Dentro le ultime tre stagioni dell’Inter si è concentrata talmente tanta potenza emotiva da poter riempire tre lustri di vita di un tifoso. Sembra che basti un filo di vento a guastare una gioia, così come una stagione destinata a morire di ordinarietà ha partorito i due mesi più intensi ed euforici dal 2010 ad oggi, quelli vissuti tra aprile e giugno 2023. All’Inter tutto cambia velocemente. Tutto, nel bene e nel male, sembra effimero. Sarà forse per questo che l’Inter è una squadra difficile da decifrare: pur essendo già molto diversa da quando ha vinto l’ultimo scudetto, ha ricordato e ricorda per certi aspetti una grande squadra a fine ciclo, che per qualche motivo non ha più la forza di imporsi sul lungo periodo e finisce per perdersi perde, anche mentalmente; ma poi, quando si alza il livello, ritorna a offrire picchi abbaglianti.
Riguardando di nuovo all’anno scorso, si potrebbe dire banalmente che gran parte del problema sono stati gli infortuni di alcuni giocatori-chiave. Gli stessi giocatori-chiave che nell’ultima parte di stagione. una volta riacquisita finalmente la miglior forma, hanno messo in ghiaccio il piazzamento-Champions con una risolutezza tale da far pensare che, con loro al top tutto l’anno, la stagione sarebbe stata diversa. In ogni caso, di fatto, la finale di Champions League ha ufficialmente chiuso un ciclo: l’Inter ha vissuto la rottura con Skriniar, Brozović e Lukaku, tre trascinatori dell’ultimo lustro, l’addio di figure di rilievo nello spogliatoio come Handanovič e D’Ambrosio, la cessione di Onana per finanziare il mercato, il mancato rinnovo di Dzeko e un profondo taglio delle seconde linee. Tutte situazioni che hanno costretto la società ad acquistare ben 12 nuovi giocatori. L’undici titolare è diverso ma non è stato stravolto: il cambiamento più profondo, probabilmente, è quello non visibile dall’esterno: uno spogliatoio nuovo, con nuovi equilibri e la necessità dei leader tecnici, allenatore compreso, di trovare nuova consapevolezza dopo Istanbul.
Dal punto di vista tattico, è appena iniziato il terzo anno con Simone Inzaghi a capo di una rivoluzione permanente. Di una transizione continua in cui la continuità della sua proposta di gioco fa da contrappunto alle cessioni e agli avvicendamenti imposti dalle esigenze economiche del club. Dall’esterno, il calciomercato dell’Inter sembra avere un piano di partenza molto deciso, orientato più sul giocatore, sulla sua caratura e sull’occasione che costituisce in rapporto alle sue condizioni d’acquisto, che su un profilo tecnico troppo rigido: sfumato infatti Lukaku, su cui la società sembrava voler investire più p meno l’intero budget, l’Inter ha cercato Balogun, una punta d’area dinamica e abile nell’attaccare spazio e profondità, poi due centravanti più strutturati nel gioco fuori area come Scamacca e Taremi, entrambi diversi sia dallo statunitense che dal belga, per poi decidere di prendere Pavard. Quando la punta non sembrava più valere la candela, si è scelto dunque di rinforzare tutt’altra zona del campo, sfruttando l’occasione di un titolare di una top europea cedibile e adatto al sistema preferito dell’allenatore.
Quest’anno, quindi, il mercato estivo ha restituito a Inzaghi una squadra priva delle sue due fonti di gioco più qualitative: Onana, il primo organizzatore del possesso, è stato sostituito da un portiere abile in uscita ma con un repertorio con la palla molto più basic come Sommer; Brozovic, maestro assoluto nel giocare marcato e superare le linee di pressione, ha definitivamente lasciato il posto in regia a Çalhanoğlu, un interprete solido e affidabile nelle due fasi come ma con meno strumenti per giocare sotto pressione. Tenendo conto che il posto del croato è stato preso da un incursore puro come Frattesi, l’Inter sembrava andare incontro a un indebolimento in fase di costruzione, l’aspetto più importante della sua identità tattica fon dai tempi di Spalletti. L’arrivo di Benjamin Pavard, il primo acquisto conteso ai club di élite dai tempi di Hakimi, potrebbe essere la chiave per ridefinire l’Inter dopo un’estate di partenze delicate: in molti hanno mostrato perplessità sulla decisione di spendere una cifra così ingente sul sostituto di Škriniar piuttosto che su una punta, ma il francese – oltre ad essere il profilo perfetto senza palla per una linea a tre che ambisce a giocare in modo aggressivo – risponde all’esigenza di aumentare il numero delle fonti di gioco, proprio per sopperire alla perdita di Onana e Brozovic
Attraverso la sicurezza con cui Pavard può avanzare palla al piede, la precisione nel cambio di gioco e nella distribuzione sul lungo e sul breve, l’Inter potrà costruire anche sulla corsia di destra, una zona del campo finora come lato debole in cui esaltare gli inserimenti e le doti fisiche di Dumfries, o al massimo per un palleggio incerto, complicato dalle modeste doti associative dell’olandese e di Darmian, e spesso risolto dagli assoli di Barella. L’acquisto di Pavard, sommato alla presenza di Cuadrado – un’arma da utilizzare nello stretto e/o nei secondi tempi – e di un esterno come Carlos Augusto, decisamente più autosufficiente di Gosens, rende l’Inter una squadra più imprevedibile sia in uscita che in rifinitura, in grado di costruire indistintamente da destra a sinistra grazie a due braccetti tecnicamente da élite europea. E persino di guadagnare soluzioni a partita in corso pescando da un pacchetto di esterni finalmente ben assortito.
