Viaggio nella metà italiana di Manchester

Cosa c’entra il nostro Paese con una delle capitali inglesi del calcio? Lo stile, per esempio. Siamo stati tra i tifosi del City per celebrare la nuova partnership con C.P. Company.

Per le strade di Manchester si avverte aria di cambiamento. Di sviluppo, movimento in essere. Ovunque ci sono cantieri, transenne, carreggiate parzialmente chiuse o deviate a causa di lavori in corso, gru altissime che sorreggono enormi ganci gialli, impalcature tubolari su cui lavorano operai coi caschetti fosforescenti, con i tatuaggi impressi sui polpacci in vista a causa del caldo estivo che adesso stressa anche il Nord dell’Inghilterra. Allo stesso tempo i mattoni rossi e le facciate vittoriane e i vicoli stretti del centro città, tutti luoghi lontanissimi dalle ordinate scacchiere dei suburbs residenziali, tengono in vita l’anima di Manchester, ricordano la sua storia di centro industriale e di polo commerciale. È una sensazione, al tempo stesso, straniante e inebriante: a Manchester il futuro si mescola col passato ma non lo travolge, le trasformazioni avvengono in modo continuo eppure non invasivo. In quanto alle persone, beh, Manchester è sempre stato un porto, e un porto è un luogo di scambio e ricambio di umanità. Con Londra e Birmingham, questa è la città di tutto il Regno Unito con maggiore diversity (ha vinto il titolo di «Winner Of Immigration», almeno secondo un articolo pubblicato da Sky News nel 2024) e allo stesso tempo mantiene una fortissima identità tradizionale. Identità che, oltre alla musica, ruota intorno al calcio.

Anche camminando tutt’intorno a Etihad Stadium, che si trova a sette minuti di macchina dalla stazione di Manchester Piccadilly, si avverte una sensazione di lavori in corso, di trasformazione: il City Football Group sta ampliando le sue strutture di intrattenimento intorno allo stadio, costruito tra il 2000 e il 2002 dopo la riqualificazione della zona – in passato qui lo skyline era dominato dai giganteschi impianti della Bradford Colliery, miniera di carbone dismessa nel 1968 – e che nel frattempo aveva già subito diversi interventi di espansione. Ingrandire e abbellire il proprio quartier generale, per coloro che dirigono il CFG, è un modo per stare al passo con il progetto gigantesco che stanno portando avanti: in questo momento, il CFG ha 12 club di proprietà più altri quattro in tutti i continenti la squadra ammiraglia di questa flotta, ovviamente il Manchester City, è stata seguita da un totale 694 milioni di persone nel corso dell’ultima stagione: è la quota più alta tra quelle rilevate per tutti i club europei, più alta anche rispetto al Real Madrid. Sono stati raccolti da Nielsen, la più importante agenzia di media research del pianeta Terra.

Questa community globale, benché sia stata costruita negli ultimi anni, sa farsi vedere e sa farsi sentire: ogni volta che il Manchester City, gioca in casa, fuori la West Reception di Etihad Stadium si tengono degli eventi colorati e rumorosi: uno tra questi, prima della gara contro l’Ipswich dello scorso agosto, è stata una festa brasiliana organizzata insieme ai tifosi del Bahia FC, un altro club del City Football Group. Negli stessi momenti, tantissimi fan – più anziani, o comunque di mezza età – brulicavano vicino ai chioschi di panini e fish&chips, passeggiavano lenti e si facevano fotografare sorridenti accanto alle statue di Kompany e Agüero ma anche di Mike Summerbee e Colin Bell e Francis Lee, protagonisti del ciclo vincente a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, alternavano le storie sulla nuova grandezza del Manchester City con i ricordi del loro passato.

