A Bologna sta succedendo qualcosa di magico

Merito di un calcio brillante, quello di Thiago Motta, di uno scouting di successo, promosso da Di Vaio e Sartori, di un progetto credibile e affascinante.

Bologna si trova a metà strada tra il Nord e il Sud. La gente qui ha una natura entusiasta, godereccia, ma sono millenni che vede passare chi va e chi viene. Perciò è sempre stata la città delle frustrazioni, dei desideri insoddisfatti». Queste parole risalgono al 1986, le ha pronunciate Lucio Dalla – un intellettuale, prima ancora che un genio della musica, sinceramente innamorato della sua terra – e sono un piccolo ma esauriente trattato di bolognesità storica. Anche il calcio, che da queste parti è sempre stato un pezzo importante dell’identità e della cultura popolare, ha contribuito ad alimentare la disillusione e il disfattismo che ammantano la città: il Bologna Football Club è stato fondato nel 1909, ha vinto tantissimi trofei in Italia e persino in Europa, quando le competizioni internazionali per club erano ancora un esperimento in divenire, poi però si è fermato e non è più riuscito a ripartire. L’ultimo titolo vero, a parte l’Intertoto conquistato nell’estate 1998, risale infatti a mezzo secolo fa: era il 1974, ed era la Coppa Italia. Per l’ultimo scudetto, invece, bisogna arrivare fino alla stagione 1963/64, indimenticabile e controversa. Nei decenni successivi, come se non bastasse, i tifosi del Bologna hanno dovuto imparare cosa si prova quando la propria squadra del cuore – che peraltro è giustamente considerata una grande storica del calcio italiano – retrocede in Serie B e poi addirittura in Serie C1, oppure quando un giudice ne decreta il fallimento.

Alcuni gate d’ingresso dello stadio “Renato Dall’Ara”, costruito durante la dittatura fascista e inizialmente chiamato “Stadio Littoriale”, sono incastonati nel porticato che fiancheggia la Torre di Maratona. A guardarla da lontano, sembra quasi che la casa del Bologna sia stata progettata per essere un’appendice del centro città e della sua architettura più iconica, quindi della sua anima. Sotto quei portici, negli ultimi tempi, qualcosa è cambiato: mentre i tifosi brulicano prima delle partite, si percepiscono un certo entusiasmo, una certa fiducia, persino un po’ di ambizione – la cosa più lontana che c’è dalla disillusione e dal disfattismo.

Il merito di questo vento nuovo è del Bologna di Thiago Motta, dei risultati che sta ottenendo, dell’intrattenimento di qualità che offre a chi segue i rossoblu da sempre, a chi ha iniziato o ha ripreso a seguirli ora che le cose vanno bene. L’entusiasmo dentro e intorno al Dall’Ara si è riacceso più o meno un anno fa, quando Motta ha ereditato un gruppo di giocatori inizialmente affidato a Sinisa Mihajlovic e l’ha trasformato in una delle squadre più sofisticate e divertenti della Serie A. In realtà, però, quello del Bologna è un progetto ideato e che va avanti da più tempo. A raccontarlo è Marco Di Vaio, già caposcout e club manager della società rossoblu, direttore sportivo da giugno 2022: «Per noi la svolta è arrivata a cavallo tra il 2019 e il 2020, dopo la prima salvezza ottenuta con Mihajlovic», dice Di Vaio in un’intervista a Undici. «In quel momento, insieme con il presidente, abbiamo cambiato approccio e così abbiamo iniziato a investire di più su calciatori giovani e di prospettiva, su talenti che secondo noi avevano delle potenzialità importanti e potevano essere valorizzati. Poi abbiamo deciso di portare avanti questa strategia guardando soprattutto all’estero. Fuori dall’Italia ci sono tantissime occasioni di mercato, però bisogna studiare, bisogna valutare bene tutti i profili. Bisogna conoscere i campionati e i Paesi che si vanno a esplorare».

Lo stadio di Bologna, inaugurato nel 1927, è intitolato a Renato Dall’Ara – presidente del club rossoblu dal 1934 fino alla morte, sopravvenuta trent’anni dopo – dal 3 giugno 1984. Ha ospitato due gare dei Mondiali del 1934 e quattro gare dei Mondiali del 1990. Ad oggi può accogliere poco più di 36mila spettatori.

