Nessuno buca i social come i tifosi del Cosenza

Le interviste raccolte fuori allo stadio "San Vito-Marulla", raccolti da Lupi si Nasce, sono dei contenuti perfetti per la nostra epoca.

Da qualche mese ho sviluppato una strana dipendenza: sono totalmente asservito ai reel pubblicati dall’account TikTok Lupi si nasce, uno spazio digitale interamente dedicato al (meraviglioso, ci arriviamo) universo del tifo organizzato del Cosenza.Piccolo riassunto per i meno informati: ogni due settimane, fuori dallo stadio Gigi Marulla – per la precisione in quel lembo di terra chiamato rione San Vito – viene portato a termine una sorta di processo alchemico, uno di quelli in grado di trasformare una materia vile in una preziosa. A rendere possibile questa pregiata trasmutazione è Roberta Perrone, conduttrice, volto di Lupi si nasce e ignara creatrice di universi narrativi unici e irripetibili. 

A prima vista la metodologia che ha brevettato potrebbe apparire semplice, quasi scontata. In buona sostanza, Perrone prova a incalzare la folla del post–partita sui temi più disparati: l’eccessiva parsimonia del presidente Guarascio, la ricerca di un ideale estetico irraggiungibile, le prestazioni non all’altezza delle aspettative, la scarsa fiducia nel futuro e chi più ne ha più ne metta. A quel punto, però, la videocamera dell’operatore – per i più curiosi: si chiama Alessio Falbo, i servizi li firmano sempre lui e Perrone, in una perfetta sinergia alla Lennon-McCartney – dà inizio alla magia, accompagnando lo spettatore all’interno di un microcosmo incantevole e un po’ disfunzionale fatto di sciarpe rossoblù sventolate come vessilli, tute acriliche firmate rigorosamente Onze o Zeus, sorrisi a trentadue denti, espressioni dialettali indimenticabili, totale assenza di dissidi interiori, adulti che non vogliono crescere e bambini costretti a farlo troppo velocemente. Il canovaccio viene ripetuto sempre nell’identica forma, e un occhio poco attento o affine al pregiudizio potrebbe inciampare nel bias di conferma e liquidarlo frettolosamente come “banale”. E invece, da alchimista navigata, Perrone riesce nell’impresa di proiettare questi fenomeni periferici, e tutto sommato trascurabili, in uno scenario più grande, passando dal particolare all’universale con una destrezza aristotelica. 

La prima volta in cui sono inciampato in questo incantesimo risale allo scorso primo aprile, dopo una gara casalinga abbastanza noiosa in cui il Cosenza è riuscito a imporsi sul Pisa grazie a un gol di Marco Nasti allo scadere del primo tempo. Vi descrivo la scena: facendosi spazio tra la fiumana del Marulla, Perrone sonda gli umori della piazza; a un certo punto, il microfono indugia su una giovanissima creatura disinibita e con le idee piuttosto chiare. Non conosciamo il nome di questo frugoletto dal senso molto pratico ma, per semplicità di analisi, lo chiameremo “Leonardo”. «Cosa ne pensi della partita?», chiede Perrone. «Prima di tutto sei bellissima», ribatte Leonardo, prima di prodigarsi in una puntualissima analisi tecnico–tattica: «L’albitro un figlio di puttana, l’azione Nasti è stato molto bravo». Parole che, col passare delle settimane, sono diventate una specie di Sutra del Loto ripetuto senza soluzione di continuità, sgrammaticature comprese, in terra bruzia e non solo. 

Leonardo, però, è soltanto uno degli enfant prodige che è possibile incrociare all’uscita dal Marulla. Da questo punto di vista, l’esempio più degno di nota è quello di Ernesto, un estroverso dodicenne con doti da agitatore culturale. Ernesto è un tipo proattivo, uno di quelli che si dà da fare per prevedere le situazioni, anticipare le soluzioni e ricacciare lo spauracchio della crisi. Le sue indagini lucidissime, ermetiche e puntuali, che gli specialisti SEO di Lupi si nasce raccolgono sotto la sagace etichetta “Parola ai tifosi”, sono diventate dei piccoli casi di scuola, così come i saluti personalizzati che dedica ad amici, parenti, compagni di classe, sponsor, fidanzate vere o presunte e chi più ne ha più ne metta. Quello di Ernesto è un lessico volutamente poco sofisticato: si serve parole semplici e di sicura presa, le uniche possibili da impiegare per realizzare una rivoluzione culturale dai contenuti profondi e far passare alcuni concetti che non ammettono compromessi.

