Il tempo dei Giochi

Come si misurano record e statistiche alle Olimpiadi? Omega lo fa da quasi cent’anni, contribuendo allo sviluppo tecnologico di come si “analizza” lo sport.

In pista un centesimo di secondo può fare la differenza tra una medaglia e una delusione. In pedana un minimo inciampo può far perdere la coordinazione e il ritmo. In acqua una virata al momento giusto può cambiare l’esito di una gara. Maneggiare il tempo, imparare a sentirlo, ad attraversarlo, è un’arte che pochi possono portare alla massima espressione. Al livello più alto dello sport, gli atleti imparano a scomporlo, il tempo, a scucirlo in ogni istante utile per farci stare una falcata, una bracciata, un affondo, un volteggio. I grandi atleti lavorano ogni giorno come artigiani in bottega per padroneggiare quest’arte, per stare nelle pieghe del tempo sempre più a loro agio. Da fuori, la forza, la fluidità dei movimenti e la naturalezza dei corpi nasconde tutto. Lo fanno sembrare facile, ci diciamo, sapendo che non è così. E senza gli strumenti giusti sarebbe ancora più difficile apprezzare il lavoro dei grandi campioni, misurarne qualità e precisione, emozionarsi di fronte a una simil-perfezione estetica e tecnica.

Le Olimpiadi non renderebbero giustizia alla professionalizzazione degli atleti e alla loro etica del lavoro se non offrissero dati di gara sulla performance in tempo reale, se non permettessero di analizzare, a competizione finita, il come e il perché di una prestazione, e capire come ha fatto un campione a infrangere un altro record o a raggiungere vette mai toccate prima.

C’è un’enorme mole di informazioni che sta rivoluzionando il modo di fare e comprendere lo sport. I dati disponibili praticamente in tempo reale su ogni atleta, su ogni gara, su ogni vittoria possono contribuire a costruire una narrazione migliore, che completa e migliora l’esperienza visiva. È una realtà resa possibile dal lavoro e dalla tecnologia di Omega, brand partner delle Olimpiadi dal 1932 che a ogni edizione dei Giochi – estivi o invernali – sposta l’asticella un po’ più su. A Parigi, per esempio, ci sarà per la prima volta l’ultimissima generazione di fotofinish. La Scan ‘O’ Vision Ultimate, potenziata, con la più alta risoluzione di qualsiasi fotocamera per fotofinish sul mercato: può catturare fino a quarantamila immagini digitali al secondo nei primi cinque millimetri della linea del traguardo. In questo modo si può sapere esattamente cosa succede sull’arrivo, senza incertezza su chi ha tagliato il traguardo per primo, chi per secondo, chi per terzo, in tutti quei casi in cui sarebbe incomprensibile a occhio nudo. Così renderà più veloce per i giudici decidere il risultato e separare gli arrivi ravvicinati con la massima chiarezza. I sensori dedicati ai colori consentiranno inoltre immagini più nitide, senza interferenze di pixel. Questa versione migliorata sostituisce il precedente Scan’O’Vision Myria, che era in grado di registrare diecimila immagini digitali al secondo.

La Regina dei Giochi, l’atletica, non è l’unica disciplina a guardare da vicino le ultime innovazioni tecnologiche. Nel nuoto, il sistema Swim Tracker raccoglie dati come le posizioni, la velocità e persino il numero di bracciate di un singolo atleta in tempo reale. E contemporaneamente viene offerto allo spettatore un confronto con i modelli storici. «Abbiamo dei Led per ogni corsia che si illuminano a seconda del piazzamento della gara, poi quando i nuotatori partono abbiamo gli intertempi in simultanea grazie alle pedane, e abbiamo la linea virtuale del record del mondo che vedere in televisione e non appena finito abbiamo i tempi definitivi, che sono poi anche quelli che diventano ufficiali», ci racconta Alain Zobrist, CEO di Omega.

È una realtà aumentata che contribuisce a rendere le competizioni ancora più partecipate, più sentite, creando una maggior consapevolezza nello spettatore e permettendo a chiunque di misurare e valutare la performance di un campione. Poi ci sono i motori grafici che corredano l’estetica televisiva e permettono di produrre grafiche in altissima definizione e possono anche tradurre simultaneamente in sette lingue diverse sullo schermo – cinese, coreano, giapponese, russo, arabo, italiano e francese, oltre all’inglese –, tutte nello stesso momento. A Parigi ci saranno circa 190 di questi motori al lavoro su campi e palazzetti per coprire tutte le discipline.

