Il sogno non ha colore, come si combatte il razzismo nel calcio secondo Seydou Sarr

Abbiamo assistito al film-documentario, con protagonista Seydou Sarr, insieme a a Pulsee Luce e Gas.

Raccontare un problema endemico come il razzismo nel calcio non è mai semplice. Come si fa a fare luce su quella che è un’emergenza in tutti i sensi, in un modo che sia diretto e al tempo stesso sia di grande insegnamento? Seydou Sarr, l’attore protagonista del film Io Capitano diretto da Matteo Garrone, ha scelto una strada nuova. Senza stigmatizzare i comportamenti, piuttosto ragionando sulle storie, sulle persone. Lo fa nel film-documentario prodotto da Lega Serie A e Rai Cinema “Il Sogno non ha colore”, proiettato in anteprima alla Mostra del Cinema di Venezia e in onda su Rai 3 il 4 settembre alle 23.20 (disponibile anche su RaiPlay).

Grazie a Pulsee Luce e Gas, che ha contribuito alla realizzazione del film-documentario con il coinvolgimento di Junior Messias, calciatore del Genoa, abbiamo avuto l’opportunità di assistere alla proiezione. Le storie, dicevamo: sono quelle dei calciatori di Serie A, in particolare, oltre al già citato Messias, nel film compaiono Yacine Adli, Lameck Banda, Paulo Dybala, Danilo Luiz Da Silva e Maduka Okoye. Sarr li incontra uno a uno, mettendosi alla pari con loro, un po’ perché, in modo scherzoso, si sente un loro collega, accennando ripetutamente al desiderio di diventare calciatore, ma soprattutto per un dialogo con ciascuno di loro che diventa immediatamente condivisione, voglia di aprirsi, desiderio di ispirare.

Le storie servono soprattutto a questo, a ricordarci il loro valore. A fornirci delle riflessioni, a consegnarci delle lezioni: “Il Sogno non ha colore” mette in fila, tra i pensieri dei calciatori intervistati a turno, proprio tutto questo, come la lezione di Messias, che ricorda che i sogni servono per rimanere vivi, come Danilo che parlando di lotta al razzismo sottolinea che alla base di tutto ci dev’essere l’educazione, come Omar Daffe, oggi responsabile dell’ufficio antirazzismo della Lega Serie A, che anni fa in una partita di Eccellenza lasciò il terreno di gioco perché bersagliato da insulti razzisti, e che dice: non ho fatto quel gesto per me, ma per chi viene dopo di me.

Quello che Sarr riesce a fare, scandagliando nei racconti dei calciatori, che spaziano nelle loro storie personali, andando ben oltre le disavventure legate a casi di discriminazione, è far trapelare l’umanità, la normalità, di questi atleti. Nelle parole che rilasciano a Seydou c’è tutto il senso delle loro esperienze personali, sogni, ambizioni, desideri, paure. La diversità si appiattisce, scompare completamente: emergono i punti di contatto che accomunano le storie di tutti noi.

Se l’ignoranza è la leva che muove il razzismo, la conoscenza è il suo antidoto. Il viaggio di Seydou Sarr tra i campi di allenamento della Serie A, alla ricerca delle parole dei suoi protagonisti, poggia soprattutto su questo: sull’idea che le parole possano lasciare un segno, che possano aprire alla conoscenza e abbattere i pregiudizi. Per questo, alla fine, il film-documentario lascia questo: la sensazione di dover essere tutti più disposti ad ascoltare le storie degli altri. E a mettere da parte ogni tipo di discriminazione.

«È l’occasione per parlare con un mondo di persone che si documentano in maniera diversa, quindi usiamo linguaggi differenti per differenti tipi di pubblico per far passare un messaggio bellissimo come solo lo sport può fare», ha detto l`Amministratore Delegato di Lega Serie A Luigi De Siervo. «Nel momento in cui ho conosciuto Seydou, io gli parlavo del suo film e lui mi parlava solo di calcio. Abbiamo cercato di dare voce a questo suo sogno, di raggiungere l’Italia e avvicinarsi alla Serie A, sviluppando delle opportunità di dialogo con una serie di campioni del nostro campionato che come lui avevano questo sogno. Ci è sembrato giusto raccontare la parte più intima di Seydou e di ragazzi come lui che guardano al calcio italiano come un punto di arrivo naturale».