Esiste uno storico legame tra il Manchester City e il calcio italiano. Lo ha raccontato e spiegato Alan Johnson (56 anni), intervistato con sua figlia Nevaeh (18): «Qui dall’Inghilterra abbiamo sempre guardato con ammirazione verso la Serie A, e soprattutto verso i grandi club: la Juventus, l’Inter e soprattutto il Milan». Proprio con il club rossonero c’è una sorta di affinità: alla fine degli anni Sessanta, il City indossò una maglia da trasferta perfettamente identica a quella casalinga del club rossonero, allora campione d’Europa. Operazione ripetuta anche con il Third Kit della stagione 2022/23

Presente e passato che si fondono sono alla base di una grande novità della stagione 2024/25: C.P. Company è diventato Fashionwear Partner del Manchester City. Proprio mentre i giornali di moda e lifestyle, spulciando l’archivio fotografico del Britpop su NME, si chiedono: «Tornerà lo stile anni Novanta?», e si moltiplicano gli editoriali sul revival casual, mod, e via dicendo, ecco che il City e il brand fondato da Massimo Osti firmano un’operazione che non esagereremmo a definire unica. Perché una squadra collabora, e si veste, con gli stessi vestiti venerati dalla sua fanbase. Quasi come se fosse un’enorme operazione di marketing (ma niente complotti: non lo è), nei giorni dell’annuncio i social network erano invasi da vecchie foto di Liam e Noel Gallagher con addosso storiche maglie del City, pezzi da collezione, oggi provenienti dalle stagioni vintage degli anni della Cool Britannia (alcune settimane dopo ancora, il 12 settembre, il City ha svelato un’altra collezione speciale chiamata Definitely City, per celebrare il trentennale dell’album d’esordio degli Oasis).

La reunion di Liam e Noel cade a fagiolo, ed è la cima che tiene legata, in questi giorni, il City del presente e del futuro con quello del passato. Si dice, in linguaggio marketing: l’heritage. La cosa bella, per il City, è che invece è tutto naturale. Ancora un dettaglio non casuale, parlando di stile, di presente e di tradizione: nella fotografia che gli Oasis stanno utilizzando per tutta la comunicazione legata alla reunion, Liam indossa un giubbotto C.P. Company. Lo si riconosce dalla texture, lo si riconosce dalla targhetta attaccata alla zip.

È abbondantemente battuta, d’altra parte, la tratta tra Bologna e Manchester, e più in generale tra Italia e Inghilterra. C.P. Company fu, da subito, uno dei marchi più venerati da un’intera generazione di tifosi britannici, e la Goggle Jacket, nata nel 1988 dalla mano di Massimo Osti per sponsorizzare la gara automobilistica 1000Miglia, un’icona di stile da stadio. Insieme a – e allo stesso tempo molto più di – altri brand italiani, C.P. Company è stato uno dei marchi più ambiti e collezionati di tutta una scena sottoculturale che gravitava intorno agli stadi – alle terraces – con declinazioni poi nella musica, nella letteratura, in quella nuvola sfumata che si chiama “attitudine”. Fino ad arrivare al giorno d’oggi: in una campagna del 2022 il marchio bolognese aveva utilizzato, come modello, l’autore e icona del movimento Casual Riaz Khan, collezionista di C.P. Company proprio dal 1988.

Roberto Mancini è entrato nella storia del Manchester City: c’era lui sulla panchina di Etihad Stadium il 13 maggio 2012, quando i Citizens vinsero il titolo dopo 44 anni di attesa. E nel modo più rocambolesco possibile, con due gol nei minuti di recupero della ripresa. Per Ben Forrest (30), però, il manager italiano ha avuto anche altri meriti: «Con la sua classe e il suo modo di vestire, ha contribuito a dare una nuova immagine del nostro club. È impossibile dimenticare le sue sciarpe, ma anche l’eleganza con cui le abbinava agli altri abiti che indossava».

