Il presidente dell’Argentina ha detto che il Chelsea vorrebbe comprare il Boca Juniors

In realtà è solo l'ultimo atto di una battaglia politica che va avanti da tempo.

Il nuovo presidente dell’Argentina Javier Milei, ce ne eravamo già accorti durante la sua colorita campagna elettorale, ha delle idee abbastanza particolari. Diciamo pure controverse. Ed è abbastanza netto, nelle sue posizioni, anche per quanto riguarda lo sport e il calcio: tifoso dichiarato del Boca Juniors, nelle ultime settimane ha partecipato – anche se con un ruolo defilato, non direttamente esposto – alla guerra di posizione contro Juan Román Riquelme per la presidenza del club. Alla fine ha perso, Riquelme è stato eletto alla guida del Boca, ma in realtà il conflitto è ancora aperto. Ed è decisamente più vasto, più complesso, va oltre il Boca e in qualche modo avrà un impatto sull’essenza stessa del calcio argentino. Le sue ultime dichiarazioni, in questo senso, sono abbastanza significative: «Io so che il Chelsea ha l’intenzione di acquistare il Boca Juniors, il Racind Avellaneda, il Newell’s Old Boys, il Lanús e l’Estudiantes», ha detto Milei.

Cosa c’entra il presunto interesse del Chelsea per cinque (!) club con l’essenza del calcio argentino? Semplice: coerentemente col suo programma e le sue idee ultra-liberiste, Milei è un fervente sostenitore della trasformazione delle società sportive argentine. Al momento, infatti, sono configurate come associazioni civili senza scopo di lucro, appartengono direttamente ai loro soci/tifosi e quindi è praticamente impossibile che degli investitori esterni possano prenderne il controllo. Il presidente vorrebbe che il Boca e il River e tutti gli altri club diventassero invece delle SAD, acronimo di Sociedad Anónima Deportiva, vale a dire delle società con finalità commerciali, come la maggior parte delle squadre spagnole ed europee. In questo modo, in Primera División potrebbero arrivare anche i grandi fondi stranieri, oppure dei nuovi proprietari che contrllano già altri club in tutto il mondo, esattamente come Todd Boehly del Chelsea – a sua volta parte dei consorzi che possiedono i Los Angeles Lakers e i Los Angeles Dodgers.

Milei ne fa una questione di forza economica e quindi di competitività, di risultati: «Per le SAD che operano nel calcio, la cosa interessante è che i soldi arrivano subito, ed è così che si manifestano i cambiamenti sul campo: non devi inventare e costruire macchinari enormi, bastano pochi mesi perché una squadra qualunque possa diventare una squadra vincente. Io sono un tifoso del Boca, e se un gruppo di investimento, anche straniero, fosse interessato al mio club, prospettandomi la possibilità che il Boca vinca sempre e che il River non possa più batterlo in un derby, risponderei: dove devo firmare?».

È chiaramente una questione ideologica, che come tutte le questioni ideologica si è trasformata in una questione politica. I club argentini, infatti, si sono già schierati in massa contro il presidente Milei. Anche perché gli stessi tifosi sembrano aver risposto in modo compatto: vogliono continuare a mantenere le cose come sono ora, come sono sempre state. In questa lotta corpo a corpo, le società e i tifosi sono affiancati dall’AFA, acronimo di Asociación del Fútbol Argentino: come scrive Diário Olé in questo articolo, sia il presidente Claudio Tapia che il tesoriere Pablo Toviggino hanno rilasciato delle dichiarazioni contro la politica delle SAD, sollecitando una votazione di tutti i club che inibisse un possibile passaggio di stato; a fine novembre, poi, lo stesso Tapia ha detto che «Le SAD sono delle istituzioni che vanno oltre il modello che sosteniamo, ovvero quello delle associazioni civili senza scopo di lucro. Alcune società argentine hanno degli statuti che rifiutano preventivamente la trasformazione in società con fini commerciali, ma in ogni caso devo congratularmi con i club che hanno espresso di nuovo la loro opposizione al cambiamento. Negli ultimi anni abbiamo dimostrato che il calcio argentino può fare bene rimanendo così com’è». La votazione, alla fine, non si è tenuta: non ce n’è stato bisogno, visto che tutte le giunte direttive di Primera División, a cominciare da quelle di Boca e River, hanno anticipato la loro volontà di non trasformare i club in SAD.

Parlando del «calcio argentino che può fare bene», Tapia ha fatto riferimento ai recenti successi della Nazionale senior, che in questo momento è detentrice del titolo mondiale e della Copa América. Di conseguenza, dice il presidente AFA, non c’è alcun motivo per cambiare un sistema che funziona. Allo stesso modo, però, è chiaro che il modello economico dei club argentini finisca col penalizzarli, nel senso che li rende meno competitivi sul mercato e quindi in campo: non a caso, viene da dire, nessuna squadra argentina fa parte di multiproprietà globali come quella del City Football Group o della Red Bull; inoltre, l’ultimo trionfo di una squadra argentina in Libertadores risale al 2018, quando a imporsi fu il River Plate. Da allora, la massima competizione continentale per club è stata vinta solo da società brasiliane, espressione di un sistema più aperto, più ricco. Insomma, a pensarci bene il presidente Milei non racconta delle cose così assurde, non tutte almeno, soprattutto in relazione a quanto succede in altri mercati sudamericani. Dalla parte di Milei si è schierato anche Mauricio Macri, già presidente del Boca (dal 1995 al 2012) e poi presidente dell’Argentina fino al 2019, che ha definito «populista e aberrante» la politica di Tapia e quindi dell’AFA. Insomma, è chiaro che siamo nel bel mezzo di un lungo scontro per l’anima del calcio argentino. E il Chelsea che vorrebbe comprarsi il Boca, purtroppo o per fortuna, c’entra davvero poco.