Che cos’è il salary cap della Serie C, il primo nella storia del calcio italiano

Spesso i club che spendono non hanno nemmeno i mezzi per farlo: con il salary cap non potranno più a tutti gli effetti. «Per fare calcio servono i conti in ordine», ha spiegato Matteo Marani, presidente della Lega Pro.
di Redazione Undici
30 Aprile 2025

Cambiare rotta per salvare la nave. Verso acque del tutto inesplorate per il nostro calcio: il tetto agli ingaggi dei giocatori, che in Serie C è pronto a diventare realtà. Dapprima in forma sperimentale per la prossima stagione, e poi a tutti gli effetti – se il test porterà i suoi frutti, naturalmente – a partire da quella successiva, nel 2026/27. Il via libera è arrivato martedì nel 29 aprile 2025 corso dell’assemblea di Lega Pro, ma la novità era nel cassetto da mesi. «Il salary cap è uno dei temi che avevo posto per il nuovo mandato», spiega il presidente di lega Matteo Marani. «Oggi l’abbiamo introdotto, nelle prossime settimane seguiranno dei tavoli di lavoro permanenti: l’obiettivo è modellarlo anche in base ai correnti modelli europei». La ratio del provvedimento? «Porre il controllo ai costi, altrimenti questo mondo implode: senza una situazione patrimoniale sana non si può fare calcio».

E la Serie C ha problemi da vendere. Soltanto quest’anno, due squadre del Girone C – Taranto e Turris – sono state escluse dal campionato per inadempienze finanziarie. Altre invece, da Nord a Sud, sono azzoppate dalle penalizzazioni in classifica: Novara, Triestina, Spal, Ternana, Rimini, Lucchese, Catania e Messina. Un male cronico che è il manifesto dell’attuale insostenibilità del più basso livello del nostro calcio professionistico, oberato da spese e debiti, senza ricavi adeguati, tagliato fuori dalle prospettive di sviluppo – a partire dalla Coppa Italia, che a differenza delle sue controparti europee è tutto fuorché un detonatore economico per le piccole. Ripescaggi, riammissioni e fallimenti sono all’ordine del giorno, cioè avvengono ogni estate.

Ma in questo contesto come si collocherà il salary cap? Innanzitutto forzerà i club partecipanti a sottostare a un tetto massimo per gli stipendi dei propri calciatori nel corso di una stagione sportiva. Potrebbe sembrare un aggiustamento da poco, ma i fatti mostrano il contrario: si pensi che delle sette squadre col monte ingaggi più elevato – in teoria, quelle con maggiori disponibilità di spesa – ben quattro hanno dei punti in meno in graduatoria a causa di irregolarità amministrative, fiscali o finanziarie. E a tali zavorre a bilancio – si arrivano a sforare i 10 milioni di euro – non corrispondono nemmeno particolari risultati sportivi: tranne la Ternana, seconda nel Girone B, tutte le altre deludono (il Catania quinto, Triestina e Spal perfino ai playout; senza penalizzazione non sarebbe stato diverso).

Mettere un argine ai costi avrà una funzione deterrente e al contempo tenderà a uniformare le risorse stanziate dalle 60 partecipanti ai tre gironi. La forma sperimentale del salary cap prevede che ciascun club non possa spendere più del 55% del rapporto fra stipendi e valore della produzione – a partire dai contratti siglati dopo l’1 luglio 2025. Una proporzione che dovrebbe garantire equità, dalle piccole alle big passando per le formazioni Under 23. Cosa succede a chi sfora, dopo la fase-pilota? Nessuna ulteriore penalità in classifica – strumento decisamente inflazionato – ma soltanto una multa che verrà utilizzata per co-finanziare la riforma-Zola sulla gestione e il potenziamento dei settori giovanili. I club morosi potrebbero infine venire esclusi dal campionato. Una piccola terapia d’urto, insomma, affinché la sgangherata Serie C possa darci un taglio. In tutti i sensi.

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