Verratti che investe nel Pescara è parte di un vero e proprio trend: quello dei calciatori che comprano i club

L'ex centrocampista del PSG è solo l'ultimo della (lunghissima) lista di giocatori che sono diventati proprietari o comproprietari di una squadra.

La notizia – confermata da più parti – per cui Marco Verratti sta per diventare comproprietario del Pescara avrà fatto sorridere molti appassionati di calcio, oltre che i tifosi della squadra abruzzese. Perché l’ex centrocampista del PSG sta compiendo un romantico “ritorno a casa”, ancorché da investitore e dirigente, e perché è bello pensare che un calciatore così importante vada a investire una parte dei propri guadagni e del proprio portafoglio – come scrive la Gazzetta dello Sport in questo articolo, sono anni che Verratti ha avviato una carriera imprenditoriale parallela a quella sul campo – per continuare a restare nel giro. In attesa dell’annuncio ufficiale di questo deal, che dovrebbe arrivare in un mese, è interessante notare come quella di Verratti sia un’operazione abbastanza frequente, nella nostra epoca. Da diversi anni, infatti, giocatori ed ex giocatori stanno cambiando il loro modo di restare nel mondo del calcio: se per un secolo la strada è stata sempre la stessa, nel senso coloro che quello che si ritiravano diventavano allenatori o al massimo dirigenti, oggi invece diventano direttamente investitori, comproprietari o proprietari dei club.

Ecco un piccolo elenco certamente incompleto: David Beckham è comproprietario dell’Inter Miami e da poco ha annunciato un maggiore impegno anche nel Salford City, società acquistata insieme a tanti suoi ex compagni di squadra ai tempi del Manchester United; Zlatan Ibrahimovic ha comprato delle azioni dell’Hammarby, club svedese di prima divisione; Kylian Mbappé, attraverso la sua società di investimenti, ha rilevato l’SM Caen, società di seconda divisione francese (ma l’anno prossimo giocherà in National, visto che è retrocessa); Ronaldo il Fenomeno è proprietario del Valladolid e lo è stato anche del Cruzeiro; qualche giorno fa, lo Swansea ha annunciato che Luka Modric è entrato nel gruppo che detiene la maggioranza del club; Didier Drogba è stato giocatore-proprietario dei Phoenix Rising, di cui possiede ancora delle quote; Vinícius Júnior ha investito nell’Alverca FC e ha avuto problemi con i regolamenti FIFA perché è socio anche di altro un club, l’Athletic Club di São João del Rei, che partecipa al campionato di Série B brasiliana; a fine aprile, Moussa Dembélé ha ufficializzato l’acquisizione del Minija Kretinga, società della massima divisione lituana; Gerard Piqué, attraverso la sua Kosmos Holding, è da anni il proprietario del Futbol Club Andorra.

Ma che senso hanno operazioni di questo tipo? Come e perché le cose sono cambiate così tanto, negli ultimi anni? Ovviamente non c’è una sola risposta a queste domande, le motivazioni sono molteplici. Intanto bisogna partire da un dato: gli stipendi e quindi i patrimoni dei calciatori sono diventati così elevati che possono permettersi affari tanto impegnativi. E allora si imbarcano in queste avventure, che sono un misto tra l’imprenditoria classica e un investimento d’immagine. In un ambiente che, per altro, conoscono bene – e che quindi dovrebbero saper maneggiare. Inoltre, viene da dire, l’ingresso di un calciatore famoso nel gruppo proprietario di un club è un processo che – almeno potenzialmente – non ha controindicazioni: la società/squadra ne guadagna in visibilità e quindi in appeal commerciale (per dire: Luka Modric ha 37 milioni di follower su Instagram, lo Swansea non arriva a 500mila); allo stesso tempo, il giocatore diversifica i suoi investimenti, si crea un nuovo ruolo e così può aumentare il suo know how – e quindi la sua influenza – nel mondo del calcio. Poi non tutti questi matrimoni finiscono bene, si pensi al caso Ronaldo-Valladolid, ma le incomprensioni, le esperienze e le scelte sbagliate sono parte della vita, non intaccano quello che ormai è un vero e proprio trend.

Paradossalmente, o forse no, gli unici dubbi reali riguardano il ritorno puramente economico di queste operazioni. È infatti raro, o comunque è complicato, che i club di calcio producano grandi ricavi. A maggior ragione se parliamo di società come quelle citate finora, non del tutto sconosciute ma decisamente lontane dall’élite – i calciatori di oggi sono molto ricchi, l’abbiamo detto, ma non al punto da potersi comprare il Real Madrid, il Manchester United, la Juventus.

Interrogato sulla questione dal quotidiano francese Le Monde, l’economista sportivo Jean-Pascal Gayant ha spiegato che «stiamo parlando di un settore tendenzialmente in perdita, è vero, ma comunque vivo: i fatturati dei club di calcio e l’interesse generale sono in aumento pure nelle divisioni inferiori, anche perché il mercato dei giocatori è ormai globalizzato; inoltre viviamo in una società dell’intrattenimento in cui lo sport è un formidabile mezzo di aggregazione anche culturale, di conseguenza avere un controllo diretto sui calciatori e sui club può portare a grandi guadagni nel medio o lungo termine. E poi c’è un ultimo aspetto di cui tener conto: molto spesso i calciatori che acquistano le quote di un club non lo fanno per avere un ritorno finanziario, ma per continuare a sentirsi parte del loro mondo, per dare il loro contributo allo sviluppo di una squadra e quindi del gioco». Se poi ci aggiungiamo pure un pizzico di romanticismo, come nel caso di Verratti, allora non c’è davvero nulla di cui sorprendersi o per cui criticare.

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