Il presidente di cui parla Di Vaio è Giuseppe Saputo detto Joey, erede di una famiglia siculo-canadese che ha fatto fortuna nell’industria dei prodotti caseari, che secondo i dati di Forbes può disporre di un patrimonio da 4,2 miliardi di dollari, il 694esimo più consistente al mondo, e che dal 1992 possiede il Montreal Impact (diventato CF Montréal nel 2021), la seconda squadra non statunitense ammessa nella lega MLS. Saputo è arrivato in Italia nell’ottobre del 2014, quando il Bologna era in Serie B, acquisendo una piccola quota di azioni della società rossoblu. Due mesi dopo era già diventato azionista di maggioranza – oggi possiede il 99,9 per cento delle quote – ed era stato nominato presidente del club. Nella primavera del 2015, nel giro di poche settimane, il Montreal Impact ha perso la finale di Champions League del Nord-America e il Bologna ha conquistato la promozione in Serie A. Da allora la squadra rossoblu non è più retrocessa, anche perché Saputo ha costantemente iniettato capitali freschi – oltre 200 milioni di euro – nel bilancio aziendale, così da ripianare i buchi delle gestioni precedenti e far fronte alla crisi congiunturale legata alla pandemia. Insomma, inventarsi un modello di gestione (e di mercato) sostenibile, possibilmente anche virtuoso, era essenziale perché il Bologna potesse continuare a esistere. Lo spiega bene Di Vaio: «La strategia giusta da attuare ce l’hanno suggerita il mercato e la nostra forza economica. Abbiamo continuato a monitorare l’Italia, dove però i prezzi dei cartellini sono più alti, poi però ci siamo concentrati di più sul Nord Europa, su dei campionati da cui abbiamo avuto ottimi riscontri a livello di scountig».

Con il termine riscontri, ovviamente, Di Vaio si riferisce ai calciatori di talento osservati, acquistati e valorizzati nel corso degli ultimi anni: Skov Olsen, Svanberg, Schouten, Tomiyasu, Hickey e Theate, giusto per fare qualche nome, sono arrivati tutti da città europee con una latitudine più elevata rispetto a Bologna, e in seguito sono stati rivenduti a cifre più alte rispetto all’investimento iniziale. Spesso si è trattato di cifre decisamente più alte: Hickey è stato comprato per 1,7 milioni di euro e ha generato un incasso vicino ai 15, Theate è costato poco meno di sette milioni ed è stato ceduto per 19 milioni. Certo, non sono mancate delle operazioni un po’ diverse, si pensi per esempio all’acquisto di Arnautovic dalla Cina o a quello di Nico Domínguez dal Vélez Sarsfield, ma il core business del nuovo Bologna ha dei parametri – geografici, tecnici, anagrafici – piuttosto facili da individuare. Come succede sempre, nel calcio e nella vita, sono i risultati a indirizzare e poi a determinare le scelte.

E allora il Bologna di oggi è una squadra inevitabilmente giovane e multiculturale: la rosa allenata da Thiago Motta ha un’età media di 24,8 anni, la quinta più bassa dell’intera Serie A, ed è composta da 18 calciatori stranieri provenienti da 15 nazioni diverse; nella partita di fine novembre vinta per 2-0 contro il Torino, Motta ha schierato una formazione titolare con il 32enne Skorupski in porta e con dieci giocatori di movimento nati dopo il primo gennaio 1997; il capitano era il 26enne svizzero Michel Aebischer, il quarto giocatore straniero a portare la fascia nella storia del Bologna, il più giovane dai tempi di Giacomo Bulgarelli e Mauro Bellugi, due simboli del club; nelle ultime due sessioni estive di mercato sono arrivati calciatori dalla Jupiler Pro League belga (El Azzouzi, Lucumí e Zirkzee via Bayern), dall’Eredivisie olandese (Karlsson, Beukema), dalla Bundesliga tedesca (Posch), dalla Premier League inglese (Kristiansen), dalla Premiership scozzese (Ferguson), dalla Super League svizzera (Ndoye, Aebischer, Calafiori). Persino le scelte legate al management societario e tecnico sono andate nella direzione tracciata qualche anno fa: «A giugno 2022», spiega Di Vaio «l’arrivo di Sartori come nuovo responsabile dell’area tecnica è stata una decisione perfettamente in linea con il nostro modello: Giovanni aveva già operato benissimo sui mercati stranieri nelle sue esperienze con il Chievo e con l’Atalanta, quindi grazie a lui abbiamo ampliato e perfezionato il nostro modello, rendendolo ancora più virtuoso». Infine, lo staff che supporta Thiago Motta si compone di professionisti francesi, argentini, beninesi, brasiliani, oltre che italiani. «Ma questa è una scelta fatta direttamente dal mister», dice Di Vaio.

