Era scritto. Anzi, l’aveva scritto lui: «Quella contro l’Ipswich Town sarà la mia ultima partita con la maglia del Leicester». Ce ne sarebbe ancora una, per finire la Premier League. Ma Jamie Vardy già sapeva: la presenza numero 500 con la maglia delle Foxes doveva essere in casa. Per godersi la festa del King Power Stadium. E il gol numero 200 sarebbe arrivato lì, tra la sua gente, come naturale conseguenza del momento. A quel punto, perché aggiungere altre pagine a un capitolo di calcio meraviglioso, lungo 13 anni e tre trofei – tra cui la vittoria del campionato più straordinario di sempre? Chiaramente lo sapevano pure i bookmaker, che domenica quotavano la rete dell’attaccante a 1,05: più o meno come quando il Manchester City incontra una squadra di Championship.
L’inevitabile è arrivato al minuto 28′. James Justin conquista un pallone a centrocampo e, al termine di una gran cavalcata, indovina il filtrante per Vardy: controllo in area e colpo da biliardo tra le gambe del difensore. E tipica esultanza del protagonista: dito alla bocca contro il settore ospiti, corsa sfrenata verso l’angolo del campo, bandierina alzata al cielo come il totem della storia del Leicester. «Prima di quel tiro avevo mancato un paio di occasioni, calciando sull’esterno della rete, dice Jamie nel postpartita, senza perdere l’aura del condottiero. «Ovviamente c’era un solo posto in cui potevo dirigermi: davanti ai tifosi avversari che mi prendevano di mira». Ancora un’ultima volta, a zittire il resto dell’Inghilterra che per oltre un decennio non ha voluto prendere Vardy davvero sul serio. Pagandone poi le conseguenze, un gol dopo l’altro.
L’ultimo gol di Vardy con il Leicester
Che la storia tra Vardy e il Leicester sia stata molto più di una fiaba, beh, lo sappiamo. Eppure era difficile immaginarsi un finale più da bello di così. I tabelloni dello stadio a sfoggiare un gigantesco 200, i bambini di Jamie tra le mascotte, a riscaldarsi col papà nel prepartita. Coreografie interminabili, un intero programma cerimoniale dal titolo “Goodbye to the GOAT”. E la standing ovation di un’intero popolo, all’80esimo minuto, quando Vardy lascia il terreno di gioco. Ad applaudire sugli spalti, c’erano anche Nigel Pearson – l’allenatore che lo volle con sé nel 2012, facendo sborsare al club soltanto un milione di sterline – e i vecchi compagni di squadra: da Wes Morgan a Marc Albrighton, da Kasper Schmeichel e Danny Simpson. Insomma, le leggende dell’epopea Leicester che finalmente accolgono il bomber 38enne fra loro.
«È stato un viaggio fantastico», sorride Jamie. «Delle autentiche montagne russe. Con molti più alti che bassi, però: non avrei mai pensato che avremmo vinto la Premier e partecipato alla Champions League. Ci siamo sempre stati per un buon motivo». E cioè che il suo Leicester, delle gerarchie prestabilite, ha imparato presto a fregarsene. Facendo parlare soltanto il campo. Nel bene e nel male.
Quello stesso campo, oggi, ha dato infatti un verdetto impietoso: Foxes retrocesse anzitempo e digiuno di gol casalinghi per nove partite consecutive, a un certo punto della stagione. «Un’annata disastrosa», non s’era nascosto lo stesso Vardy, mentre il futuro societario resta un’incognita. Domenica, al fischio d’inizio. Leicester e Ipswich Town erano appaiate a 22 punti. Eppure, a guardare le immagini, soltanto una squadra aveva il volto della rassegnazione; l’altra invece sembrava avesse vinto la Premier League. Di nuovo. Almeno per un giorno. «Se la caveranno, se la caveranno anche senza di me», è convinto il capitano. «Abbiamo una buona rosa, tanti giovani in crescita. Torneremo presto. Ma sapete una cosa? Sono contento di non essere al loro posto: il calcio ha una mentalità da killer e non credo che ce la farei a ripetere tutto. Ma mi sono goduto ogni minuto di quest’avventura». Solo una volta, o tutta la vita.