Vecchi ricordi italiani con la Coppa Intercontinentale

Un viaggio nel tempo per ricordare un torneo che non c'è più, tra grandi vittorie ed enormi delusioni.

La FIFA, alchimista del calcio mondiale alla continua ricerca del modo giusto per generare ancora più soldi, ha deciso che ogni quattro anni, a partire dal 2025, si giocherà una nuova Coppa del Mondo con 32 club partecipanti. Le squadre saranno selezionate su base meritocratica, cioè partendo dai risultati in Champions League – per l’Europa, ovviamente. Unica limitazione: ogni nazione potrà schierare al massimo due club al via del torneo. Ora questa non è questa la sede per l’ennesimo riepilogo dei complicati calcoli che stabiliranno i club qualificati, né per discutere il format del torneo e la scelta della sede – la prima edizione, tra un anno e mezzo, si terrà negli USA. Qui parleremo di un tempo ormai passato, quando per decidere quale fosse la squadra più forte del mondo bastava una sfida secca tra i vincitori della coppa dei Campioni e quelli della Copa Libertadores. A Tokyo, tanto per renderla esotica (e racimolare qualche soldo extra, ovviamente).

Questa vecchia competizione si chiamava Coppa Intercontinentale: creata nel 1960, inizialmente si giocava su due partite. E le sfide in Sudamerica, dove il torneo era sentitissimo, spesso diventavano delle vere e proprie corride. Per ridare linfa a una competizione in declino, nel 1980 gli organizzatori stipularono un contratto con la Toyota. Da quel momento il torneo si spostò a Tokyo e cambiò formula: gara singola in programma quasi sempre a dicembre. Le prime cinque edizioni vennero tutte conquistate dalle compagini sudamericane, con tre vittorie uruguaiane e due brasiliane. Nel 1985 fu la Juventus, reduce dalla tragedia dell’Heysel, a rompere la maledizione. Ecco la cronistoria di tutte le sfide che hanno visto le italiane, di fatto solo Juventus e Milan, come protagoniste, tra crolli inaspettati e grandi vittorie.

1985 – Juventus-Argentinos Juniors 2-2 (4-2 d.c.r.)

È la sfida della celebre fotografia di Platini sconsolato, sdraiato sul campo come sul divano, con la mano sinistra a sorreggersi la testa sul gomito, imitata da Dybala in una sua esultanza. Il 1985 è l’anno di Ritorno al Futuro, del Live Aid e di Super Mario Bros, ma è anche l’anno in cui la Juve affronta la nuova stagione senza Rossi, Tardelli e Boniek, rimpiazzati da Mauro, Laudrup e Manfredonia. Dopo un primo tempo di lotta, per altro su un campo al limite della praticabilità, con zolle alte venti centimetri su un manto erboso grigiastro, la ripresa è il festival dei gol. Quelli segnati e quelli annullati. «La palla rimbalzava come fosse un coniglio», chiosò Trapattoni dopo la gara.

Prima è il turno del danese Laudrup, il cui urlo viene strozzato in gola dalla segnalazione di fuorigioco. Poi gli argentini passano in vantaggio, sfruttando un buco centrale nella difesa della Juve. Passa qualche minuto e Claudio Borghi, infatuazione di Berlusconi che l’avrebbe presp al Milan, preferendolo inizialmente a Rijkaard, parte in azione maradonesca dalla destra: dopo aver superato di slancio due juventini, serve Ereros che chiude il triangolo e gli regala il 2-0. L’arbitro tedesco Roth, tuttavia, decide di annullare – anche se, riguardando i fermo immagine, Borghi sembra effettivamente in gioco.

La Juve è palesemente in difficoltà. Eppure, su un lancio di Platini, Serena sente da dietro la mano di Olguin toccargli la spalla e cade appena entrato in area: Roth fischia il rigore e Platini trasforma.  La partita è ormai fuori controllo: per evitare i rimbalzi pazzi, i ventidue in campo giocano il pallone quasi sempre al volo. E tra spazzate, palleggi e giochi di prestigio Platini segna una delle reti più belle e iconiche della sua carriera: controllo di petto, sombrero al marcatore e sinistro al volo a incrociare. Un capolavoro cancellato per motivi inspiegabili.