Ecco, appunto: il mister. L’intero corpo dirigenziale del Bologna, a partire proprio da Di Vaio e Sartori, è andato su Thiago Motta in modo naturale: «Venivamo da un periodo di soddisfazioni grazie al calcio intenso di mister Mihajlovic», racconta Di Vaio, «ma poi il suo ciclo si è esaurito. A quel punto ci siamo messi alla ricerca di un allenatore che potesse dare un’identità ancora più profonda alla squadra, e che avesse pure lui un potenziale da esprimere. In pratica abbiamo fatto lo stesso ragionamento che di solito facciamo coi calciatori. Sul mercato c’era Thiago Motta, e secondo noi era un profilo che poteva crescere e che noi potevamo supportare nel modo giusto. Oggi si può dire che abbiamo fatto la miglior scelta possibile: il lavoro del mister è stato ed è eccezionale, sta sviluppando il talento dei giocatori, li sta migliorando. Come squadra, stiamo prendendo coscienza di quelle che sono le nostre reali possibilità».

Le parole di Di Vaio riescono a trasmettere le sensazioni esatte che si provano quando si assiste e una partita del Bologna: si percepisce subito che si tratta di una squadra giovane, quindi iper-dinamica e volitiva, che a volte dà l’impressione di essere un po’ acerba, un po’ ingenua, nelle scelte puramente tecniche. Dal punto di vista tattico e della personalità, però, i giocatori rossoblu sono chiaramente più maturi rispetto alla loro età anagrafica: non rinunciano mai a muovere il pallone in modo ambizioso, né tantomeno concedono campo agli avversari; aggrediscono sempre, sia gli uomini che gli spazi, eppure in memoria hanno dei meccanismi che sfruttano sapientemente per restare ordinati sul campo in qualsiasi fase di gioco. Il Bologna, insomma, è una squadra che si diverte e che fa divertire. Che è bella da veder giocare, a prescindere dal risultato finale delle partite. Considerando come sono andate le cose, si può dire che la rifioritura del Bologna sia avvenuta per step: dopo aver incontrato una società che non è soltanto passata in città, ma che è rimasta e sta investendo per il futuro, il pubblico del Dall’Ara ora si è innamorato anche della squadra.

Giacomo Bulgarelli è il calciatore che ha accumulato più presenze nell’intera storia del Bologna: sono 486 in tutte le competizioni, di cui 392 in Serie A. A Bulgarelli, nato e cresciuto in provincia di Bologna, è stata intitolata la curva più calda del tifo rossoblu, precedentemente conosciuta come “Curva Andrea Costa”

In tutto questo, Thiago Motta ha avuto e ha un peso determinante. A dirlo non sono soltanto i tifosi bolognesi, ma anche degli osservatori esterni. Molto esterni: secondo il Guardian, per esempio, Motta «ha trasformato il Bologna»; per il quotidiano spagnolo Marca, invece, l’allenatore italo-brasiliano «ha costruito una squadra rivoluzionaria, che continua a giocare un gran bel calcio nonostante il mercato gli abbia tolto tanta tecnica, visto che sono partiti Barrow, Schouten e Domínguez e sono arrivati dei sostituti molto più fisici». Di Vaio, stuzzicato su questo argomento, dice una cosa piuttosto interessante: «In realtà credo che in estate abbiamo messo dentro tanta qualità: basta guardare a Karlsson, a Saelemaekers, a Ndoye, ma penso anche a Moro, Calafiori e Fabbian. Sono questi i profili che cerchiamo: giovani dinamici e resistenti, ma che sappiano sempre cosa fare con la palla. Anche in un contesto difficile come la nostra Serie A».