E poi ci sarà Vionardo, la tecnologia grafica di ultimissima generazione. L’emozionante esperienza dei Giochi Olimpici non sarebbe la stessa senza la grafica approfondita e informativa di Omega. Dal cronometraggio al punteggio in tempo reale, fino ai risultati finali e alle informazioni sugli atleti, queste visualizzazioni continue e immediate sullo schermo sono ormai una parte familiare ed essenziale della visione televisiva. Se Innsbruck 1964 viene spesso descritta come la prima edizione dei Giochi Olimpici trasmessa in televisione – con oltre 200 ore di trasmissione dedicate agli eventi e decine di emittenti televisive a seguire l’evento sul posto – ora, 60 anni dopo, l’evoluzione raggiunge un nuovo apice. La tecnologia di grafica televisiva di nuova generazione di Vionardo mostrerà la grafica in 4K UHD (ultra-high definition), per una resa estremamente chiara e accattivante in tempo reale. «L’obiettivo per il futuro è rendere la tecnologia sempre più efficiente, far comunicare persone e tecnologia in modo da avvicinare l’errore allo zero», spiega Zobrist. «Non ci limitiamo a fermare il tempo a fine gara, ecco perché è riduttivo dire che oggi Omega è solo il cronometro delle Olimpiadi. Tutti i dati che vengono raccolti, vengono analizzati e distribuiti ai broadcaster sotto forma di grafiche apposite, per rendere più immersiva l’esperienza dello spettatore che guarda l’evento in televisione o sui maxischermi allo stadio. Ma poi lavoriamo anche sul web, via app, via social media: controlliamo tutta la “catena” sportiva per offrire il miglior evento possibile agli appassionati».

Non c’è sport in cui la misurazione del tempo e l’analisi dei dati sia una componente marginale, non più almeno. Il motion sensor esiste ormai dal 2018, è quello che permette di misurare la performance dell’atleta dall’inizio alla fine per comprenderne i meccanismi biomeccanici e il loro posizionamento fisico durante la performance (ad esempio durante uno sprint). Così facendo si ha accesso alla velocità, all’accelerazione, ai tempi di reazione e alla forza dell’atleta, oltre al suo piazzamento nello spazio. Questo sistema genera un’enorme banca dati: solo per i 100 metri vengono prodotti duemila dati al secondo, per circa dieci secondi per otto atleti. Ovviamente senza intelligenza artificiale non sarebbe possibile tutto questo, ed è anche il motivo per cui prima del 2018 non era stata implementata e per cui si prevede che questa tecnologia sia ancora lontana dal suo pieno potenziale. Stesso discorso per i tuffi. Qui l’intelligenza artificiale permette di scomporre l’esecuzione in ogni sua parte in tempo reale, dal salto alla rotazione, dalla velocità all’angolo di ingresso in acqua. Tutte queste informazioni non sono solo a corredo dell’esperienza visiva dello spettatore, sono anche un grande aiuto per i giudici, perché consentono di osservare il tuffo nei minimi dettagli e di giudicare meglio.

Siamo nel pieno di una rivoluzione nel modo di guardare e comprendere lo sport, ed è guidata dai dati e dalle nuove tecnologie. È per questo che Omega è protagonista in questa fase di transizione. L’azienda ha sempre avuto un ruolo, alle Olimpiadi e non solo, nell’innovazione degli eventi sportivi. I Giochi di Los Angeles del 1932, i primi in cui il brand svizzero è diventato Official Timekeeper, hanno segnato un’importante revisione nel sistema di cronometraggio. Quell’anno è stato introdotto il “Cronocinema”, una fotocamera in grado di registrare i tempi con una precisione al centesimo di secondo. Proprio in quell’edizione c’è una specie di battesimo del fuoco per la nuova tecnologia. Alla finale dei 100 metri gli statunitensi Thomas “Eddie” Tolan e Ralph Metcalfe fanno fermare il cronometro a 10,3 secondi, tempo identico. La sensazione a occhio nudo è che Metcalfe abbia tagliato il traguardo per primo, ma con il Cronocinema si scopre che in realtà è stato Tolan a tagliare il traguardo, vincendo con un vantaggio di un ventesimo di secondo – quel tempo poi viene omologato come primato mondiale.

