Manca ancora una giornata al termine del campionato di Serie A, ma le piattaforme tv hanno già annunciato un aumento dei prezzi in vista della prossima stagione. Le principali emittenti che trasmettono le partite di calcio, quindi, hanno già fatto preoccupare gli appassionati, a fronte di costi che i tifosi considerano sempre più gravosi per seguire da casa il campionato e le coppe, o anche solo la propria squadra del cuore. Dalle norme sui diritti tv – introdotte per la prima volta nel 1980 – alla nascita di TELE+, dal duopolio di quest’ultima con Stream TV alla nascita di Sky, fino alle piattaforme di streaming che da qualche anno tentano la scalata sulle pay-tv tradizionali, gli ultimi quarant’anni sono stati pieni di trasformazioni, anche di grandi scossoni. Ciò che non cambia è che le tv continuano a finanziare le casse di club e Federazione: il valore stimato di 900 milioni per i diritti tv della Serie A verrà pagato ogni anno, fino al 2029, da Dazn e da Sky. Con questa suddivisione: 700 milioni da Dazn e il resto da Sky. La domanda dei consumatori però è una sola, al di là del valore tecnico del campionato italiano: vedere le partite sta diventando troppo costoso? Perché lo spacchettamento del campionato su diverse piattaforme non agevola il contenimento dei prezzi? Da cosa sono motivati i rincari? Per rispondere a queste domande, ha senso fare una valutazione delle varie offerte e degli abbonamenti necessari per vedere tutte le gare, tra Serie A e competizioni Uefa, paragonando la spesa degli appassionati italiani a quella dei tifosi di Inghilterra, Spagna, Francia e Germania.
Come detto, in Italia proseguirà il binomio Dazn-Sky. La piattaforma streaming fondata a Londra nel 2015 continuerà a trasmettere tutte le 380 partite della Serie A, mentre Sky ne avrà tre ogni giornata. Solo che la pay-tv di Comcast. dal prossimo anno, potrà offrire più big match (in media uno ogni tre-quattro turni), con la seconda scelta quasi sempre garantita, mentre il pacchetto «Try and Buy» di Dazn consentirà la trasmissione di alcuni incontri anche al di fuori dell’abbonamento. Attenzione però alle coppe, perché dalla stagione che verrà le competizioni Uefa saranno in esclusiva su Sky – a eccezione di un match di Champions del mercoledì, trasmesso in esclusiva da Amazon Prime Video. Quindi, tornando agli aumenti, senza considerare l’offerta legata agli altri sport del palinsesto con il piano «Start», Dazn prevede un piano «Standard» da 34,99 euro al mese e un piano «Plus» (disponibile su due reti internet) che salirà a 59,99 euro al mese, dopo essere aumentato a a 45,99 euro nel 2023, e a 49,99 euro nello scorso mese di gennaio. Lato Sky, i prezzi aumenteranno a inizio giugno: 6,90 euro in più per lo Sport e 3 euro in più per il Calcio, dopo un congelamento durato sette anni. Il pacchetto Sport passerà così da 16 a 22,90 euro, mentre il calcio da 5 euro passerà a 8 euro mensili. Per gli abbonati legati al vecchio listino prezzi l’aumento (solo per lo Sport) sarà invece di 7,99 euro: circa uno in più ogni trenta giorni.
A fronte di un prevedibile malcontento – motivato dal generale aumento dei prezzi in tutti i settori e del costo della vita più alto – i detentori dei diritti tv motivano i rincari sulla base di alcune valutazioni. La prima è legata all’ampliamento dell’offerta, perché programmi, docufilm, lungometraggi e altre discipline sportive faranno parte dei pacchetti – anche se non sempre interessano l’appassionato di calcio. La seconda, soprattutto per Sky, è la quasi totale esclusiva delle competizioni Uefa: se da una parte Europa League e Conference League saranno precluse ai concorrenti, la Champions League, anche con il limite del match trasmesso da Prime Video il mercoledì, potrà offrire agli abbonati incontri molto più interessanti per via della riforma radicale del torneo, che presenterà dalla prossima stagione una formula a girone unico che garantirà molti più scontri diretti tra le big. In totale, quindi, Sky trasmetterà 185 delle 203 partite di Champions per le prossime tre stagioni, dal 2024-25 al 2026-27. Il terzo motivo è legato ai costi degli abbonamenti all’estero. Un paragone che consola solo parzialmente i tifosi italiani, dal momento che tedeschi e francesi incassano stipendi mediamente più alti rispetto ai nostri – e infatti solo gli spagnoli pagano di più. La frammentazione dei campionati nazionali risulta tuttavia peggiore in quasi tutti gli altri casi: Dazn ha infatti più volte rimarcato il pregio di trasmettere tutta la Serie A su un’unica piattaforma.
