Come Toni Rüdiger è diventato il difensore più forte al mondo

Da centrale prestante e un po' disordinato, col tempo, si è trasformato in un calciatore completo. Senza smarrire la sua identità e il suo atteggiamento esuberante.

Inutile negarlo: che Antonio Rüdiger sia un giocatore un po’ pazzo – forse il più pazzo di tutti – lo pensiamo spesso. Per esempio quando ha baciato il monitor del VAR dopo la vittoria in semifinale contro il Bayern Monaco. Oppure quando ha deciso di spaventare una poliziotta nel tunnel del Bernabéu prima di un Clásico. E se rincorre il pallone con le sue larghe falcate, imitando il terzo tempo di un pivot NBA pesante, non possiamo fare a meno di ridere. Poi davanti alle sue espressioni facciali demoniache, con gli occhi ben spalancati e la lingua in fuori, rimaniamo interdetti. Insomma, Rüdiger non passa mai inosservato. Ma oltre a essere un atleta un po’ folle, oggi è anche il miglior difensore del mondo, almeno per quanto riguarda il puro rendimento personale. E per capirlo basta guardare alle ultime partite di Champions League in cui ha fermato – ma si potrebbe dire in cui ha annullato, in cui ha travolto – i centravanti più forti al mondo. 

In questi ultimi mesi, Rüdiger è come se avesse trasportato la sua personalità stravagante in campo, difendendo con uno stile unico, tutto suo. A 31 anni, dopo diverse esperienze tra Germania, Italia e Inghilterra, al Real Madrid ha finalmente raggiunto la sua massima espressione, il suo prime, perfezionando uno stile di gioco fondato su aggressività e duelli costanti. Dietro tutto ciò, però, si nasconde una lunga formazione costruita nel tempo, un lavoro fatto con gli allenatori, estremamente diversi, che ha incrociato a Roma e a Londra. E che lo hanno reso la colonna portante del Real Madrid di Ancelotti. 

Facciamo un passo indietro. Dopo i gravi infortuni di Militão e Alaba a inizio stagione, era calato un alone di dubbi sulla retroguardia del Real. Ma Toni, che era sempre rimasto l’alternativa ai due titolari, ha sfruttato la propria occasione diventando il leader della difesa e della squadra – tant’è che solo Valverde ha giocato più minuti in questa stagione. Rüdiger è stato il giocatore più decisivo nella fase finale della Champions League. Per come ha fatto smaterializzare gli attaccanti avversari, e l’abbiamo già detto. Ma in realtà lo è stato anche dall’altro lato del campo: contro il Manchester City ha segnato il rigore per la vittoria – dopo aver indicato a Lunin dove avrebbe calciato Kovacic, uno dei suoi migliori amici. Contro il Bayern Monaco ha servito l’assist perfetto per il gol di Joselu, quello che ha permesso alla sua squadra di completare la rimonta. 

Antonio Rüdiger fa parte di quel gruppo di difensori secondo cui il controllo dell’uomo, sull‘uomo, prevale sul controllo dello spazio. E allora il suo gioco vive di scontri individuali, del tentativo continuo di tagliare fuori l’attaccante rivale. Cercando di entrargli in testa, penetrando i confini del subconscio per prendere posto nei suoi incubi. La sua difesa è opprimente, volta allo sfinimento atletico e psichico. Lo dicono i numeri: secondo i dati FBref Rüdiger è nel 97 percentile tra i difensori centrali per dribbling fermati e nel 90 percentile per scontri aerei vinti in stagione. Vuol dire che batterlo in un duello individuale è quasi impossibile.

Rüdiger mantiene costantemente il contatto con l’avversario, con l’obiettivo di soffocarlo, fino a ridurlo a dubitare della propria esistenza. E lo fa in ogni maniera: con tutte le parti del suo corpo, con le parole – il suo è un trash talking versione calcistica – oppure utilizzando qualche “trucchetto del mestiere” – un esempio: quando ha infastidito Morata tirandolo per i capezzoli. In questo modo arriva in anticipo sul pallone, magari rubandolo o semplicemente sporcandolo. La sua marcatura a uomo è una questione di testa prima che fisica. «La mia forza è la mente. Vinco tante battaglie lì dentro», ha raccontato recentemente il centrale tedesco a un evento di Under Armour. 

Di tutta questa storia, Erling Haaland ne sa qualcosa: Rüdiger, infatti, è la sua kryptonite. Nella doppia sfida ad aprile, il centravanti norvegese è stato seguito ovunque, e così si è visto bruciare sul nascere ogni tentativo di spunto. Alan Shearer, in un articolo per The Athletic, ha scritto che Rüdiger è riuscito «a cancellare l’avversario dal tempo, dallo spazio e, dunque, da qualsiasi opportunità». Come se avesse ridotto l’intero manto verde a poche ciocche erbose, a una piccola terra in cui è stato facile, per lui, essere l’unico dominatore. Al punto che, negli ultimi tre incroci con il Real Madrid, quindi con Rüdiger, Haaland ha messo insieme 0.94xG (dati SofaScore). Sono numeri senza senso, considerando che in questa stagione Haaland ha registrato una media 0.95 xG a partita. E sono il frutto di partite che, evidentemente, gasano tantissimo Rüdiger: «Ho sempre sognato sfide come queste. È bellissimo viverle da protagonista», ha detto il giocatore del Real Madrid alla UEFA. Tra Rüdiger e Haaland si è creata una rivalità che ha oltrepassato la dimensione del pallone, diventando materiale per meme – anche perché, naturalmente, la marcatura di Rüdiger su Haaland è stata, come dire, piuttosto intensa e creativa.

