Il processo prima del risultato: perché la vittoria di Sinner è una lezione

Il successo all'Australian Open arriva da lontano.

Di Jannik Sinner l’Italia ha imparato ad apprezzare, ancor prima che i successi, il suo mondo. Il mondo di Sinner è in ordine, sotto controllo: non dà spazio a eccessi, né colpi di testa; non è fatto per accogliere elementi di disturbo; toglie ogni possibilità di deviazione a una linea retta costruita per un grande e potente obiettivo finale – il successo. È il mondo di un iper-professionista, che sin da quando è arrivato nel circuito Atp ha ponderato ogni passo, ogni scelta, ogni minimo dettaglio. In questo senso, Jannik Sinner è l’esaltazione massima dello sportivo contemporaneo.

Il successo di Sinner agli Australian Open non nasce due settimane fa, ovviamente, e nemmeno tre mesi fa: quando l’italiano, evidentemente, ha alzato il proprio livello di gioco, mettendo in serie tutti quei traguardi ampiamente celebrati – i trionfi a Pechino e Vienna, la finale alle Atp Finals, la vittoria della Coppa Davis – riuscendo finalmente a battere con regolarità tutti gli avversari sopra di lui nel ranking. Questo successo nasce ancora prima, quando Sinner non era il Sinner di oggi – quello che, senza equivoci e senza badare troppo alle statistiche, è oggi il numero uno al mondo. Quando Sinner non riusciva a dare continuità ai suoi risultati, a imprimere un livello di gioco sufficientemente competitivo, figuriamoci a costruire una meravigliosa campagna Slam.

In un Paese ossessionato dai risultati, da una cultura malsana che nasce nel calcio ma che contagia facilmente anche gli altri sport, Sinner ha portato avanti una filosofia decisamente controcorrente: puntando sul percorso. Quello che negli States chiamerebbero process: qualcosa che richiede pazienza, fiducia, che passa da scelte drastiche così come da momenti complicati. Quando a costo di puntare a un obiettivo più grande si sacrificano obiettivi più piccoli. Gli ultimi due anni di Sinner, mettendo insieme tutti i pezzetti del puzzle, sono la rappresentazione plastica di un percorso coerente che ha bisogno di tempo per dare i suoi frutti.

Molte di queste scelte sottese al percorso sono state aspramente criticate, sui media come dai semplici appassionati. Uno dei momenti spartiacque nella carriera di Sinner è stata la separazione, a febbraio 2022, dallo storico coach Riccardo Piatti: Jannik veniva, in realtà, da un anno molto positivo, in cui aveva vinto quattro titoli Atp (record per il tennis italiano). Il 2022, invece, si rivelò un anno in chiaroscuro: solo un titolo vinto, a Umago, ma soprattutto una serie di infortuni che lo avevano tolto di mezzo da molti appuntamenti stagionali – o, peggio, dai tornei che stava disputando.

Così Sinner era stato investito da una marea di dubbi, per non dire accuse: l’ingratitudine, per aver mollato Piatti, la scelta ritenuta poco lungimirante di Vagnozzi, gli infortuni a ripetizione che ne mettevano in discussione la sua professionalità negli allenamenti. Nel frattempo, a cadenza irregolare, piovevano altre critiche: vere e proprie campagne mediatiche che lo accusavano di “anti-italianità”, per aver rinunciato ai Giochi olimpici nel 2021 e soprattutto, lo scorso anno, alle qualificazioni della Coppa Davis.

Nessuno, più di Sinner, era certo di quello che stava facendo. A cominciare dalla scelta di cambiare allenatore, che avrebbe dovuto portare – come ha fatto – il suo tennis a competere con i migliori al mondo; come quella di mettere sotto stress il proprio corpo, pur rischiando infortuni, problematiche e rinunce dolorose (come quella della Davis, appunto), per irrobustirsi, per aggiungere massa muscolare ed essere pronto alle battaglie da cinque set agli Slam – contro Medvedev, in Australia, Sinner ha essenzialmente vinto la partita sul piano fisico. Insomma: per vincere un torneo del Grande Slam, Jannik ha impiegato due anni. Nemmeno troppo tempo, a pensarci bene.

La lezione di Sinner è a tutti gli effetti una lezione di sport e di vita, che va ben oltre quello che è il suo percorso personale. Insegna che per arrivare a certi successi bisogna mettere fondamenta solide, e da lì costruire con pazienza e costanza. Senza lasciarsi condizionare dalle difficoltà contingenti, dagli incidenti di percorso, da quello che filtra dall’esterno. Si diventa campioni anche così.