L’Argentinos rialza la testa: ancora Borghi pesca con un filtrante l’ala destra Castro, che si inventa un arcobaleno di destro in grado di sorprendere Tacconi. Borghi è imprendibile, l’arbitro nega un altro rigore alla Juve per un fallo di mano, ma Platini è al suo meglio e dopo aver raccolto un passaggio da Laudrup gli rende la palla con un uno due che scavalca i cinque difensori argentini. Il danese controlla in corsa con il sinistro, supera il portiere in uscita e cadendo, a mezzo metro dalla riga di fondo, segna il 2-2 a porta vuota. Mancano otto minuti al termine e il telecronista, con un garbo di un’altra epoca, si lascia andare a questo commento: «Partita stupendamente interessante». Non succede nulla di notevole sino ai rigori. Poi Tacconi para un bruttissimo tiro di Batista, Laudrup rimette gli argentini in gioco smorzando troppo la sua conclusione, ma ancora il portiere bianconero è bravo a restare fermo di fronte alla botta centrale di Pavoni. La decide, riscattando la delusione per la rete annullata, Michel Platini.

La sintesi di Juventus-Argentinos Juniors non poteva avere che questa immagine di copertina

1989 – Milan-Atlético Nacional di Medellín 1-0 (dts)
1990 – Milan-Olimpia Asunción 3-0

La due Coppe Intercontinentali vinte dal Milan di Sacchi sono agli antipodi con le finali di Coppa dei Campioni conquistate dai rossoneri. Cominciamo da quella del 1989, che arriva pochi mesi dopo dopo il clamoroso 4-0 inflitto alla Steaua Bucarest: l’Italia è in piena orgia craxiana, la Milano da bere è dominata dalla figura di Silvio Berlusconi, ancora in area socialista, l’Europa è finalmente unita dopo il crollo del Muro di Berlino e della Cortina di Ferro. Quando il Milan si ritrova a Linate per partire verso Tokyo, c’è però un problema: Arrigo Sacchi non si trova, del mister non c’è traccia. Poi, finalmente, a un pelo dalla partenza, eccolo arrivare: lui, sempre puntuale, non aveva puntato la sveglia nel giorno più importante. Gli era successa la stessa cosa quando si era sposato.

Il mister teneva molto a quella gara, e infatti alcuni mesi prima aveva inviato un osservatore a Medellín per seguire l’Atlético Nacional guidato da Francisco Maturana, una sorta di suo alter ego colombiano. Solo che il campionato locale era fermo per l’omicidio dell’arbitro Álvaro Ortega. In tanti, nei giorni precedenti alla partita, insinuano che ci siano dei legami tra l’Atlético, la prima squadra colombiana a vincere la Libertadores, e il cartello di Medellín. Il quotidiano La Repubblica, però, si affretta a smentire. Eppure tre calciatori di quella squadra, negli anni successivi, faranno una brutta fine: Andrés Escobar, terzino destro, verrà freddato fuori da un locale dopo uno sfortunato autogol contro gli Stati Uniti a Usa ’94; Albeiro Usuriaga, attaccante inserito nella ripresa da Maturana, sarà assassinato nel 2004; Felipe Perez Urrea, riserva a Tokyo, andrà in prigione e verrà ucciso dopo la sua liberazione, nel 1996. Anche René Higuita vivrà un bel po’ di disavventure: amico personale di Pablo Escobar, il narcotrafficante colombiano più famoso di sempre, passerà nove mesi nel carcere Modelo di Bogotà per il suo coinvolgimento in un sequestri di persona.

Ma passiamo alla partita. Che, incredibile ma vero viste le premesse, delude un po’ tutti: l’assenza di Gullit si fa sentire, le due squadre finiscono per annullarsi. Il primo squillo vero arriva solo ai supplementari, quando una conclusione di Van Basten finisce di poco a lato. L’irritazione di Sacchi si percepisce chiaramente, nonostante nonostante gli ingombranti Ray Ban con la montatura d’oro che gli fasciano metà del volto. Poi, però, ecco un calcio di punizione: la barriera, formata da una mezza dozzina di calciatori colombiani, sbraccia e si agita; sul pallone c’è Chicco Evani, subentrato nella ripresa al posto di Fuser; dal suo piede parte un rasoterra che qualsiasi coccodrillo moderno avrebbe bloccato, ma che sorprende Higuita.