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♬ Comedia – Ricardo Verdelho

 

Piccola digressione per chiarire il concetto: 29 agosto 2023, terza giornata di Serie B, la gara in calendario è Cosenza-Modena. I rossoblù passano in vantaggio al 12esimo con una rete di Tutino, ma il Modena riesce a risalire dalle sabbie mobili e a ribaltare il risultato all’87esimo con una rete di Abiuso che ha il retrogusto della sentenza inappellabile. Fuori dal Marulla sono tutti in preda alla disperazione, ma l’alchimista Perrone decide di affidarsi alla lucidissima lettura dello stato dell’arte del solito, ottimo Ernesto: «Sono molto amareggiato, perché questi erano solamente degli “acieddi” (uccelli ndr), però ci hanno purgato e a me mi dispiace», dice. Successivamente, la parola passa al collega Alessandro: «L’arbitro non mi è piaciuto proprio. Marras mi è piaciuto, solo che è “tanto” (basso, ndr), se gli dai una spallata arriva in tribuna vip». Alla fine, Ernesto si rivolge a Perrone e chiude la questione con un esercizio retorico che traspira puro stile: «Robè, l’unica cosa che mi fa stare bene sei tu». Sipario.

È stata questa, probabilmente, l’intuizione più acuta della premiata ditta Perrone–Falbo: capitalizzare le stravaganze e i segreti dell’infanzia, sbatterci in faccia senza troppi complimenti il bambino che siamo stati. Da adulti ci sembra impossibile percepire e vivere il calcio in modo istintivo e giocoso, come facevamo senza sforzo in ogni singolo istante dei nostri otto, nove, dieci anni; con le loro reazioni, i bambini del Marulla riescono a riportarci indietro nel tempo, riattivando quella magia di cui ognuno di noi conserva da qualche parte il ricordo. 

Ora: se osservata con le lenti del raziocinio, la felicità strabordante che informa il sentimento popolare del Marulla sembra quasi un’aberrazione statistica. La loro è una contentezza perturbante che, per certi versi, evoca una sensazione vicina a quello che Mark Fisher definiva “Eerie”, che si verifica c’è qualcosa dove non dovrebbe esserci niente. Osservare la serenità e la spensieratezza dei tifosi del Cosenza equivale ad ammirare una sorta di glitch della realtà: il costante stato di incertezza con cui il tifoso cosentino idealtipico ha dovuto imparare a convivere nell’ultimo triennio avrebbe fiaccato l’umore del più inguaribile degli ottimisti. Prima il rocambolesco ripescaggio del 2021, cortesia di una decisione Tar del Lazio, poi due salvezze che definire tribolate è riduttivo: la prima ai danni del Vicenza, con il ribaltone portato in dote dalla doppietta di un eroe implausibile come Joaquín Larrivey; la seconda a detrimento del Brescia, condannato alla sua prima stagione in Serie C da 38 anni (anche se poi alla fine il Brescia è stato ripescato) a questa parte da un colpo di testa di Andrea Meroni all’ultimo secondo del quinto minuto di recupero – ancora oggi, il suo unico gol realizzato con la maglia rossoblù.

Insomma: in terra bruzia le occasioni per perdere la pazienza, perlomeno potenzialmente, non mancherebbero. Il rigidissimo regime di austerity imposto dal presidente Eugenio Guarascio, le campagne acquisti ai limiti del grottesco e l’oggettiva impossibilità di alzare l’asticella avrebbero dovuto costringere gli habituè del Marulla a familiarizzare con il concetto di indigenza, a smorzare sul nascere ogni slancio di utopia, ad arrendersi alla triste consapevolezza che, tra le valli del Crati, la stagione non si pianifica: si arrangia. 

Anche la storiografia di questa bizzarra entità calcistica fondata il 18 novembre 1912, nella forma di una società polisportiva denominata – in maniera un po’ grigia – “Fortitudo”, è costellata di traumi, intrighi giudiziari, delusioni, misteri italiano e stravaganze di ogni tipo: la discussa morte di Denis Bergamini, per esempio, le promozioni in Serie A sfiorate con Bruno Giorgi prima e Gigi Lentini poi, il doloroso fallimento del 2004, la retrocessione in serie D e, manco a dirlo, la crisi d’identità vissuta l’anno successivo, quando Cosenza si trovò inspiegabilmente a ospitare due squadre con identici colori, nomi, loghi e a vivere una disfunzionale stracittadina tra due doppelgänger: il Cosenza FC, società nata per rimediare alla malagestione del presidente Paolo Fabiano Pagliuso, e il Cosenza Calcio 1914, sedicente depositario dell’antica tradizione affidato alle cure – gestionali e spirituali, è il caso di dirlo – di un frate missionario, Padre Fedele.  

Date le premesse, i meno informati potrebbero pensare che tifare Cosenza rappresenti un’esperienza ansiogena e angosciosa, che non valga la pena assumersi il fardello di tutta questa precarietà. E invece no: i tifosi del Cosenza se ne fregano e continuano a impazzire di gioia. Un poeta russo, si chiamava Miša Sapego, aveva scritto una poesia senza titolo che faceva così: «Soffrirò… morirò… ma intanto: sole, vento, vino, trallallà». Sbirciando i profili Instagram e TikTok dedicati alla squadra, viene quasi il sospetto che abbiano letto quei versi da qualche parte; di più: sembra quasi che se ne siano appropriati per farne una sorta di carta d’intenti, un credo.