La nuova Coppa del Mondo per club FIFA è il torneo che apre la grande stagione calcistica americana: il primo evento globale in un Paese che l’anno prossimo ospiterà i Mondiali, condivisi con Messico e Canada, e nel 2031 i Mondiali per Nazionali femminili. Nei prossimi anni le competizioni più importanti del mondo attireranno sull’America gli occhi del pianeta. Da New York a Los Angeles, gli Stati Uniti diventeranno il red carpet su cui sfileranno i migliori calciatori e le migliori calciatrici in circolazione – lasciando sullo sfondo le critiche ai calendari ingolfati, il pericolo infortuni, la necessaria tutela di atleti costretti a stare in campo per un numero di partite molto superiore a quello consigliato. La FIFA vorrebbe rendere gli Stati Uniti la casa del calcio. Un Paese enorme, con milioni di potenziali nuovi spettatori da conquistare e far appassionare al gioco preferito di europei e sudamericani. Al presidente della FIFA, Gianni Infantino, basta dare uno sguardo ai numeri: secondo un sondaggio Gallup, l’11% degli americani tra i 18 e i 34 anni considera il calcio il proprio sport preferito, e da un anno all’altro i numeri si moltiplicano di un fattore tre o quattro, suggerendo che le fasce più giovani siano la parte sommersa dell’iceberg. Il traino di questa tendenza sono le comunità etnicamente più varie, che importano negli Stati Uniti una passione per il gioco sconosciuta fino a poco tempo fa. La presenza di una popolazione giovane e multiculturale ha creato una base di nuovi appassionati e ha convinto la FIFA a portare in America i prossimi grandi eventi calcistici.
La scenografia sarà eccezionale. In fondo, se c’è da fare dello sport uno show, nessuno è più bravo di quelli che stanno dall’altro lato dell’Atlantico. Gli Stati Uniti hanno alcuni degli stadi più belli e più grandi del mondo, tra cui il Mercedes-Benz Stadium di Atlanta, il SoFi Stadium di Inglewood (contea di Los Angeles), l’AT&T Stadium di Dallas, il MetLife Stadium di New York. Durante le partite di MLS molti spalti restano vuoti, ma con i migliori giocatori del mondo in campo dovrebbe essere un’altra storia. In fondo, il calcio a certi livelli sa essere un grande intrattenimento e se c’è un popolo in cerca di un intrattenimento infinito quello è il popolo americano.
Organizzare il Mondiale per Club un anno prima di quello per Nazionali permette alla FIFA di testare infrastrutture e logistica, creando sinergie utili per entrambi gli eventi, su tutti i fronti. Ma l’idea di un torneo beta-test per il grande appuntamento del 2026 non è molto attraente. A maggior ragione se si tratta di una competizione senza storia presentata con scarso preavviso agli spettatori. Lo dimostrano i dati di vendita dei biglietti poco soddisfacenti – non a caso la FIFA ha deciso di concedere, a chi ha comprato i biglietti per il torneo, di avere poi un percorso prioritario per un posto allo stadio ai Mondiali 2026. Qualche settimana fa, durante un tour promozionale ad Atlanta, Infantino ha dovuto citare il Super Bowl per attirare l’attenzione del pubblico, dicendo che nei prossimi due anni ci saranno 14 grandi partite nella capitale della Georgia, sei nel 2025 e otto nel 2026, paragonabili a 14 Super Bowl. Infantino ci prova in tutti i modi, gira la nazione in lungo e in largo, partecipa agli eventi della UFC, si lascia fotografare con la maglia dei Philadelphia Eagles (franchigia di NFL), fa di tutto per pescare in ogni segmento della popolazione. Si sta immergendo nel mondo dello sport americano per ricavare il massimo dal punto di vista commerciale. Durante una puntata del suo talk show su Fox Sports, il giornalista Colin Cowherd ha chiesto a Infantino cosa ama davvero dell’America, e lui ha risposto: «Posso dire hamburger?», si è fatto una risata un po’ goffa e poi ha aggiunto, «direi hamburger, sicuramente, ma penso, e non lo dico per adulare nessuno, che questa sia davvero la terra delle opportunità».
Certo, le opportunità sono soprattutto quelle della FIFA, che fin qui ha trattato il mercato americano come un gigantesco bancomat. Perché l’aumento della popolarità di uno sport vuol dire nuove opportunità per i brand. Si prevede che gli investimenti legati al calcio da parte delle aziende degli Stati Uniti raggiungeranno i 4,6 miliardi di dollari entro il 2030, con una crescita annuale dell’11,9%. Una sinergia certificata ad agosto 2024 dall’annuncio del nuovo Official Bank Sponsor dei Mondiali, Bank of America, che a dicembre è diventato anche partner ufficiale della Coppa del Mondo per club. «Il vero motivo per cui la Coppa del Mondo per club è stata pianificata qui, e per cui la Coppa del Mondo vera e propria si svolgerà qui», ha scritto Leander Schaerlaeckens sul Guardian, «è per raggiungere le tasche dei consumatori americani. Ecco perché i club europei più appetibili sul mercato effettuano qui lunghe tournée pre-stagionali. Ecco perché la Nazionale messicana gioca molte delle sue partite qui. Ecco perché la CONMEBOL ha ospitato qui due edizioni della Copa América nell’arco di soli otto anni».
