Una nuova scuola di portieri, italiana

Dietro Donnarumma ci sono Vicario, Provedel, Di Gregorio, Meret, Carnesecchi. Come si è sviluppato il movimento? L’abbiamo chiesto a chi allena i numeri uno.

Albert Camus ha racchiuso in nove parole un intero mondo, con la celebre frase: «Quel che so della morale lo devo al calcio». Ci è riuscito perché era uno dei più grandi scrittori del Novecento, ci mancherebbe. Ma anche perché era un portiere, l’esponente di un ruolo al quale la scienza ha riconosciuto solo di recente – con un centinaio di anni di ritardo – un’intelligenza superiore. La storia però va sempre raccontata per intero, se possibile: e allora Camus in porta ci finì perché era stato costretto dalla madre per “salvare” le scarpe, bene prezioso, perché i tempi erano duri, del resto stiamo parlando dell’Algeria di un secolo fa. A modo loro sono tempi duri anche questi, perché mani e piedi, per il portiere, sono tutt’uno già da ragazzino: consumi i guanti se consumi anche le scarpe, non c’è più risparmio che tenga. Il ruolo è diventato anfibio.

E la mutazione è ancora in pieno divenire, tanto che qualche domanda provocatoria siamo ancora in tempo a farcela: se Buffon debuttasse oggi diventerebbe ancora Super Gigi o lo aspetteremo al varco ogni volta che controlla la palla con i piedi o magari fa un rilancio impreciso? La risposta è semplice, perché l’erede di Buffon è già in servizio da otto anni e ha già vissuto sulla propria pelle il cambiamento epocale del ruolo: capace di parate al limite delle leggi fisiche, miglior giocatore in assoluto dell’Europeo 2021, Gigio Donnarumma ha perso qualche certezza un pezzo alla volta. E dalla notte del 9 marzo 2022, quando al Bernabéu Benzema gli strappò il pallone dai piedi facendo crollare il fragile castello del Psg, è diventato più umano.

La parabola di Luciano Spalletti, quella per cui Donnarumma non deve sprecare il proprio talento/dono per nessun motivo al mondo, ha riportato il discorso sulla pagina giusta: Gigio resta il predestinato della scuola italiana, il suo prodotto migliore e da esportazione, ma la novità è che gli altri non stanno più a guardare, come succedeva una decina di anni fa sotto la tirannia di Buffon. Non sono più dietro al capofila, bensì al suo fianco, per giocarsi il posto in azzurro. E anche per parare qualche pregiudizio di troppo che accompagna i nostri numeri uno. Gaetano Petrelli è responsabile dell’area portieri delle Nazionali giovanili e, da 15 anni, docente di tecnica del portiere alla scuola di Coverciano. Ha scritto un libro che già dal titolo guarda avanti: La tattica del portiere. Fase difensiva, offensiva, transizioni e palle inattive (Sportivi Edizioni, 2022). Nella prefazione di Maurizio Viscidi, coordinatore dell’intero settore giovanile maschile della Figc, c’è una frase che è un manifesto: «Mi sono stancato di giocare in dieci». Ma, sorride Petrelli, ce n’è un’altra forse ancora più esemplare per capire il nuovo clima: «Il portiere non deve più uscire, il portiere deve rientrare».

Se quella italiana resta una grande scuola, visto che oltre a Donnarumma può contare su profili di altissimo livello come Vicario e Meret, fino a Provedel e Carnesecchi, passando per Di Gregorio o l’emergente Caprile, è bene sapere che il preside (Viscidi) e i maestri da lui scelti spingono per un’interpretazione del ruolo più moderna, per cui il portiere è «un elemento sempre più inserito nel gruppo squadra». Come Onana nell’ultima finale di Champions? Il modello, anche se molto ambizioso per chiunque, è quello. Però c’è un però. E in filigrana aiuta a capire quanto i portieri italiani della nuova scuola sono forti e resistenti, gente di cui fidarsi. E quanto il processo di crescita sia solo all’inizio, con margini di miglioramento molto ampi. «In Italia la cultura dell’errore è profondamente diversa rispetto ad altri contesti calcistici», spiega Petrelli. «Il portiere deve essere già bravissimo a gestire quelli che può commettere “normalmente”. E a questo deve ormai aggiungere fin da piccolo una elaborazione di altri dati, legati al gioco podalico, che sono numerosi e complessi: il margine d’errore quindi aumenta in modo esponenziale e con esso il peso che un possibile sbaglio può avere per compagni, staff, tifosi, addetti ai lavori. Per compensare questo allora il portiere tende a rischiare meno. E di conseguenza a non esprimere tutte le sue potenzialità».

