Possiamo continuare a ripeterci che non è da un calcio di rigore che si giudica un giocatore, ma sappiamo tutti che non è questa la verità. O meglio, non è sempre la verità. Come tutte le regole, anche quella stabilita da Francesco De Gregori nella “Leva calcistica della classe ’68” ha le sue eccezioni. Sicuramente, De Gregori non avrebbe scritto quella canzone in quella maniera se avesse visto il rigore sbagliato da Ante Budimir nell’ultima giornata di Liga, contro il Valencia. Certamente, se De Gregori avesse visto il tragicomico rigore calciato da Budimir avrebbe aggiunto un verso alla sua canzone, un verso per precisare che d’accordo, non è da questi particolari che si giudica un giocatore, ma c’è pure un limite alla benevolenza, alla comprensione, all’empatia di chi sta lì a guardare un calciatore che sbaglia un rigore. C’è modo e modo, insomma: sì può calciare male, si può tirare fuori, si può colpire il legno, ma l’importante è dare almeno la sensazione di aver tirato un calcio di rigore. Da questi particolari sì che si giudica un giocatore.
Chissà cosa è passato per la mente di Budimir, in quei momenti, nel breve spazio che lo separava dall’idea alla sua realizzazione. Sicuramente non pensava di calciare in quella maniera, di questo ci si può dire certi oltre ogni ragionevole dubbio. Anche perché è impossibile pensare di tirare un calcio di rigore in quella maniera: come si fa a immaginare di riuscire nella più incomprensibile e inefficace finta della storia, come si può pensare di prodursi nel più goffo e imbarazzante tentativo di cucchiaio – ma era davvero questo che Budimir voleva fare? O era una giocata mai vista prima, esistente solo nella sua immaginazione, talmente futuristica da non poter essere realizzata con i limiti che la natura ancora impone al corpo umano – come è possibile anche solo ipotizzare un futuro in cui si diventa il peggior rigorista di tutti i tempi? Nel post partita, l’Osasuna ha diffuso un comunicato stampa in cui spiegava che subito dopo il fischio finale Budimir è stato costretto al ricovero in ospedale a causa della frattura di tre costole sofferta in campo. Basta a spiegare quanto successo? Forse sì, perché parliamo pur sempre del quasi capocannoniere della Liga – Budimir ha segnato 16 gol, avesse calciato questo rigore in modo “normale” sarebbe arrivato a 17, superando Bellingham e raggiungendo Dovbyk. Forse l’unica maniera per spiegare quanto successo è davvero una ridotta ossigenazione al cervello.
Non siamo nella mente di Budimir, non lo saremo mai. Ma nel modo in cui lui stesso ha reagito al suo calcio di rigore, possiamo percepire quello spaesamento, quel disorientamento, quella confusione esistenziale che assale ognuno di noi nei momenti più sbagliati e inspiegabili della vita. Per un attimo si guarda attorno, Budimir, come alla ricerca di un agente sabotatore che gli ha impedito di tirare il rigore come avrebbe dovuto tirarlo. Poi capisce quello che tutti capiamo a un certo punto della nostra vita: il problema non è attorno a noi ma dentro di noi. E a quel punto Budimir si mette le mani sugli occhi, ma la sua intenzione non è quella di non vedere più il mondo ma di nascondersi dallo sguardo dello stesso. L’imbarazzo lo travolge, e poi arriva la recriminazione, che da che mondo è mondo gli esseri umani rivolgono al cielo sopra di loro: è lì che esistono, è da lì che agiscono, le forze misteriose e inconoscibili che spesso ci conducono sul sentiero dell’inspiegabile. I compagni di Budimir hanno l’accortezza di non dirgli niente, nessuno va a disturbarlo nel momento del dolore massimo: la partita continua, il gioco riprende. Verrà un altro calcio di rigore, ci sarà la possibilità di rimediare. Tanto peggio di così non si può fare.