Tutt’altra musica un anno dopo, quando Italia 90 è già un ricordo amaro, ma nel frattempo le squadre di Serie A hanno vinto tre coppe europee su tre, portando quattro squadre su sei nelle tre finali. Il Milan ha vinto faticando da matti col Benfica, ma si rifà con gli interessi a Tokyo. Di fronte, stavolta, ci sono i paraguaiani dell’Olimpia Asunción. E non c’è partita. Marco van Basten non sopporta più Sacchi, e in Giappone vaga per i corridoi degli alberghi alle quattro del mattino, angustiato dal fusorario, ma in campo non si nota nulla: dopo il vantaggio firmato da Rijkaard, il centravanti olandese colpisce il palo su assist di Tassotti, ma il palo gli nega il gol; sulla respinta, Giovanni Stroppa – – o “Giovannino”, come lo chiama in telecronaca Bruno Longhi – da mezzo metro mette dentro il 2-0. Passano tre minuti e ancora Van Basten, imbeccato da Gullit (che ha strappato il pallone in pressing a un avversario sulla trequarti: Sacchi in panchina avrà provato un brivido di piacere), supera il portiere con un superbo pallonetto da fuori area dopo aver saltato di netto il suo marcatore; lo stesso palo di pochi istanti prima gli strozza l’urlo in gola. Sul tap-in, stavolta ci pensa Riijkaard, che ancora di testa – ma in tuffo – chiude la partita. Sembra lo zenit di una squadra perfetta, ma il rapporto tra Van Basten e Sacchi si sfalda irrimediabilmente poche settimane dopo, quando Marco salterà il ritiro invernale in Versilia per un raffreddore a cui non crede nessuno.

Milan-Olimpia 3-0

1993: Milan-San Paolo 2-3
1994: Milan-Vélez Sarsfield 0-2

Nel 1993, il Milan di Capello ha perso la finale di Champions League – nuovo nome, nuovo format – contro il Marsiglia, eppure è qualificato comunque per l’Intercontinentale. Il motivo? Semplice: i rossoneri vanno a Tokyo al posto dell’Olympique Marsiglia di Tapie, bandito dalle competizioni europee dopo aver tentato di combinare una gara di fine campionato. Di fronte c’è il San Paolo di Telê Santana, che schiera – tutti insieme – Cerezo, l’ex torinista Müller e i futuri milanisti Cafu e Leonardo. La giornata è splendida, il campo anche, ma il Milan di Capello – con Papin-Raducioiu coppia d’attacco, e Massaro a centrocampo – sembra prendere la partita come una Supercoppa qualsiasi. Segnano per primi i brasiliani con Palinha su un cross di Cafu, ma poi il Milan pareggia con Massaro: esultanza feroce, ma Capello non abbozza un sorriso.

Il San Paolo va di nuovo in vantaggio con Toninho Cerezo, 38 anni compiuti, il Milan pareggia ancora con Papin, di testa. Solo che i brasiliani sono oggettivamente molto forti, e per di più sfruttano un’uscita sciagurata di Seba Rossi per segnare il decisivo 3-2: Su un lancio in profondità non troppo forte né particolarmente preciso, la difesa rossonera si fa trovare impreparata, la palla rimbalza dentro l’area e Rossi la buca completamente, esibendosi poi in una comica rotazione su se stesso. Müller, a quel punto, non può far altro che segnare il 3-2. Savicevic, che gioca pochissimo, critica Capello, anche perché spalleggiato da Berlusconi. Pure Marco Simone si accoda: «Se abbiamo perso, la colpa è anche di Capello».

Un anno dopo i rossoneri si sono rifatti con gli interessi, grazie a un meraviglioso 4-0 inflitto al Barcellona di Cruijff nella finale di Champions. A dicembre 1994, però, la sfida contro il Vélez Sarsfield di Carlos Bianchi finisce molto male. Anche perché Billy Costacurta incappa in una prestazione sconcertante. In realtà c’è anche da dire che i giocatori argentini, poco più che modesti, hanno un atteggiamento a dir poco aggressivo. Picchiano, insomma. Boban, con la numero nove sulle spalle, fallisce una buona palla gol; Massaro lo imita nella ripresa. Poi, ecco Costacurta: su un cross lento dalla fascia, il difensore del Milan  si ostacola con un avversario in area, si sente tirare per la maglia e vola platealmente a terra con una giravolta, solo che l’arbitro assegna il rigore per il Vélez. Dal dischetto va il capitano, Trotta, libero di una lentezza esasperante: tiro forte e centrale, gol. Il Milan reagisce con un’altra bella conclusione di Massaro, ma di nuovo Costacurta mette la firma sulla peggior serata della sua carriera milanista con un retropassaggio lentissimo verso Rossi, su cui si avventa Asad, tarchiato numero nove del Velez:  piccolo e scattante, l’attaccante argentino riesce a superare il portiere del Milan con l’anticipo e da posizione angolata gira nella porta vuota il gol del 2-0. Il Milan prova a riprenderla ma sbatte su José Luis Chilavert, infine Costacurta completa la sua serata horror con un’espulsione tragicomica: si fa rubare palla all’altezza del centrocampo e, dopo aver inseguito l’avversario in campo aperto, lo stende da dietro.