Una trasformazione simile, nel nuoto, c’è stata dopo il 1960, anno delle Olimpiadi di Roma. La finale dei 100 metri stile libero è considerata la più controversa della storia. In vasca l’australiano John Devitt e lo statunitense Lance Larson chiudono con un tempo simile, una distanza di pochi centesimi di secondo. I cronometristi sono tre per corsia. Dal lato di Devitt i cronometri si fermano a 55”2, per Larson invece c’è un 55”0 e due 55”1. Ma poi c’è il backup elettronico che riduce ancora un po’ il vantaggio di Larson: 55”1 contro 55”16. A quel punto interviene il giudice arbitro tedesco Hans Runstrumer, che assegna un tempo di 55”2 anche a Larson e decreta la vittoria di Devitt, attribuendo però, per compensazione, il record olimpico a Larson. Il caso ha convinto – o costretto, a seconda della prospettiva che si vuole usare – il comitato olimpico e la federazione mondiale di nuoto a cambiare, a passare dall’orologio a mano a quello digitale. Un’innovazione tecnologica apparentemente semplice, ma capace di cambiare per sempre questo sport. Omega ha presentato la nuova tecnologia ai Mondiali del 1967, un anno prima delle Olimpiadi di Città del Messico: un semplice touchpad posizionato a fine vasca, molto simile a quelli che si usano ancora oggi (e anche al touchpad che si usa nell’arrampicata di velocità, l’altro sport olimpico in cui gli atleti fermano il timer da soli). Basta toccare la superficie a fine vasca e il cronometro si ferma, ma ha una tara compresa tra un chilo e mezzo e due chili e mezzo, in modo tale che non sia la forza delle onde prodotte dai nuotatori a fermare il timer.

Di strumenti e innovazioni tecnologiche che hanno fatto la storia dello sport ce ne sono moltissimi e non ci sarebbe modo di elencarli tutti. Ma per Alain Zobrist, CEO dell’azienda, la più grande innovazione di Omega nei suoi oltre cento anni di storia dei Giochi sono stati gli orologi da taschino negli anni Trenta: «Al tempo era l’unico orologio sul mercato preciso al decimo di secondo. Ecco perché venne scelto come cronometro ufficiale per le Olimpiadi del 1932. Al tempo un artigiano volò dalla Svizzera fino a Los Angeles con la sua valigetta al cui interno c’erano i 30 cronografi da usare per i Giochi». A Parigi ci saranno 550 cronografi digitali, 350 tonnellate di equipaggiamento, computer, telecamere speciali che lavorano sincronizzate con dei software appositi e centinaia di chilometri di cavi. «Saremo a Parigi dieci giorni prima della cerimonia di apertura ma l’idea è avere tutto pronto già un paio di giorni prima, con tutti i test fatti e con tutta l’attrezzatura disposta», dice ancora Zobrist. «La cosa peggiore che possa succedere è che non funzioni il timer. Immaginate chiedere a un maratoneta di rifare 42 chilometri perché non è stato tenuto il tempo. Per questo infatti abbiamo dei sistemi di backup del cronometro, abbiamo dei generatori autonomi e delle batterie di emergenza, che variano a seconda del tipo e della lunghezza della gara. Ci muoviamo in autonomia. Abbiamo anche un server personale, per questioni di cyber security». L’obiettivo è garantire a ogni atleta, dopo anni di allenamento, in alcuni casi una vita intera, la possibilità di avere il suo risultato nel minor tempo possibile, senza margini di errore. «Abbiamo un grande team, con molta esperienza e totale fiducia nel lavoro che facciamo e nella tecnologia che sviluppiamo: siamo pronti per Parigi», aggiunge Zobrist.

Per organizzare tutta questa strumentazione c’è un enorme lavoro preliminare, che inizia molto tempo prima della cerimonia di apertura. Per Parigi, così come si sta già facendo per i Giochi invernali di Milano Cortina 2026, la preparazione è partita con tre anni di anticipo, lavorando a stretto contatto con il comitato organizzativo in molti settori, ad esempio per la costruzione degli impianti. L’obiettivo è assicurarsi di avere le infrastrutture adatte per disporre tutto l’equipaggiamento necessario, in ogni luogo in cui si svolgeranno le gare. C’è poi da coordinare 550 persone, quattrocento del personale di Omega e centocinquanta di aziende specializzate esterne, presenti sul posto già dalla metà di luglio. Perché l’organizzazione di tutta questa tecnologia non può essere automatizzata, non può essere meccanica. C’è sempre una componente umana a guidare tutto. E non potrebbe essere altrimenti. «Non siamo preoccupati del nostro lavoro», conclude Zobrist, «perché i nostri tecnici sono di altissimo livello, e testano direttamente sul campo, in modo tale che in caso di problemi possano lavorarci e migliorarlo sul momento. Si tratta di essere meticolosi per ridurre al minimo il margine di errore».

Da Undici n° 57