Oggi negli Stati Uniti il calcio è uno sport giocato, seguito, studiato, proprio come da anni accade per il basket, il baseball e il football americano. Club, campionati e aziende stanno lavorando insieme per sfruttare al meglio quella che sembra l’alba di una Golden Age del calcio americano. Ospitare i tornei più importanti del pianeta è una grande occasione. Ma come nelle migliori serie tv, c’è un villain che vuole mettere le mani sul bottino. È qui che spuntano il ciuffo laccato e il fondotinta arancione di Donald Trump. La corsa all’oro si svolgerà quasi interamente durante il suo mandato – nella speranza che non trovi un modo per sovvertire la Costituzione e aggrapparsi al potere fino al 2031, anno dei Mondiali femminili. Quindi ci sarà una lunga operazione di magnificenza dell’amministrazione più pazza del mondo. «Sarà il più grande evento sportivo della storia», ha detto il presidente lanciando il conto alla rovescia per i Mondiali 2026 dal suo Studio Ovale, affiancato dal presidente della FIFA Gianni Infantino. Quando gli hanno chiesto se l’aumento delle tensioni internazionali causate dalle sue politiche aggressive potesse influenzare il Mondiale ha risposto: «Penso che renderà tutto più emozionante. La tensione è una cosa positiva». Non è proprio così: la tensione paralizza, crea incertezza economica e blocca sponsor, pubblicità, turisti e tifosi, che iniziano a chiedersi se siano davvero i benvenuti, e perché dovrebbero prenotare viaggi e pacchetti turistici in un’economia gravata da dazi e sovranismi.
Organizzare un Mondiale, per club o Nazionali, vuol dire aprire le frontiere. Le grandi manifestazioni sportive – nel pacchetto rientrano anche le Olimpiadi di Los Angeles del 2028 – sono sinonimo di accoglienza, di mondi che si incrociano e si parlano, in campo, sugli spalti, fuori dagli stadi. Ma oggi alla frontiera degli Stati Uniti ci sono i lucchetti. La retorica del muro al confine con il Messico è rimasta nella bolla del primo mandato, ma chi prova a entrare negli Stati Uniti oggi rischia di rimanere deluso. Nemmeno la green card dà più garanzie. A molti turisti con regolare visto è stata negata la possibilità di entrare nel Paese, alcuni sono stati anche portati in centri di detenzione e sono stati trattati come criminali transfrontalieri.
Trump, insomma, non è proprio l’host migliore possibile per i tornei più importanti del mondo. Forse non è ancora arrivato ai livelli dei dittatori mediorientali o di Vladimir Putin, ma si comporta come un mafioso con i presidenti che non gli stanno simpatici, minaccia invasioni imperialiste della Groenlandia, litiga con i suoi vicini anche per le minuzie, e forse troppo facilmente dimentichiamo che ha ordito una rivolta contro il Congresso quando ha perso le elezioni. Da quando è tornato alla Casa Bianca governa con l’isteria di un capomafia che ha dei conti da regolare, usando i decreti presidenziali come un lanciafiamme: ha firmato centinaia di ordini esecutivi, molti dei quali sono stati impugnati in tribunale; mette in discussione i poteri dei giudici e se ne arroga di nuovi, revocando diritti consolidati.
Trump vuole vedere il mondo bruciare – qui si intende l’abbattimento dell’ordine mondiale liberale costruito negli ultimi decenni, ma forse anche in senso letterale. Ogni volta che può calpesta l’accordo di Parigi sul clima e non perde occasione di sminuire chi investe in energie rinnovabili o progetti di rinverdimento del pianeta. In questo, va anche contro i recenti impegni della FIFA in materia di sostenibilità. Ad esempio, sull’organizzazione dei Mondiali, il requisito 2.8.2 della FIFA insiste sul fatto che il Paese ospitante o l’autorità della città ospitante «abbia un piano d’azione per ridurre le emissioni in linea con l’accordo di Parigi sul clima e/o con i piani d’azione per il clima del proprio Paese». Trump e la sua amministrazione stanno andando esattamente nella direzione opposta, ma Infantino sembra fare finta di niente. Negli anni Ottanta, Reagan parlava di Stati Uniti come società aperta e accogliente, la vera Land of the free, un posto a cui il resto del mondo guardava colmo di speranza, sognando di sbarcare lì per farsi una nuova vita. Una retorica che doveva frantumare la chiusura dell’Unione Sovietica costruita sul socialismo in un solo Paese e decenni di politiche illiberali. Trump sta ribaltando lo schema, vaporizzando l’immagine del mondo libero uno slogan populista alla volta. A cosa porterà affidargli le chiavi del calcio?