La sintesi di Milan-Vélez 0-2

1996 – Juventus-River Plate 1-0

Si gioca a fine novembre. Il fortissimo River Plate, allenato da Ramòn Díaz, può disporre di Enzo Francescoli, Julio Cruz, Ariel Ortega e un giovane Marcelo Salas come ricambio: più che una squadra, sembra un all-star messa in campo da un nostalgico della Serie A anni Novanta-Duemila. La Juventus di Lippi, invece, punta tutto su Zidane, Boksic e soprattutto Del Piero. Proprio Del Piero, insieme a Ortega, è stato scelto dalla tv giapponese come osservato speciale: una telecamera inquadrerà solo lui per tutta la gara. Quando gli raccontano di questa cosa, Alex si sente caricato di ulteriori responsabilità.

I bianconeri creano tanto, almeno tre palle gol pulite con Boksic e Zidane, ma è Ortega al 32esimo della ripresa ad andare davvero vicino al gol, superando Peruzzi con un pallonetto da posizione angolatissima e colpendo la traversa. Un attimo dopo la palla danza in area, ma nessun giocatore argentino riesce a ribadirla in posta.  È una partita «stregata» per usare una definizione dello stesso Del Piero. Poi, però, al minuto 81′ c’è un corner per la Juve: batte Di Livio, Porrini fa una sponda aerea e pesca Del Piero al vertice opposto dell’area piccola; Alex controlla e in un istante si gira fulminando Bonano, il portiere avversario.

La Juve sembra averla in tasca, ma il River, che fino a quel momento aveva tirato in porta solo una volta, ha due grandi occasioni e in entrambe è provvidenziale Angelo Peruzzi. Quindi due volte Boksic e una Di Livio falliscono il 2-0, tanto per tenere i propri tifosi sulle spine fino all’ultimo secondo. Alla fine Del Piero si può permettere di buttare al vento l’ultima, ennesima, occasione. La palla scivola sul fondo con la porta vuota e l’arbitro fischia la fine. Dopo quel gol, in tanti sono convinti che Del Piero meriti il Pallone d’Oro, che alla fine lo conquisterà. E invece a vincerlo sarà Mathias Sammer.

L’ultima vittoria di una squadra italiana in Coppa Intercontinentale

2003 – Milan-Boca Juniors 1-1 (1-3 dcr)

La vittoria della Juventus, che segue quella dell’Ajax l’anno prima, ha dato inizio a un dominio europeo nella competizione che solo una squadra è in grado di scalfire in ben due occasioni: il Boca Juniors di Carlos Bianchi, sempre lui. Nel frattempo – stagione 1996/97 – è passato anche per Roma, dove ha rischiato di far vendere un giovanissimo Francesco Totti, ma poi è rientrato in Argentina e ha ricominciato a essere un tattico sublime, a riconoscere il talento. Nel 2000, quando il suo Boca batte il Real Madrid, in campo ci sono Juan Román Riquelme, Martín Palermo, un 19enne Nicolás Burdisso. Tre anni dopo, la partita è in programma a Yokohama, non a Tokyo come in passato, e la squadra avversaria è il Milan di Ancelotti. Che deve fare a meno di Inzaghi e Nesta e perciò si affida a Tomasson e Costacurta, non proprio il miglior amico della Coppa Intercontinentale. Ma i rossoneri restano favoriti, anche perché hanno a disposizione, tra gli altri, Shevchenko, Pirlo, Kakà e Seedorf.

Un lampo di Pirlo dopo 23 minuti sembra accendere i rossoneri: filtrante di cinquanta metri che passa davanti a Shevchenko e arriva sul sinistro di Tomasson, solo davanti al portiere: è 1-o. Gli argentini, però, rialzano subito la testa: dopo sei minuti, Schelotto mette una palla a centro area, né forte né alta, che Dida valuta male; il numero dieci brasilano Iarley cerca di sorprendere il suo connazionale, ma Dida riesce a respingere; la palla però carambola su Donnet, che a porta vuota insacca con un sinistro preciso.

Kakà, fino a quel momento opaco, sembra riprendersi all’improvviso: su una spazzata inefficace della difesa del Boca, conclude da 25 metri centrando in pieno il palo. È il primo e ultimo vero squillo della sua partita. Ancelotti lo sostituisce con Rui Costa, ma il Milan non è in serata e si fa trascinare ai rigori. Solo che a Yokohama non va come a Manchester, dove i rossoneri avevano battuto la Juventus nella finale di Champions: Pirlo si fa parare il tiro, Seedorf spara la palla in cielo e poi Billy Costacurta mastica uno scarabocchio centrale strisciando a terra con la punta del piede. È il rigore che consegna la coppa a Carlos Bianchi, campione del mondo per club per la seconda volta. Sempre contro il Milan.

Milan-Boca, raccontata dalla Domenica Sportiva