Donnarumma, che pure ha perso un punto di riferimento come Gianluca Spinelli (il preparatore che al Chelsea ha fatto svoltare la carriera di Courtois, per ammissione del belga, e che nel frattempo è finito all’Inter), sta lavorando moltissimo su questo aspetto. Tra alti e bassi, perché la rigidità di alcuni suoi movimenti lascia intendere ancora una tensione di fondo nel gioco al piede. Il fatto, però, che Gigio non sia più considerato irraggiungibile, ha anche un aspetto positivo: «Crea uno stimolo in tutta la scuola», spiega Petrelli. «E adesso abbiamo quattro-cinque portieri al di sopra della media, finalmente apprezzati anche dai club europei: questo è un aspetto che non era mai esistito per volontà anche dei nostri ragazzi, che puntavano sulla bontà della scuola italiana per crescere». Entriamoci, allora, in quest’aula. Ci sono i predestinati, gente da primo banco che magari la sfanga anche se non ha studiato l’ultima lezione: oltre a Donnarumma, anche Alex Meret è sempre stato considerato un fuoriclasse in potenza, per capacità tecniche e atletiche. Ora ha lo scudetto sul petto e lo ha vinto da protagonista, ma la sua vittoria più bella e importante arriverà quando farà ricredere gli scettici su qualche difetto di personalità che si riflette anche in campo. Pure nel suo caso l’inserimento nel gioco della squadra con il pallone tra i piedi, ha il suo peso, inutile nasconderlo.

Tra i portieri Under 30 in Serie A, Di Gregorio è quello che ha la miglior percentuale di parate: 81,3%, secondo i dati di fbref (Simone Arveda/Getty Images)

Ma su questa connessione fra testa e piede si può lavorare e si può migliorare. Basta guardare quanto è cresciuto il ragazzo del terzo banco, Guglielmo Vicario, quello che nessuno considerava davvero, che faceva il terzo portiere della Primavera dell’Udinese dietro a Meret e Scuffet, che è ripartito dalla Serie D, che era panchinaro di Audero a Venezia in C; quando è arrivato a Empoli, via Cagliari, era ancora una scommessa. L’ha stravinta, “Vic”, che ha puntato sulla sua grande capacità di shot-stopper, subito esaltata in Premier League. Ma a stregare tifosi e staff del Tottenham è anche la sua capacità di inserirsi nel gioco di Postecoglou e nell’ambiente Spurs: la padronanza della lingua mostrata già nelle interviste di benvenuto (come Scuffet, Guglielmo si è diplomato allo Scientifico), non è un aspetto secondario, perché l’intelligenza del portiere deve essere più completa possibile. Come la sua personalità. Chiedere per informazioni al biondo seduto là in fondo, all’ultimo banco.

Se in pochi credevano nella crescita di Vicario, che dire di Ivan Provedel, il bomber ragazzino che più segnava più moriva dalla voglia di avere un’occasione tra i pali? Anche Buffon fino a undici anni era un giocatore di movimento, a centrocampo, ma il percorso di Provedel resta unico, per quel pizzico di follia che ha accompagnato la sua scelta. Al di là dell’istinto dell’attaccante che tutta Europa ha potuto ammirare al suo debutto in Champions, quando ha fatto gol di testa all’Atlético Madrid, la formazione del ragazzo di mamma russa, il cui nonno era amico di Yashin, lo rende completo e moderno, con quel posizionamento equilibrato, né troppo alto né troppo basso, che è la base della nostra scuola. Ma allora come si formano i portieri italiani? I punti di partenza, quelli scritti sulla lavagna, sono: 1, la necessità della difesa della porta; 2, la bravura nella costruzione. 3, l’abilità nella copertura della profondità se la linea difensiva è alta.

Il quarto punto non è scritto, ma scherzosamente si può aggiungere: se sei friulano, è più facile. Perché tre dei quattro portieri della Nazionale vengono da Udine e dintorni e sono transitati per l’Udinese (come anche Scuffet e Perisan, che ora sono al Cagliari e all’Empoli). Non è un caso, perché la terra di Dino Zoff produce talenti magari poco espansivi, ma forti dentro, prima ancora che fuori. E le storie di Meret, Vicario e Provedel, per quanto molto diverse tra loro, sono lì a testimoniarlo. Ma non saranno le ultime: «La scuola di Udine è ulteriormente cresciuta», spiega Petrelli, «e si sta adeguando alla formazione di portieri capaci di interpretare il ruolo secondo le richieste del calcio di oggi». Carnesecchi e Caprile, gli altri due studenti modello che cercano spazio in Serie A con Atalanta e Empoli e guidano la classe dei più giovani, sono avvertiti: quando pensi di essere arrivato in cima, sei solo all’inizio della salita. È il bello di una scuola che vola sempre più in alto.

Dal numero 53 di Undici