Lewis Ferguson, tuttocampista scozzese di 24 anni, è sicuramente uno dei talenti più scintillanti, tra quelli scovati e allevati dal Bologna. Qualche mese fa, in un’intervista alla BBC, ha detto che «venire in Serie A mi ha fatto crescere tantissimo: è un campionato di alto livello, in cui la preparazione tattica è fondamentale. L’esperienza al Bologna mi ha migliorato molto, come calciatore e come uomo». Impegnati come siamo a commiserarci, a criticare ininterrottamente il nostro calcio, ci siamo persi i momenti e i passaggi che hanno trasformato la Serie A in una lega piuttosto attrattiva, quantomeno per i giovani che vengono dall’estero. Certo, la differenza con il torneo All-Star che eravamo negli anni Novanta e con la Premier League di oggi è ancora molto elevata, ma ormai da tempo i giocatori non ancora affermati vogliono venire a completarsi e ad affermarsi in Italia. È all’interno di questo scenario che il Bologna, nel corso degli ultimi anni, si è costruito una reputazione solidissima: «Abbiamo fatto un lavoro importante», spiega Di Vaio, «e ora stiamo iniziando a raccoglierne i frutti. La Serie A è un contesto ipercompetitivo, perciò venire da noi è un passaggio molto formativo per i calciatori: l’intensità di gioco è cresciuta, gli allenatori sono esigenti, ci sono avversari di qualità. Il Bologna ora spicca, tra le possibili destinazioni italiane, perché ha acquisito credibilità sul calciomercato. I giovani che hanno potenziale accettano la nostra offerta perché sanno che qui possono sviluppare le loro qualità e poi, magari, accedere al livello successivo: noi gli raccontiamo una storia, la nostra storia, e loro a quel punto capiscono che giocare a Bologna può essere la scelta migliore per la loro carriera».

Il modello del Bologna ha un’anima chiara e sta chiaramente vivendo il suo primo grande picco. Di conseguenza, è inevitabile chiedersi quali siano i limiti e quindi i margini di crescita del progetto. Di Vaio, come al solito, ne fa una questione manageriale e strategica, più che di risultati: «Le operazioni fatte con Calafiori e con Fabbian dimostrano che possiamo lavorare bene anche con giocatori cresciuti in Italia, quindi vogliamo continuare a seguire bene anche il nostro campionato, in particolare la Serie B. E poi dobbiamo crescere con le giovanili: nella rosa di mister Motta abbiamo già inserito Corazza, Bagnolini e Urbanski, ma vogliamo portarne su qualcun altro. La linfa di ogni club come il nostro è la capacità di allevare il talento in casa». E per quanto riguarda gli obiettivi per questa stagione e per le prossime? «I risultati dipendono da tanti fattori», conclude Di Vaio. «Quello che sappiamo adesso è che abbiamo la possibilità di confrontarci con tutti, anche ai massimi livelli. E che possiamo fare bene».

Al termine di Bologna-Torino 2-0, Joshua Zirkzee è andato sotto la curva insieme a tutti i suoi compagni. Pioveva forte, eppure l’attaccante olandese ha festeggiato la vittoria e il gol che aveva segnato pochi istanti prima, nei minuti di recupero della ripresa, rimanendo praticamente in mutande. Più o meno nello stesso momento, mentre andava a passo svelto verso i portici dello stadio Dall’Ara per ripararsi dall’acqua, un tifoso del Bologna ha detto ad alta voce: «Joshua vuole andare via? Ma no, magari resta qui e se la fa con noi, la Champions». La donna che era con lui, sciarpa rossoblu al collo, l’ha guardato e non ha detto nulla. Poi ha sorriso. Certe volte capita che ci si possa dimenticare persino della disillusione e del disfattismo, persino a Bologna.

Da Undici n° 54
Foto di Alessandro Lupelli