Paolo Vanoli è un tipo di allenatore che non si vede spesso in Serie A, uno spirito dalle due identità, dottor Jekill e mister Hyde: tanto pacato e analitico con la stampa quanto focoso e scalmanato quando segue e guida i suoi giocatori da bordocampo. Il suo è uno stile che ricorda a grandi linee quello di Ivan Juric, almeno per l’abbigliamento, il taglio di capelli e il modo passionale con cui vive le partite. Ma, proprio come i protagonisti del romanzo gotico di Stevenson, i due allenatori che si sono avvicendati a Torino non potrebbero essere più diversi. Vanoli dalla sua ha la forza di idee maturate in anni e anni di carriera. Anzi, di carriere, al plurale. Prima da giocatore: Venezia, Hellas Verona, Parma, Fiorentina, Bologna e Vicenza, su e giù tra la Serie A e la Serie B. Più qualche comparsata all’estero: due anni in Scozia, ai Rangers Glasgow, e e un anno addirittura all’Akratitos, nella massima divisione greca.
In panchina, da allenatore, le cose sono andate più lentamente rispetto ad altri tecnici: tre anni al Domegliara, formazione veneta di Serie D, e poi una lunghissima trafila nelle Nazionali giovanili, tra l’Under 16 e l’Under 19. Nel 2016 arriva la chiamata di Antonio Conte, che lo sceglie come vice per la sua parentesi come ct degli Azzurri e poi lo porta con sé durante le esperienze a Londra (un anno al Chelsea) e a Milano (due stagioni all’Inter) – è qui che Vanoli vince, sempre nei panni del secondo in comando, Premier League e Serie A. Nel pieno della pandemia da Covid1 9 c’è anche il tempo per un Erasmus in Russia, allo Spartak Mosca, dove vince una coppa nazionale, prima di rientrare in Italia, al Venezia, che porta ai playoff da subentrante nella stagione 2022/23 prima di centrare il ritorno in Serie A con alla fine della scorsa stagione. La promozione ottenuta con la formazione arancioneroverde gli è valsa la chiamata del Toro, per la sua prima esperienza in Serie A alla 17esima stagione in panchina. Insomma, se esistesse un dizionario del pallone, alla voce “gavetta” non sarebbe così difficile trovare la fotografia del 52enne Paolo Vanoli: perfetta definizione di homo faber fortunae suae applicata al calcio.
La scelta del presidente Cairo di puntare su Vanoli si spiega anche con la ricerca di una certa continuità tattica. Similarmente a come faceva con Ivan Juric, anche il Torino 2024/2025 parte dal 3-5-2. Solo sulla carta, però. Perché il gioco della squadra granata è cambiato molto, a partire da una solidità difensiva costruita in modo diverso, meno radicale rispetto all’era-Juric: se prima il principio base era quello della marcatura a uomo a tutto campo, adesso la fase di non possesso si fonda sulla linea a tre che diventa a cinque, sul supporto arretrato dei centrocampisti che si abbassano per schermare gli attacchi per linee centrali, sulle punte vanno a portare la prima pressione. La vera rivoluzione, però, è avvenuta in avanti: con Vanoli, il Torino è diventato una squadra che cerca di tenere l’avversario nella propria metà campo.
Qualche giorno fa, dopo la vittoria per 2-1 in rimonta contro l’Atalanta, sotto il video YouTube degli highlights della partita un tifoso granata ha scritto, tra il serio e il faceto: «Ho visto più azioni da gol in questa partita che in tre anni con Juric». Era evidentemente una battuta, ma non così lontana dalla realtà: nelle prime tre giornate di campionato, il Torino ha messo insieme 32 tiri verso la porta avversaria, una media di quasi undici per partita – e ha affrontato anche Milan e Atalanta. Per rendere l’idea, la Juventus di Thiago Motta si è “fermata” a 29 conclusioni tentate. Il mantra del nuovo Toro, quindi, è: attaccare, attaccare, attaccare. Come? Grazie agli esterni, ai quinti di centrocampo, che spingono tantissimo e per tutta la partita. Grazie ai centrocampisti, che si inseriscono con molta più frequenza. Grazie anche a Zapata, che sembra più coinvolto nel gioco, aiutato dal fatto di avere accanto a sé una seconda punta mobile come Adams, non un altro centravanti d’area come Sanabria. Da questo punto di vista, l’impatto di Vanoli è stato visibile e immediato. Non a caso, viene da dire, l’ultimo campionato di Serie B ha visto il Venezia vincere il titolo – platonico, ma comunque significativo – di miglior attacco: 69 gol fatti in 38 partite.
Quando Paolo Vanoli passeggia nervosamente lungo la linea laterale del campo per gridare indicazioni ai suoi giocatori, sembra di vedere una copia carbone di Antonio Conte: è sempre frenetico, sempre teso come una corda di violino. Dopo la partita, poi, si presenta quasi sempre afono davanti ai microfoni delle emittenti tv che seguono il campionato. Il nuovo allenatore del Torino è uno di quei tecnici che danno la sensazione di immedesimarsi moltissimo nei giocatori che schierano, che piacciono ai tifosi per la passione che trasmettono in ogni partita. Insomma, è uno che sembra tenerci davvero, appartiene a quel gruppo di allenatori che è facile etichettare come condottieri. E la stessa sensazione si avverte anche mentre parla alla stampa: anche se l’approccio di Vanoli cambia, anche se i toni si fanno più sobri e i decibel calano di intensità, la direzione è sempre quella schiettezza, dell’onestà intellettuale nei confronti di tutti. Dei tifosi, ma anche della proprietà. «Io sono sempre molto onesto, ho la forza di pazientare. Solo una cosa: non mi piegherò mai alla mediocrità». Vanoli ha pronunciato queste parole alla vigilia della partita con l’Atalanta, poche ore dopo la cessione di Bellanova proprio alla squadra bergamasca e poche ore prima della contestazione dei tifosi nei confronti di presidente e dirigenti.
Si tratta di uno sfogo non da poco per un allenatore arrivato da nemmeno tre mesi, e che di fatto ha rivelato di non essere stato interpellato per la cessione di uno dei giocatori più importanti della rosa a pochi giorni dalla chiusura del calciomercato. È indice di un modo di fare che conquista chi lo guarda. Per la sua naturalezza, perché dice le cose come stanno ma senza mai eccedere nel piagnisteo. Vanoli, si può dire, è un allenatore che parla chiaro, che manifesta il suo disappunto una scelta della dirigenza non gli sta bene, come se fosse un tifoso qualsiasi che si sfoga con una tavolata di amici. «Ma non parlate di Vanolismo», ha detto dopo la vittoria in trasferta contro il Venezia. Paolo Vanoli è questo, un uomo di campo onesto, che preferisce lavorare nell’ombra alla luce dei riflettori, un atteggiamento tipico di chi ha fatto la gavetta. E ai tifosi del Torino, storicamente, gli allenatori così sono quelli che piacciono di più.