Una delle prime domande rivolte a Pep Guardiola dopo l’arrivo di Julián Álvarez, lo scorso anno, era sulle possibilità dell’argentino di giocare insieme a Erling Braut Haaland, visto che il suo sistema non contemplava due numeri nove. L’allenatore ha risposto che in alcuni casi sarebbe potuto succedere, a patto che non comportasse lo spostamento dell’ex centravanti del River Plate sulla linea laterale, a giocare in ampiezza. La prima stagione in Inghilterra è stata tutto sommato positiva per Álvarez, che è riuscito a ritagliarsi una trentina di presenze in Premier, di cui circa la metà da titolare, e mettere a segno 17 gol tra tutte le competizioni: seppur all’ombra gigantesca dell’attaccante più forte del mondo, ha saputo fin da subito brillare di luce propria. È bastato vederlo giocare un anno, sia nel sistema posizionale di Guardiola che in quello più libero dell’Argentina di Scaloni, con cui ha vinto il Mondiale da protagonista, per capire che il City, di centravanti generazionali, ne ha in mano due.
È difficile immaginare una squadra al mondo in cui Álvarez non sarebbe titolare, o comunque una che, vista l’età dei suoi centravanti, non ricostruirebbe il reparto su di lui. Paradossalmente, solo quella in cui si è ritrovato a giocare non ha motivi per porsi questo dubbio. Anzi, a pensarci bene il City aveva il problema opposto: trovare un modo per far coesistere due giocatori del genere ed evitare un dualismo che penalizzerebbe e sarebbe ingiusto per uno dei due. Se durante la sua prima stagione ha trovato spazio principalmente come opzione per far rifiatare Haaland o De Bruyne, quest’anno, anche a causa dell’infortunio del centrocampista belga alla prima di campionato (in cui è partito comunque dal primo minuto), ha già totalizzato cinque gol e quattro assist in otto partite tra Premier e Champions League. Di fatto, è diventato un titolare: «In questo momento sta giocando molto grazie agli infortunati che gli lasciano spazio e minuti, ma lui ci sta dando tanto, sta facendo veramente bene. Ecco perché gioca, ma deve continuare così, perché gli infortunati torneranno e rivorranno il loro posto», ha detto Guardiola, forse per stimolarlo a non adagiarsi su queste buone prestazioni.
Álvarez, che si è preso il ruolo di centravanti della Nazionale argentina al Mondiale in modo simile, sfruttando un momento di scarsa brillantezza fisica di Lautaro Martínez, si è calato alla perfezione nel sistema di Pep, senza entrare in conflitto con Haaland. Dal punto di vista tattico, il City attacca prevalentemente con un 3-2-5 in fase di possesso, con il compagno di mediana di Rodri, Matheus Nunes o Kovacic, che spesso si alza ulteriormente. Álvarez, insieme a Foden, occupa gli spazi centrali della trequarti, indifferentemente sul centrosinistra o sul centrodestra: Pep non ha dovuto creare nulla di particolarmente astruso, semplicemente gli è bastato inserire nella struttura ultra-consolidata del suo calcio un giocatore dotato di tutte le caratteristiche tecniche per interpretare al meglio le situazioni che nascono dentro il suo sistema. Questo inizio di stagione strepitoso, dunque, ancor prima della vena geniale con cui il suo allenatore è abituato a inventare soluzioni, probabilmente racconta la straordinaria completezza di mezzi tecnici dell’argentino.
In quella che è la sua nuova posizione, infatti, Julián è chiamato a usare tutto il ventaglio di soluzioni di cui dispone. Durante lo sviluppo dell’azione, molto spesso riceve palla direttamente dai piedi del vertice basso, quasi sempre spalle alla porta: come ha già dimostrato nel River Plate di Marcelo Gallardo, un sistema in cui la trasmissione veloce del pallone era fondamentale, tenere alto il ritmo del gioco è una cosa che gli riesce particolarmente bene. È a suo agio a stare sempre nel vivo del possesso del City, vista la dimestichezza nel gioco a due tocchi, ma allo stesso tempo ha tutti gli strumenti per stare sulla trequarti, come la rapidità nel girarsi nello stretto e ritrovarsi fronte alla porta. Non è un generatore continuo di uno-contro-uno, né un giocatore inafferrabile ai livelli di Phil Foden, ma sa condurre e proteggere molto bene palla, ma soprattutto sa separarsene con i tempi giusti. Non è un alieno in tutto ciò che riguarda la rifinitura come Kevin De Bruyne, ma ha un istinto per l’imbucata tutt’altro che scontato per un attaccante: contro il West Ham, con un guizzo di creatività pura che non si insegna né si impara, ha mandato in porta Bernardo Silva alzando uno scavetto alle spalle della difesa. Una giocata che, estrapolata dal suo contesto, potrebbe benissimo essere attribuita a un numero dieci di ruolo.
