All’Atlético Madrid spariscono i giocatori

Lemar, João Félix, De Paul e tanti altri: tantissimi talenti approdati alla corte di Simeone finiscono per essere inghiottiti dalla tattica e dalla retorica colchonera.

Quest’estate Madrid è uno dei grandi poli attrattivi del calcio mercato. C’è già stato il trasferimento di Jude Bellingham al Real Madrid e non passa giorno in cui non si parli di Kylian Mbappé. Ma le voci più interessanti paradossalmente sono quelle che circolano di meno: si sta parlando pochissimo di João Félix, non ci sono rumors, non c’è una lunga fila di direttori sportivi che chiedono ai Colchoneros l’attaccante portoghese. Eppure si tratta di un talento pregiato e di un ragazzo di soli 23 anni in rotta con il club che ne detiene il cartellino. Per assurdo, l’unica notizia interessante sul tema l’ha data il diretto interessato, dicendo di sognare di giocare per il Barcellona: una dichiarazione così fuori luogo e lontana dal registro e dalle regole non scritte del calciomercato che sembra provenire da un altro pianeta o da un’altra epoca. Intanto nelle partite di allenamento, Félix gioca ormai con le riserve, la formazione che include i nuovi acquisti da inserire gradualmente nei meccanismi di squadra. Ci sono Azpilicueta, Javi Galán, Santiago Mouriño, Caglar Söyüncü. Quattro difensori arrivati a Madrid in momenti molto diversi della loro carriera – Azpilicueta è a fine corsa, Mouriño ha appena iniziato, Söyüncü deve riscattare una pessima stagione – che dalla loro esperienza con l’Atleti si aspettano certamente un percorso molto diverso da quello di João Félix.

L’assenza di attenzione mediatica e sportiva su João Félix sembra solo la riproposizione – con nuove proporzioni, dovute al talento e all’hype che il portoghese aveva generato a inizio carriera – di un appiattimento che riguarda moltissimi giocatori sbarcati all’Atlético Madrid e spariti dal discorso pubblico nonostante siano in una grande città europea, in una delle squadre che, risultati alla mano, ha fatto meglio nell’ultimo decennio in Spagna e in Europa. È successo a – e con – Thomas Lemar, Stefan Savic, Renan Lodi e Ángel Correa, uno che dopo anni da protagonista, la scorsa stagione è stato il quattordicesimo per minutaggio della rosa. E ovviamente vale ancora di più per quei giocatori che sono arrivati all’Atleti da comprimari, quindi Geoffrey Kondogbia, Sime Vrsaljko, Axel Witsel. Ecco altri esempi: qualcuno ricorda il passaggio di Lucas Torreira ai Colchoneros? Esatto, non lo ricorda nessuno. E chi sa quanti gol ha segnato Rodrigo de Paul nella scorsa stagione? Sempre nessuno. Lo stesso Marcos Llorente è arrivato all’Atlético dal Real Madrid, lui che ha un albero genealogico madrileno e madirdista, si è trasferito nell’altra squadra della città per dimostrare di poter stare a certi livelli: l’hype è durato meno di due anni, uno di ambientamento, uno di consacrazione con 12 gol e 11 assist in Liga. Poi il vuoto, due stagioni che oscillano in una scala di grigi.

Questa storia dell’appiattimento si riflette anche nei valori di mercato. Il caso di Lemar è il più eclatante: quando è arrivato a Madrid dal Monaco più brillante dell’epoca recente aveva un valore di mercato di 70 milioni di euro, da lì però è stata una discesa verso il basso, oggi ha 27 anni e il suo valore è di poco più di 20 milioni (secondo Transfermarkt). Mario Hermoso è tornato a Madrid (è cresciuto nel Castilla) nel suo prime e forse il suo impatto è stato anche sottovalutato, ma per qualche ragione da gennaio 2021 a oggi il suo valore di mercato è sceso da 35 a 20 milioni, cioè meno di quanti ne valesse prima di lasciare l’Espanyol nel 2019. È ingeneroso insistere ancora su João Félix, ma oggi vale la metà di quando ha lasciato il Benfica, eppure dovrebbe avvicinarsi adesso agli anni migliori della carriera, dal momento che a novembre compirà 24 anni.

