Le infinite trasformazioni dell’hockey su ghiaccio a Milano

Un estratto dal libro Imprese. Storie di hockey e di amicizia, di Leonardo Gobbi, edito da Interno4 Edizioni.

L’incessante trasformazione, il panta rei di Milano, che tende al futuro in un continuo presente, è colto perfettamente dallo scrittore Aldo Nove in un libriccino del 2004 dal titolo Milano non è Milano (Laterza). La sua è un’anticonvenzionale guida turistica che inizia paragonando Milano al dio azteco Xolotl, raffigurato con sembianze antropomorfe e la testa di cane. Nel pantheon politeista azteco il capo delle divinità è il dio Sole, il quale, a un certo momento, sente che gli manca l’energia per mandare avanti l’universo. Allora chiede alle altre divinità di sacrificarsi facendosi mangiare da lui in modo da fornirgli il nutrimento necessario per mantenersi in forze e tenere in vita l’intero universo. Insomma, ‘sti dèi disgraziati si trovano davanti a un bel dilemma: se non si sacrificano il Sole muore e così l’universo scompare, loro compresi; se si sacrificano il Sole resta in vita e tutto sopravvive, tranne loro. Riflettendoci, lo stallo alla messicana ha probabilmente origini più antiche di quelle conosciute dagli Spaghetti Western… 

In ogni caso, da questa impasse gli altri dèi escono combinando senso di sudditanza verso il boss e animo di altruismo cosmico e si immolano come cibo per il Sole. Ma non tutti. Xolotl aveva una gran voglia di vivere e, in fondo, anche lui era un pezzo dell’universo. Farsi mangiare dal Sole, pensava Xolotl, sarebbe per lui equivalso alla scomparsa dell’universo. A quel punto partorisce un piano di sopravvivenza geniale, anzi divino. Tutti gli dèi avevano un loro aspetto e un nome che li rendeva riconoscibili. Se però lui fosse riuscito a trasformarsi in continuazione, mutando forma e nome senza sosta, sarebbe stato tutto e niente, irriconoscibile, inafferrabile, non sarebbe stato possibile mangiarlo e sarebbe sopravvissuto. Quindi, secondo la leggenda, quando è il suo turno di morire scappa e si va a nascondere in un campo di mais assumendo la forma di una pianta dal doppio gambo. Scoperto si nasconde tra le agavi. Beccato nuovamente fugge ancora e si trasforma, cambiando anche nome in Axolotl, in un pesce. Una pianta di mais, un’agave, un pesce, e chissà quante altre trasformazioni successive, solo per sopravvivere. Come Milano.

C’è uno sport che ha plasticamente rappresentato nell’ultimo secolo questa sorta di effetto fenice della città di Milano, il suo ciclo di infinita sovrascrittura, tra nascita, sparizioni, rinascite, trasformazioni: l’hockey su ghiaccio. È il 28 dicembre 1923 quando in via Piranesi, zona di Porta Vittoria, nella periferia est di Milano, si inaugura il Palazzo del Ghiaccio. Una struttura in stile liberty eccezionalmente sfarzosa per l’epoca. Viene presentato come il palazzo del ghiaccio più grande d’Europa, fortemente voluto e in buona parte finanziato dal conte Alberto Bonacossa, ricchissimo pluricampione di pattinaggio. Il 10 marzo del 1924 nasce l’Hockey Club Milano.

Da quella data in poi a Milano si alterneranno periodi fortunatissimi per interesse e successi sportivi, in cui ci saranno più squadre ad alto livello, a periodi di crisi, soprattutto finanziarie, con dolorose chiusure e frequenti, più o meno fallimentari, fusioni. Già nella stagione 1927/28, per esempio, a causa degli esosi costi di mantenimento della pista, il Palaghiaccio fu chiuso e l’Hockey Club Milano giocò solo amichevoli all’estero. Dalla fine del 1928 si tornò a giocare al Piranesi grazie ai fondi stanziati dal governo centrale. Negli anni Trenta, dato il crescente interesse e numero di praticanti, venne creato un nuovo club, l’Excelsior Milano, che divenne presto, con intervento diretto dell’AC Milan, Diavoli Rossoneri. Allo stesso modo l’HCM – siamo in pieno ventennio fascista – assunse la denominazione di Associazione Disco Ghiaccio Milano. Nel 1937 i due club si fondono nell’Associazione Milanese Disco Ghiaccio Milano. Nel 1939 apparve una nuova formazione hockeystica, i Diavoli Nerazzurri, che sconfisse l’Associazione Milanese Disco Ghiaccio Milano nella finale della Coppa del Federale.

Dopo la Seconda guerra mondiale si torna all’attività agonistica con le rifondate due squadre storiche, anzi, dalla seconda metà degli anni Quaranta diventano tre e poi quattro: nascono infatti l’Amatori Hockey Milano e l’Hockey Club Bocconi. All’inizio degli anni Cinquanta l’HCM diventa Hockey Club Milano Inter, una sorta di succursale hockeystica della squadra di calcio, ma nel 1956 la stessa società è costretta a fondersi con i Diavoli Rossoneri, causa problemi economici di entrambe, rinascendo come Milan Inter Hockey Club e trasformandosi, qualche stagione dopo, in Diavoli – campioni d’Italia nel 1960, ultimo scudetto a Milano per oltre trent’anni. Rimasero attivi fino al 1975. 

In quegli anni in città era appena nato un nuovo club, il Turbine (nome meraviglioso per un supereroe di provincia). Quest’ultimo, proprio grazie all’innesto dei Diavoli raminghi, ottenne la promozione in serie A nel 1977. L’anno dopo si torna alla denominazione Diavoli e poi, in un ulteriore make-up societario, la società diventa HC MilanInter. Per finire si trasferisce a Varese all’inizio degli anni Ottanta, lasciando in città solo un redivivo Hockey Club Milano che originariamente era stato creato per l’attività giovanile, senza una prima squadra di adulti. Dopo una stagione in terza lega svizzera, il Milano rientra in Italia (tre stagioni in serie B, giocando al Saini), poi, con l’arrivo dei mecenati miliardari, il super-imprenditore edile Giovanni Cabassi e l’amministratore delegato della Frigoriferi Milanesi (del gruppo Cabassi) Massimo Moretti, torna a giocare al Piranesi. Come si sarà notato dalle precedenti righe, in cui sono sommariamente condensati settant’anni di storia, l’hockey a Milano ha subito più trasformazioni di Arturo Brachetti in un suo spettacolo teatrale, e altre ne arriveranno nel successivo trentennio. 

Un estratto dal libro Imprese. Storie di hockey e di amicizia, di Leonardo Gobbi, edito da Interno4 Edizioni.