le foto scovate da Rainone, sembra sempre a suo agio, in poche immagini dà l’impressione di essere infastidito o coinvolto forzatamente in un incontro, in un evento, è evidentemente felice di essere l’idolo di quelle persone e non vuole deluderne nemmeno una, anche se potrebbe rifiutarsi, anche se dovrebbe rifiutarsi, in alcuni casi, di farsi fotografare.

Difficile non concordare con questa dedica di Maradona

Quello che resta, dopo aver sfogliato e letto La foto con Diosè una profonda sensazione di amore reciproco. Come se quello tra Maradona e Napoli fosse un matrimonio vero, non solo di convenienza. Come se Maradona amasse i napoletani di un amore assimilabile a quello – purissimo, enorme, sconfinato nello spazio e nel tempo, come ho raccontato dopo la sua morte – che i napoletani provavano e provano ancora per lui. Questo non per sminuire i grandi legami del calcio contemporaneo (penso a Messi-Barcellona, Modric-Madrid, Zanetti-Inter e così via), non vuol dire che siano meno profondi, meno significativi. È solo che hanno avuto meno opportunità per manifestarsi, sono ideali più che reali, sono virtuali più che fisici. Sono elitisti e filtrati, esattamente come il calcio di oggi.

Insomma è difficile pensare che Cristiano Ronaldo o anche Osimhen possano apporre la stessa dedica che Maradona ha apposto sulla foto che vedete in apertura e appena sopra, una dedica in cui uno dei calciatori più forti di tutti i tempi immagina e anticipa tranquillamente il suo addio al Napoli parlando di mozzarella, in cui il Maradona-uomo si mette a nudo con una frase semplice e genuina, esattamente come vorrei fare io con i miei vecchi amici del mio quartiere, con mia madre, con Eduardo il barbiere, con delle persone a cui ho voluto bene per davvero, per un istante, per qualche tempo oppure per sempre.

Le foto che vedete in questa pagina sono tratte dal libro La foto con Dios, per gentile concessione dell’editore Il Saggiatore