Un bel tocco sotto, non c’è che dire
Non è raro nemmeno vederlo cercare delle palle verticali di prima intenzione per chi può attaccare la profondità, senza pausa. Insomma, Julián Álvarez era ed è tuttora, anche ai più alti livelli del calcio europeo, un calciatore che vive di associazioni: sia che siano brevi, rapide e nel contesto di uno spartito molto strutturato a livello di posizioni come quello del Manchester City, oppure profonde, istintive, sviluppate svariando su tutto il fronte offensivo come nell’Argentina di Scaloni, il suo modo di stare in campo apporta un miglioramento tangibile al gioco della sua squadra.
Che avesse tutte le caratteristiche necessarie a calarsi ancora più in profondità in compiti di questo genere, era abbastanza prevedibile; l’aspetto meno scontato del suo inizio di stagione stabilmente tra i titolari riguarda la coesistenza con Erling Haaland, con cui lo scorso anno aveva già condiviso in alcune occasioni il reparto, ma mai così a lungo. Il norvegese, all’interno del sistema del City, ha compiti prevalentemente di finalizzazione: con il suo impatto fisico completamente fuori scala e il suo istinto feroce per il gol compensa un’incidenza abbastanza marginale sullo sviluppo della manovra, almeno quando il pallone è in mano al City – quindi quasi sempre. La pericolosità offensiva di Julián Álvarez, lavorando nell’ombra di Haaland, è determinata dalle sue letture e dal modo in cui sfrutta la sua mastodontica presenza. Contro il Fulham, ad esempio, Kocacic lancia il norvegese in profondità nel mezzo spazio di sinistra, Julián da posizione centrale legge la situazione e attacca la porta, trovandosi a poter spingere in rete il pallone messo in mezzo a memoria dal compagno di reparto. Contro la Stella Rossa, invece, Julián ha sfruttato il lavoro da perno del compagno per scattagli alle spalle, farsela ridare nei pressi dell’area piccola e segnare.
Questo video si chiama “Julián Álvarez è il numero 10 perfetto per Pep Guardiola”, ed è un titolo azzeccato
In un certo senso, i movimenti in relazione di Álvarez a Haaland sono quelli di una seconda punta, anche se confinare a questa etichetta il suo ruolo, vista la varietà dei suoi compiti nel sistema di possesso del City, sarebbe riduttivo: partecipa allo sviluppo come un interno di centrocampo, lavora palloni sulla trequarti e imbuca come un numero dieci, si muove nello spazio e finalizza da centravanti. Nella partita contro il Nottingham Forest, un’azione in particolare riassume tutte le varie possibilità che Álvarez offre al City: prima, sulla trequarti, imbuca lateralmente sulla corsa di Doku con un filtrante che ci aspetteremmo da un enganche, poi, vedendo Haaland portare con sé con un taglio sul secondo palo tre avversari, si inserisce nel vuoto lasciato sul primo, per ricevere e calciare da pochi passi. A salvare il Nottingham Forest è un difensore che riesce a rientrare appena in tempo per schermargli il tiro, ma situazioni di questo tipo rimangono una costante del sistema offensivo del City, tanto con Gündoğan lo scorso anno che con lui e Foden ora.
Come Guardiola deciderà di ridisegnare la sua creatura quando tornerà disponibile un elemento imprescindibile come Kevin De Bruyne ce lo dirà solo il tempo, ma per il momento Pep ha avuto un’ulteriore conferma di quanto Julián Álvarez sia un giocatore speciale, perfetto per competere nel suo calcio e ai massimi livelli.