Luis Enrique ha detto che allena il Psg anche a subire errori arbitrali

Nelle partitelle a fine allenamento lui fa l'arbitro e sbaglia apposta tutte le chiamate. E ai giocatori è vietato protestare.
di Redazione Undici

Le partitelle di fine allenamento del Psg devono essere uno degli esercizi più faticosi che ci siano. Non dal punto di vista fisico ma da quello psicologico: immaginate di giocare una partita diretta da un arbitro che vede tutto e ignora tutto. Vede che subite un fallo e non solo lo ignora, ma vi invita pure ad alzarsi in fretta, a ricominciare subito a giocare, a non interrompere il prosieguo dell’azione. Vede che una rimessa laterale spetterebbe alla vostra squadra ma invece la assegna a quella avversaria, e non basta: non finge nemmeno di aver sbagliato, non si sforza neanche di giustificare l’errore ma vi dice apertamente che lo ha fatto apposta, di proposito. Stando alle sue stesse parole durante la conferenza stampa prima della partita di ritorno contro il Borussia Dortmund, è così che Luis Enrique arbitra le partitelle che i giocatori del Psg giocano alla fine di ogni sessione d’allenamento. «È dall’inizio dell’anno che ci alleniamo a subire errori arbitrali. Il pallone finisce fuori? Continua a giocare! Subisci un fallo? Nessuno ha visto niente».

Le ragioni e gli obiettivi di Luis Enrique sono chiari, i modi e i metodi anche: posto che gli errori arbitrali non si possono prevedere, la cosa che si può prevedere è la maniera di reagire agli errori arbitrali. Il punto è non cedere al nervosismo, non lasciarsi andare allo scoramento, non perdere tempo ed energie in crisi isteriche. Il principio è semplice, dunque: costruire piano piano una tolleranza all’errore arbitrale, fino al raggiungimento dell’immunità. D’altronde, questa è stata la stagione in cui di arbitri e arbitraggi si è parlato moltissimo anche oltre i confini del Paese in cui si parla sempre moltissimo di arbitri e arbitraggi (il nostro, di Paese). Polemiche e dibattiti su arbitri, organici e meccanici, ci sono state anche in Spagna – della surreale politica della Federazione spagnola in fatto di Var abbiamo scritto qui – e in Inghilterra, Paese, quest’ultimo, che in passato ha fatto del distacco nei confronti della questione arbitrale un vanto, usandolo spesso e volentieri per sottolineare la distanza che lo separava da tutti gli altri Paesi europei e dalle loro Farmers League (definizione invecchiata improvvisamente e malissimo quest’anno, grazie anche al fondamentale e apprezzatissimo contributo di Mats Hummels).

Il fatto che un allenatore come Luis Enrique dica apertamente, in una conferenza stampa, che l’errore arbitrale fa parte delle routine d’allenamento della sua squadra è la prova empirica di una verità calcistica dalla quale negli ultimi anni abbiamo cercato di fuggire: come in tutte le cose umane, anche nel calcio esiste un margine di errore, un tendenza alla fallibilità che semplicemente non può essere cancellata. Certo, questo margine, questa tendenza si può ridurre grazie all’ormai indispensabile aiuto della tecnologia. Ma gli esseri umani restano esseri umani, e anche dalla decisione in teoria insindacabile di una macchina riescono a fare oggetto di polemica, motivo di malessere. E quindi, l’unica cosa che resta da fare è rassegnarsi. E allenarsi.

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