Con Larry Deadstock, le sneaker non hanno più segreti

1000 Sneakers Deadstock, pubblicato da L'ippocampo Edizioni, è la nuova bibbia per orientarsi tra modelli, collaborazioni, sport e cultura.
di Redazione Undici
13 Ottobre 2023

Da quando c’è sport, c’è equipaggiamento. Ogni disciplina ha il suo strumento privilegiato – i guantoni dei portieri, le racchette dei tennisti, le mazze da baseball e così via. Ma poi ci sono una serie di cose comuni a tutti gli atleti, di ogni epoca e sport – cosa c’è di più “unitario”, se non gli scarpini? Ogni sport, chiaramente, ha le sue caratteristiche ben precise, ma nel tempo la scarpa sportiva è diventata elemento culturale, portando quelle che oggi chiamiamo abitualmente sneaker a essere parte integrante del nostro lifestyle. Jordan utilizzava le scarpe che portavano il suo nome in campo, e noi oggi le vediamo indossate sotto un paio di jeans; Agassi aveva le sue appositamente preparate per le superfici tennistiche, e oggi sono ricreate in collaborazioni con marchi di streetwear; e cosa dire dei famosi e longevi modelli da running, che riteniamo “sprecati” se utilizzati solo per l’allenamento.

Per cogliere le trasformazioni in questo senso, il volume definitivo è 1000 Sneakers Deadstock. La collezione ideale di Larry Deadstock, edito da L’ippocampo Edizioni: un lungo e completissimo viaggio sui modelli di sneaker più famosi di sempre. Una vera e propria bibbia: ci sono informazioni, sviluppi storici, interviste, materiale fotografico delle varie epoche, e un immenso archivio per orientarsi nella storia dei vari modelli, tra edizioni limitate, collaborazioni e diverse colorway. A curare il volume, Larry Deadstock, alias di un reseller francese di fama internazionale, che arricchisce la narrazione con aneddoti di vita privata, tra ricordi ed esperienze legate ai vari modelli presenti nel volume. Con lui, abbiamo ripercorso il modo in cui le sneaker diventano cultura, concentrandoci sugli aspetti più significativi del presente.

Ⓤ Com’è nata la passione per le sneaker?

Sono nato nel 1979 in zona parigina. Ho dunque avuto la possibilità di vivere gli esordi dell’hip hop e di osservare in tempo reale, con sguardo di bambino, l’evoluzione degli sportivi divenuti leggende come Michael Jordan e André Agassi. I miei eroi, a quei tempi, erano quindi questi rapper e atleti rinomati, con un punto in comune: indossavano delle sneaker favolose e volevo assomigliare a loro. Da adolescente, agli inizi degli anni ’90, avevo pochi mezzi a disposizione. Mi sono quindi messo a “scavare”, a scovare dei buoni affari e mi sono sentito fiero quando ho potuto trovare il paio di sneaker con il quale differenziarmi e affermarmi. La conquista del Graal e delle chicche nascoste mi ha sempre eccitato. È l’avventura e la storia dietro a un paio a emozionarmi, più che la scarpe stesse.

Ⓤ Spesso sentiamo parlare di modelli di culto – quando una sneaker lo diventa?

Il motivo per cui un paio di sneaker diventa iconico riguarda il suo posizionamento storico nel tempo, il modo in cui segna un’epoca e diviene atemporale. È un po’ come nella musica: ci sono delle hit che riscuotono un enorme successo ma che vengono dimenticate in breve tempo, e poi ci sono i classici che tutto il mondo conosce e che attraversano più generazioni. Il design e la tecnologia possono avere il loro peso, ma solamente nei modelli con i colori originali (come la Jordan 1 Chicago del 1985, bianca e rossa). È anche grazie alle sneaker che gli sportivi hanno potuto acquisire fascino, battere dei record e performare al massimo.

Ⓤ Dallo sport a diventare parte di una cultura, per le sneaker il passo è stato breve.

Non c’è nessun campo che possa mettere al centro le sneaker come lo sport. Ai piedi dei grandi sportivi, sono il simbolo della performance, del nuovo e del successo. Presto hanno lasciato i campi da gioco per trovarsi anche sulle strade. I brand hanno visto presto il potenziale di scegliere degli atleti importanti come ambassador e hanno creato campagne pubblicitarie che, ancora oggi, rimangono radicate nell’immaginario collettivo anche dopo trent’anni.

Ⓤ A proposito di immaginario collettivo: quali sono i modelli che più hanno contribuito a formarlo?

La numero 1 sul podio è, per me, la Jordan 1. È la silhouette che ha fatto da pioniera e che ha trasformato una semplice scarpa sportiva in una sneaker iconica. A quarant’anni dall’uscita, resta sempre attuale e di tendenza. L’Air Max 1 ha poi fatto scuola grazie alla bolla d’aria visibile (che si ispira al Centre Pompidou di Parigi). Tanti modelli si sono ispirati a lei.

Ⓤ Dai tuoi inizi in questo mondo a oggi, quali sono stati i cambiamenti più sostanziali?

Il più grosso cambiamento, per me, è stato l’esplosione del resell che ha debuttato nel 2012. All’epoca a Parigi eravamo solo un piccolo gruppo di appassionati. Tutti si conoscevano e potevo benissimo definire quel periodo “l’epoca d’oro delle sneaker”.
Poi i brand hanno iniziato a intensificare il numero di uscite al mese e i social hanno infiammato questo fenomeno. Prima ci potevano essere 50 persone in coda davanti alle porte di un negozio in occasione di una nuova uscita. Oggi si passa tranquillamente a oltre 500 astanti… è diventato tutto molto più ingestibile. I negozi si sono messi a vendere solo tirando a sorte e i grandi marketplace si sono specializzati sul mercato della rivendita. Tutto questo ha contribuito a far perdere un po’ di fascino all’esperienza d’acquisto e di scoperta.

Immagini di Charles Michalet
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