L’Italia, infine, ha una presenza non da poco anche nella storia del City: il terzo campionato vinto (su dieci totali, per ora), nel 2011/12, è stato firmato da Roberto Mancini in panchina. Fu una vittoria all’ultimo secondo, grazie a un gol di Agüero contro il QPR al minuto 94’. Il commento del telecronista Martin Tyler – quell’urlo AGUEROOOOOO – è una colonna del folklore Citizen, ormai. E l’assist per quel gol venne firmato da un altro italiano: Mario Balotelli. A confermare questo legame in essere sono i tifosi che vedete immortalati in queste pagine, per cui andare allo stadio – ovviamente per seguire il City – significa indossare la Goggle Jacket e/o un altro capo di C.P Company. Perché quella è la loro storia, quella è la loro identità.

Un’identità che si rinnova, come hanno spiegato anche il club inglese e il brand bolognese quando hanno annunciato l’inizio della collaborazione: «Attraverso il linguaggio universale del calcio, la partnership tra C.P. Company e il Manchester City celebra il legame tra la città di Manchester e il marchio italiano, un rapporto autentico instaurato con i tifosi di calcio sin dagli anni Ottanta. E intende esplorare il ruolo di questo sport nell’unire persone provenienti da background eterogenei. Una passione tramutata in fede, un credo condiviso da migliaia di tifosi divenuto uno stile di vita». Insomma, in questa partnership c’è tutto: la tradizione del vecchio City, e della football culture inglese degli anni Ottanta, si mescola con l’aura glamour della squadra di Guardiola. E con tutto ciò che C.P. Company rappresenta per la comunità dei Citizen, con i suoi rimandi all’Italia, a un’estetica che a Manchester non passa mai di moda.

Il titolo inglese tornato nella bacheca del City nel 2012, l’arrivo di Guardiola e l’affermazione come prima potenza della Premier League. E, infine, la Champions League del 2023. Proprio quest’ultimo successo era quello più atteso dalla tifoseria degli Sky Blues, come racconta Deborah McCormack (66 anni): «Per chi, come me, segue il City da tantissimi anni, vincere la Coppa dei Campioni è stato il coronamento di un lungo inseguimento, si può dire anche della nostra vita da tifosi».

È un discorso che riguarda la fanbase, naturalmente, ma anche la storia del club: Roberto Mancini e Mario Balotelli, infatti, sono impressi a fuoco nella storia del City, nella memoria di chi frequenta Etihad. E non solo per le grandi vittorie di cui sono stati protagonisti. L’ex commissario tecnico della Nazionale italiana, parlando con diverse persone che vanno abitualmente allo stadio e che lo facevano anche durante la sua esperienza a Manchester, durata dal 2009 al 2013, è stato definito «una persona di gran classe», «un’icona di stile», «un allenatore che con la sua eleganza a bordo campo, con le sue sciarpe, è riuscito a trasmettere una nuova immagine del City». Quando ricordano Balotelli, invece, i tifosi della parte blu di Manchester snocciolano aneddoti che col tempo sono diventati leggendari, raccontano momenti controversi ma anche bellissimi. Tra tutti, più di tutti, quello più citato è la doppietta realizzata contro lo United a Old Trafford, in un indimenticabile derby finito 6-1 in favore del City: era il 23 ottobre 2011, il risultato era ancora sullo 0-0 e Balotelli stappò il risultato con un bel diagonale di prima; per esultare, subito dopo il gol, l’attaccante italiano alzò la sua maglia numero 45 e mostrò una termica con la scritta “Why Always Me?”. Era una protesta nei confronti di chi, secondo Mario, parlava male di lui, solo di lui, sempre di lui.

Rispetto al tempo di Mancini e Balotelli, com’è naturale che sia, il City è diventato un’altra squadra. Ma è bello – ed è giusto, in qualche modo – pensare che un club del genere lavori anche per restare connesso con la sua storia. In questa storia C.P. Company ha un ruolo importante: lo dicono i tifosi, lo dicono le foto della reunion degli Oasis, lo dice l’identità stessa di Manchester. Che cambia e sta cambiando, e cambierà ancora in futuro. Ma che alla fine riesce a conservare e a coltivare le ricchezze del suo passato, storie, cultura e ricordi.

Da Undici n° 58
Foto di Alessandro Lupelli