Probabilmente, quando pensate ad Atene, il calcio non è la prima cosa che vi viene in mente. Certo: non mancano le squadre storiche, come l’Aek o il Panathinaikos, più l’Olympiacos che ha sede nella vicina Pireo. Ma l’élite continentale è decisamente da un’altra parte. E anche il trionfo, completamente inatteso, della Grecia agli Europei 2004 è ormai un ricordo ingiallito, appartenente a un’altra epoca. Ted Philipakos non ha però avuto dubbi che Atene sarebbe stata la sua nuova sfida. Primo, perché è casa sua. Secondo, perché dopo gli anni come brand director del Venezia, Atene sembra il posto giusto per proseguire su quella strada.
Così, dal 2021, Ted e suo fratello Peter, che è stato un calciatore professionista in Grecia, hanno preso il controllo dell’Athens Kallithea FC. La squadra oggi gioca in seconda divisione greca, ma è solo l’inizio: «C’è molto da fare: la priorità è vincere le partite», dice Philipakos, che come primo step di crescita ha in mente la promozione nella prima divisione. «Lo scorso anno abbiamo mancato la promozione per un solo punto. Nelle nostre due stagioni in seconda divisione siamo arrivati secondi in entrambi gli anni, ci siamo andati molto vicini. L’ultima volta del club nella massima serie è stato 17 anni fa. Quando siamo arrivati abbiamo cominciato davvero da zero. C’erano appena due giocatori sotto contratto e un solo impiegato in società. E poi dovevamo ricostruire il rapporto con il pubblico, riallacciando il legame con i tifosi più vecchi e suscitando curiosità e attenzione nelle persone più giovani. È un processo di ricostruzione: Kallithea ha un sacco di potenziale, è in una zona centrale, lo stadio è a due chilometri dall’Acropoli, ha una comunità di centomila persone».
Sui social e altrove avrete già visto le maglie del club, disegnate da Bureau Borsche e rappresentate su sfondi esteticamente appaganti, che ci fanno tornare in mente le vacanze in Grecia, le casette dalle facciate bianche e i tavolini fuori con le tovaglie a quadrettoni. Il biglietto da visita internazionale dell’Athens Kallithea, un club con una riconoscibilità quasi nulla al di fuori della Grecia, un boost di popolarità che dimostra – come già abbiamo visto con il Venezia – che si può creare interesse attorno a un club di calcio anche se non ti chiami Manchester City o se non hai in squadra Leo Messi.
«Sono cresciuto a New York», racconta Philipakos, «e tenevo per il Panathinaikos, la squadra di mio padre. Ricordo il Panathinaikos che arrivava ai quarti di Champions, che batteva il Barcellona. È il calcio che ricordo e con cui sono cresciuto. Oggi il calcio europeo è profondamente cambiato. Molta gente dice di essere contro il calcio moderno. Lo sono anch’io, e il motivo principale è il modo in cui è organizzato: disparità economiche senza precedenti, con alcuni Paesi, come la Grecia appunto, che sono naufragati dal punto di vista competitivo. Per me il calcio è un bene comune, e quando è organizzato nel modo giusto tutta la comunità ne può beneficiare. Probabilmente è qualcosa che è più facile cambiare ad altissimi livelli, ma da qualche parte bisogna pur partire: noi siamo un club piccolo, ma possiamo avere una voce, e innescare un cambiamento».
Da dove si parte? «Cercando di far capire a tifosi e appassionati la nostra visione e fare in modo che ci credano fortemente», sottolinea Philipakos. «Perché, quando lo fanno, inizi a vedere quelle piccole trasformazioni. All’inizio è difficile proporre qualcosa di completamente nuovo, di innovativo, ed è questa la sfida più difficile: rompere gli stereotipi calcistici a cui la gente è abituata. Questa è una parte molto importante di quello che facciamo con l’Athens Kallithea: il modo in cui ci presentiamo, come ci posizioniamo, è la chiave per cancellare gli stereotipi, annullare i preconcetti. Per esempio, la nostra recente partnership con l’EMST, il Museo Nazionale di Arte Contemporanea di Atene (che compare anche sulle maglie da gioco, nda), è qualcosa di completamente inedito per il calcio greco. È qualcosa che porta la gente a chiedersi: ma cosa succede?».
«È questo l’effetto che vogliamo scatenare», conclude Philipakos. «Perché più le persone avranno una mentalità aperta quando si parla di calcio, più si avvicineranno al nostro club, ai nostri valori. Siamo ossessionati dai risultati in campo, ma il calcio non è solo una questione di vittorie e punti. Il motivo per cui abbiamo rilevato questo club, quello che ci guida ogni giorno, è la volontà di creare una community, di stabilire un legame forte tra il nostro club di calcio e la gente».