Il vero prezzo dell’ex difensore del Bayern Monaco, come ammesso dallo stesso Marotta, è stato la scelta di una terza punta low cost come Marko Arnautovic, un nome decisamente meno stimolante dei vari Balogun, Taremi e Scamacca. L’austriaco, dal punto di vista del fit tecnico, è una puntata molto sensata, perché riesce a coniugare la capacità di giocare bene spalle alla porta, l’abilità nel partecipare alla manovra e la tendenza a occupare l’area ed essere pericoloso sotto porta, anche di testa. È una soluzione momentanea, molto plug and play, con l’unico grosso punto interrogativo dell’integrità fisica. Questa è senza dubbio la variabile più rischiosa su cui si gioca la stagione dell’Inter: le due alternative in attacco, Sánchez compreso, sono giocatori di età avanzata, reduci da diversi infortuni patiti nelle ultime stagioni, e l’Inter sa bene quanto sia complicato gestire il doppio impegno senza avere l’attacco al completo. In compenso, anche se è passato sotto traccia, l’arrivo di Marcus Thuram può migliorare l’Inter tanto quanto quello di Pavard.
L’attaccante francese è una figura di rottura per l’attacco dell’Inter, nel bene e nel male. Non prosegue sulla linea di tracciata da Antonio Conte, quella del doppio centravanti puro. Inoltre, con il suo recente passato, di ala non garantisce una quota potenziale di gol tale da soddisfare definitivamente il fabbisogno offensivo della squadra. Allo stesso tempo, però, Thuram colma la più grande lacuna con cui Inzaghi ha dovuto fare i conti da quando allena l’Inter: la mancanza di un profilo rapido in campo aperto e nell’attaccare la profondità. Di fatto, il tecnico non ha mai potuto beneficiare di un titolare capace di ribaltare il campo velocemente, di mettere a frutto una situazione di superiorità o parità numerica, o perlomeno non senza i difetti tecnici di Dumfries, dal quale ha spremuto ogni goccia di rapidità, talvolta accentrandolo o alzandolo sulla linea delle punte. Con Thuram, un attaccante esplosivo ma con ottima proprietà tecnica in conduzione, l’Inter ha finalmente un’arma per esplorare lo spazio alle spalle di difese alte, per ribaltare il campo velocemente e generare un vantaggio offensivo che, senza un profilo come il suo, semplicemente non esisterebbe.
Ecco su cosa si sono basati gli scout dell’Inter, per decidere di comprare Thuram
Ciò che rende Thuram un giocatore raro, però, è una sviluppatissima indole associativa, che già aveva messo in mostra partendo da sinistra al Gladbach: sceglierlo come punta dell’Inter significa scommettere che i molti pezzi interessanti del suo profilo tecnico, dal fisico strutturato alla facilità con cui scambia di prima intenzione, possano dar vita a un attaccante completissimo, in grado di sostenere anche una consistente parte di lavoro spalle alla porta – in cui resta ancora da testare – e di manovra. Dopo una manciata di partite, Inzaghi può sorridere: Thuram è già il playmaker offensivo di una squadra con una fase di possesso molto elaborata come l’Inter, oltre che un attaccante con doti fisiche ben oltre la media del campionato.
Insomma, in questo mercato appena finito l’Inter ha perso alcuni dei suoi calciatori migliori, ma allo stesso tempo ha allungato la rosa e scelto sostituti adatti alla sua proposta di gioco – persino Klaassen, pur essendo nettamente in fase calante, potrebbe essere un ottimo rincalzo. Nelle prime giornate di campionato,i nerazzurri sono sembrati una squadra in missione, come se la finale di Champions League sia stata il momento fondativo di un nuovo ciclo e abbia responsabilizzato ancor di più chi ha deciso di rimanere.
Ora Inzaghi dovrà cercare di mantenere la solidità delle prime tre gare, la fluidità delle posizioni e una qualità in fase di possesso che ricorda quella del suo primo anno di Inter: in questo senso, molto passerà dall’impatto di Pavard, dalle soluzioni che si inventerà per integrare uno specialista dell’inserimento come Frattesi in un sistema molto esigente con il pallone. Molto più banalmente, sarà importante capire se la coperta in attacco è davvero corta. Le circostanze hanno fatto sì che partissero dei fuoriclasse, che andasse a vuoto il piano di aggrapparsi nuovamente a Lukaku e che la qualità si spalmasse sulle seconde linee; non sarà quindi grazie a un uomo della provvidenza che l’Inter si giocherà le proprie carte per la seconda stella, ma lo farà nell’unico modo che conosce: con la forza del collettivo.