Gli esempi citati fin qui sono pochi, non bastano a definire una verità scientifica. È chiaro che l’Atlético Madrid non è un buco nero che inghiotte talenti per non risputarli più. Anzi, negli ultimi undici anni ha incassato circa un miliardo di euro dai trasferimenti, dimostrando quindi di poter e saper generare valore. E va aggiunto che ogni giocatore fa storia a sé, che ogni giocatore preso dall’Atlético Madrid porta con sé il suo vissuto, la sua personalità e le sue capacità tecniche, atletiche, calcistiche nel senso più ampio del termine, e che quindi ognuno finirà per incastrarsi più o meno bene con la squadra, i compagni, la dirigenza e soprattutto con l’uomo che dal 2012 determina tutto traccia il percorso del club – Diego Pablo Simeone. Trovare una connessione proprio con l’allenatore da questo lato del Manzanarre è ancora più importante che altrove. Nella squadra del Cholo la personalità, l’unicità, l’originalità di quasi tutti i giocatori viene appiattita, mescolata nell’amalgama della squadra, del gruppo, del collettivo. Ai Colchoneros si sopravvive come sull’Olandese Volante di Davy Jones, bisogna essere parte della ciurma, parte della nave. Altrimenti meglio scendere prima che sia troppo tardi. Lo stesso Simeone ha ripetuto più volte che «comunione, gruppo, lavoro, rifiuto del compromesso» sono concetti chiave del suo modello tattico, gestionale, emotivo.

Per come Simeone vive il calcio e la vita – due insiemi che si sovrappongono quasi del tutto – questo è l’unico modo possibile per stare all’Atlético Madrid. Un metodo estremo che ha portato risultati ottimi: il decennio abbondante con il Cholo alla guida è il miglior periodo della storia del club, l’allenatore è diventato un uomo simbolo per la tifoseria perché vive il gioco esattamente come chi va sugli spalti al Wanda Metropolitano, con lo stesso attaccamento viscerale al club. In cambio, ai suoi giocatori il Cholo chiede un sacrificio, una condivisione di questa visione fino a farsi tutt’uno con la squadra. Chi ci riesce, di solito, trova la sua consacrazione: Griezmann è esploso alla Real Sociedad, a Madrid era diventato uno dei giocatori più forti del mondo, a Barcellona si è un po’ perso, poi  tornato dov’era stato meglio e la scorsa stagione è stato uno dei migliori in Europa, si è messo sulle spalle l’Atlético Madrid ancora una volta e lo ha reso una squadra più forte di quanto non fosse, dimostrando che in fondo aveva solo bisogno di indossare la maglia biancorossa per riavere i superpoteri di Grizou.

È il momento di rivelarvi quanti gol ha segnato De Paul nelle sue due stagioni a a Madrid: sette, in 86 presenze di tutte le competizioni (Gonzalo Arroyo Moreno/Getty Images)

Non è un caso che molti dei giocatori valorizzati e poi venduti a peso d’oro all’estero sono tornati a Madrid nella speranza di ritrovare quella connessione che avevano solo con il Cholo: Filipe Luís, Diego Costa, Yannick Ferreira-Carrasco, Saúl Ñíguez. Perché in fondo Simeone non rinuncia mai al talento, semplicemente chiede ai suoi giocatori di gestirlo, controllarlo e incanalarlo in un certo modo. A modo suo. È il motivo per cui non si trova a suo agio con il genio artistico e sinuoso di João Félix ma fa funzionare alla perfezione le intuizioni geometriche e spigolose di fantasisti più meccanici come Griezmann e Arda Turan, attaccanti come Correa o registi come Koke.

Il principio in testa è sempre lo stesso: nessuno deve essere al di sopra del collettivo, nessuno può uscire dal tracciato. Ed è il motivo per cui la maggior parte dei giocatori finisce fuori dai radar e dalle discussioni del calcio europeo una volta che entra nella macchina colchonera. «La cosa più importante che bisogna dire su questo tema», ha ripetuto Simeone parlando di João Félix, «è che nessuno di noi in questa squadra è più importante dell’Atlético Madrid. Nessuno, ma proprio nessuno, può mettersi al di sopra dell’Atlético. Quando arriviamo in questo club ne notiamo subito i valori: impegno, umiltà, rispetto. Valori che dobbiamo dimostrare giorno per giorno, fino all’ultimo». I giocatori dell’Atlético sono chiamati a mettersi in secondo piano, chi non ci riesce viene sputato fuori automaticamente dal sistema. Alcuni riescono a capirlo più di altri, ad abituarsi e maturare in un contesto di questo tipo. Lo si può fare solo con modi, tempi e condizioni dettate dall’unico vero plenipotenziario del club, che è l’uomo che sta in panchina. Chi non si adegua farebbe meglio a sparire.