Quando si parla di tifo, il cerchio dell’appartenenza è un diagramma sentimentale che segue regole uniche, e diverse per ognuno di noi. Più si restringe e più diventa potente, concentrato, sanguinante di passione. Un piccolo esempio, di regola: quando tifo per la Nazionale italiana sono molto coinvolto e per le grandi vittorie – Mondiale 2006 ed Europeo 2021 – ho provato moltissima gioia ma le altre innumerevoli delusioni mi sono passate in fretta; quando tifo per la squadra della mia città, vivo tutto all’intensità doppia e ancora oggi sto male se penso a certe retrocessioni. Quando ero bambino nel mio piccolo paese ogni fine estate si organizzava una competizione che per tutti valeva più o meno la vita, Il torneo delle vie e non ho mai sofferto tanto per lo sport come dopo le sconfitte della Via Canale. Questo semplice quanto efficace meccanismo dell’esistenza si può applicare ai tifosi di tutti gli sport ed è raccontata in maniera viscerale ed efficace in Per il bere della squadra, la docuserie in tre episodi che Ceres ha realizzato per raccontare le squadre e il tifo di quartiere. Nelle puntate in onda su DAZN per tre giovedì dal 28 novembre in poi lo sport è l’oggetto centrale della narrazione ma diventa quasi un pretesto per parlare appunto di appartenenza, di anima, di impegno, di cuore, di solidarietà e anche di impegno politico.
Per il bere della squadra, ideata e prodotta da We Are Social, celebra lo sport nella sua forma più pura, che trova nel legame con la comunità e nei valori condivisi la sua vera forza. Ceres, con questa iniziativa, ribadisce il proprio impegno al fianco dei tifosi e degli atleti dei campionati sportivi minori italiani, che proseguirà con diverse iniziative anche nel corso del prossimo anno. Quest’anno, per esempio, Ceres ha supportato diverse squadre di campionati sportivi minori con una serie di iniziative prima, durante e dopo la partita. Con la piattaforma di comunicazione “Per il bere della squadra, Ceres c’è”, il brand brinda a coloro che vivono il tifo in modo autentico, sincero e sentito, supportando le squadre degli sport dilettantistici.
Perché per passare ogni domenica pomeriggio a cantare per una squadra che gioca nella Prima Categoria laziale ci deve essere qualcosa che va oltre i gol, gli assist e la classifica, così come per sostenere in casa e in trasferta una squadra che partecipa alla Serie A2 di Pallamano. Ed è così infatti per il tifo organizzato della Borgata Gordiani di Roma, zona est della città, e protagonista del primo capitolo insieme alla Handball Mascalucia di Catania che porta ogni settimana oltre 250 persone sugli spalti. Tifare significa stare insieme in prima istanza, ma anche per stringersi attorno a qualcosa e tutti i ragazzi e le ragazze che si raccontano prendono sempre spunto da questo: il senso di collettività. Sì, c’è anche lo sport, il racconto della salvezza vinta ai playout contro il Ciampino, i giocatori che guardano gli spalti con orgoglio e invidia, il dj set del presidente durante il riscaldamento, i viaggi stretti sul pulmino della società ma l’aria che si respira nelle minors di ogni sport è una poesia d’amore da cui non si fugge. Il campo diventa importante in funzione di tutto quello che succede attorno, e non viceversa, come nello sport di alto livello. È un ribaltamento dei ruoli e delle gerarchie esistenziali, l’illusione che mancare a una partita significhi cambiare per sempre l’esito di un risultato o di una coreografia. Perché una partita di calcio, di basket, di pallamano o di rugby non cambiano la vita ma possono migliorare un pomeriggio e mezza giornata d’amore è sempre un ballo per l’anima.
Lo sport diventa solo un pretesto per raccontare una parte dell’Italia – da Milano a Catania passando per Roma, Napoli e Palermo – che dedica una porzione consistente del proprio tempo libero in nome dell’aggregazione. Non sembra che ci sia un luogo migliore in cui poter sperare che i propri figli crescano, in campo sì, ma anche sugli spalti a decidere di tifare e sostenere una filosofia. È un’appartenenza inclusiva, mai conflittuale, un legame profondo che si sviluppa nel tempo perché non respinge e non esclude. A tifare insieme ci si sente uniti non perché gli altri sono diversi ma perché il vicino di posto ha gli stessi occhi e spera sempre nelle stesse cose. Essere nati casualmente nello stesso spicchio di quartiere o di città significa – senza una spiegazione razionale – che ci si emoziona per quel coro, per quel gol, per quel tiro da tre, per quella parata. È magico e inspiegabile, è il carburante per realizzare uno striscione o cantare a squarciagola novanta minuti sotto la pioggia.
Per il bere della squadra ha lo scopo, e il grande pregio, di portare alla ribalta nazionale delle piccole realtà locali. E lo fa nel modo più autentico e fedele che si possa desiderare. Le presenta una ad una dandole il peso che si attribuiscono, cioè una ribalta nazionale e un peso capitale nella vita di ogni persona che decide di raccontarsi. Nel tifo non conta la massa ma solo il peso percepito nelle vite di ognuno di noi e l’emozione di un gol all’incrocio in prima categoria può essere più importante di un rigore di Mbappé con il Real Madrid.
Questa docuserie lo racconta benissimo, emozionandoci ma rimanendo sempre un passo di lato rispetto alla retorica, con anche le giuste pennellate di ironia e un montaggio aggressivo in accordo con la grafica, perfettamente nel tono di voce che serve a un lavoro del genere. È quello che tutti vogliono vedere parlando di tifo, e nelle prossime puntate toccherà anche a Sanità United di Napoli per il calcio, Rugby Milano Sud per il rugby e Green Basket Palermo per il basket. Per il bere della squadra regala ancora una volta la consapevolezza che fare i tifosi è una gran fatica ma rimane sempre il mestiere più bello del mondo.