Ma vediamo in dettaglio come funziona all’estero, almeno fino alla conclusione della stagione 23/24. In Spagna la Liga può essere interamente vista su Movistar+, ma l’abbonamento passa da una sottoscrizione legata alla fibra internet. Il costo minimo per il campionato spagnolo è pari a 100,90 euro al mese, incluse le partite trasmesse da Dazn. Per avere tutto il calcio, non solo la Liga, occorrono però 113,90 euro al mese. La Premier League inglese è il campionato più ricco e bello del mondo, ma per godersela servono ben tre abbonamenti. Che, nonostante tutto, non bastano per garantirsi la copertura totale delle partite: per incoraggiare i tifosi ad andare allo stadio, infatti, nel Regno Unito vengono trasmessi in tv solo 200 dei 380 incontri del massimo campionato. Per quelli che possono essere visti in tv, serve abbonarsi a Sky, che ne trasmette 128, a Tnt Sports, che ne manda in onda altri 52, e ad Amazon Prime Video per i restanti 20. I prezzi si attestano sommariamente intorno all’equivalente di 80 euro al mese (69,99 sterline), senza considerare Prime, che prevederebbe la spesa mensile di altri 10 euro (8,99 sterline).
In Germania il costo della Bundesliga è di circa 50 euro mensili, anche se nell’ultimo anno sono stati comunque necessari due abbonamenti. Da una parte Dazn, al costo di 24,99 euro al mese, permetteva di vedere 106 partite di campionato e 121 di Champions League; dall’altra, per completare la programmazione calcistica, ne servivano altri 24,99 mensili per pagare l’abbonamento a Sky oppure a Wow, la versione tedesca di Now, pressoché allo stesso prezzo. Discorso diverso per la Francia, dove il calcio è apparentemente più economico. In questo caso ha inciso significativamente il fallimento di Mediapro, che di fatto ha determinato una perdita di valore e un ridimensionamento dei costi. La Ligue 1 viene trasmessa su Prime Video per 21 euro al mese e su Canal+, che offre tutte le altre competizioni calcistiche e agli utenti chiede in cambio 34,99 euro al mese. Anche in Francia, quindi, occorrono due abbonamenti.
Guardando i meri numeri, dunque, il calcio italiano non sembra più così caro. In realtà, il confronto con i tifosi degli altri Paesi va fatto tenendo conto dello stipendio medio netto di ciascun potenziale abbonato. In questa classifica, partendo dai dati di Eurostat, un appassionato spagnolo investirebbe il 4,8% dei propri guadagni per vedere il calcio in tv (in dodici mesi 1.367 euro di spesa su 28.184 euro di salario medio annuale), uno inglese il 2,7% (convertito in euro 1.020 di spesa per 37.260 euro guadagnati in un anno), uno francese l’1,7% (672 su 40.135 euro), uno tedesco l’1,4% (600 su 44.404). La posizione dell’Italia viene influenzata dagli aumenti di cui abbiamo parlato, perché da una spesa annuale media di 469 euro, per vedere tutto il palinsesto calcistico si potrebbe presto arrivare fino a 900 euro, considerando Dazn, Sky e Amazon Prime.
I detentori dei diritti tv hanno già precisato che alla vigilia dei campionati, ovvero tra la fine di luglio e i primi di agosto, potrebbero essere annunciate anche delle promozioni. E va detto anche che i nuovi prezzi dovranno far fronte agli investimenti per la lotta alla pirateria, per una trasmissione degli incontri tecnologicamente più avanzata e per un miglior piazzamento del calcio italiano nel ranking Uefa. I rincari, quindi, devono essere considerati fisiologici. Anche perché, per contenere i prezzi, servirebbe un numero di abbonati molto superiore al milione e mezzo attuale. L’alternativa non percorribile sarebbe quindi quella di abbassare non solo i costi delle partite, ma anche quelli dei diritti tv, con Lega e club costretti a ridimensionarsi, come come avviene nei Paesi Bassi oppure in Portogallo. Così, se da una parte il nostro calcio diventa più attraente, dall’altra la sua iniziale vocazione «popolare» rischia ora di appartenere a un bacino d’utenza sempre più ristretto.