Per Rüdiger, l’abilità nella marcatura a uomo non rappresenta un limite, come spesso accade ai difensori specializzati nell’uno contro uno. Il centrale del Madrid, infatti, si è integrato alla perfezione nel sistema difensivo ibrido di Ancelotti, un sistema che vive di momenti, che alterna periodi di pressione asfissiante a lunghi momenti d’attesa. La squadra tiene sempre sotto controllo l’avversario, grazie all’intelligenza interpretativa dei propri talenti, capaci di muoversi seguendo scalate preorganizzate. Ma generalmente, come abbiamo visto contro il Bayern, i Blancos prediligono un blocco medio disposto col modulo 4-4-2. In un contesto del genere, i difensori centrali hanno il compito più complicato, visto che si ritrovano a gestire non solo il centravanti ma anche la terra di mezzo tra le linee – per intenderci quella presidiata da Musiala nella semifinale di ritorno. Uno spazio che però Rüdiger è riuscito a gestire bene grazie alla sua lucida aggressività, abbandonando spesso la propria posizione e bloccando i movimenti del trequartista tedesco. Dimostrando di saper aggredire non solo l’uomo, ma anche lo spazio.

La forza che Rüdiger ha sempre avuto è quella di non volersi affidare unicamente al proprio istinto, alla propria esuberanza atletica: «In allenamento cerco ogni volta di migliorarmi», disse in questa intervista rilasciata ai canali ufficiali della federazione tedesca. A parlare era un Rüdiger appena 18enne, tesserato nelle giovanili del Borussia Dortmund. Poi è passato allo Stoccarda, e da allora ha avuto la fortuna di incontrare autentici scienziati della fase difensiva: alla Roma, durante la stagione 2016/17, ha trovato Spalletti, che lo ha reso un difensore flessibile, assegnandoli un ruolo chiave nella sua difesa liquida; al Chelsea ha incontrato Conte e Sarri, due tecnici diversi tra loro, con cui inizialmente ha fatto fatica. Entrambi, infatti, prediligono una difesa più disciplinata e di reparto, meno aggressiva e diretta sull’uomo. Rüdiger si è trovato in difficoltà a difendere sulla profondità, tentando nel tempo di adattarsi a una sistema più posizionale. Ma grazie alle sue abilità in pressione è stato comunque uno dei difensori più presenti in quelle stagioni.

Poi è arrivato Lampard, che tra il 2019 e il 2021 lo ha utilizzato meno. «Ero a terra. Dal nulla [Lampard] mi ha detto che preferiva altri giocatori rispetto a me», ha scritto il centrale tedesco su The Player Tribune. Ma il successivo cambio in panchina, con l’approdo di Tuchel, ha cambiato il suo destino e quello dello stesso Chelsea, poi vincitore della Champions League. Il tecnico tedesco lo ha rimesso al centro della squadra e di una fase di non possesso più adatta alle sue caratteristiche, dandogli più fiducia soprattutto con la palla. «Il primo giorno Tuchel mi ha chiesto: “Toni, dimmi di te. Da dove viene tutta questa aggressività?”. Quando è arrivato, è come se avessi avuto la sensazione di rinascere», ha spiegato ancora Antonio per TPT. E dopo avergli raccontato la storia della sua famiglia, scappata dalla Sierra Leone per fuggire alla guerra, emigrata a Berlino, a Neukölln – un quartiere in cui l’unico modo per sfuggire dalla realtà è cominciare a rincorrere un pallone – tra lui e il tecnico si è creato un legame innanzitutto umano, poi tattico, Un legame che ha portato Rüdiger alla maturità.

Oggi Rüdiger è una specie di superatleta, estremamente forte e veloce. Ciò che stupisce è la sua capacità nel far coesistere la sua corporatura imponente e un’eccezionale rapidità di esecuzione, di pensiero e di lettura. Rüdiger può apparire dal nulla in area di rigore, raggiungendo ogni pallone grazie alle sue lunghe leve – come ha fatto su Foden nella finale di Champions League del 2021. Oppure può asfissiare l’avversario, trascendendo il concetto di difesa a uomo. Ma Toni è riuscito a fare la cosa più difficile per un calciatore: è migliorato nel tempo, assorbendo gli insegnamenti dei propri tecnici. È diventato un difensore intelligente, bravo a interpretare ciò che gli succede intorno. Così la difesa del Real Madrid, pur ritrovandosi in emergenza, è stata la migliore della Liga. Ora Rüdiger punta alla seconda Champions League personale da protagonista assoluto. E perché no, volge lo sguardo verso l’Europeo in Germania, in casa.