Se il primo turno del Mondiale per Club aveva evidenziato un trend per cui le squadre europee non sembravano molto distanti di quelle sudamericane, le gare successive hanno rimescolato un po’ le carte in tavola. O meglio: hanno chiarito i reali rapporti di forza, almeno per quanto riguarda la CONMEBOL, la confederazione del Sud America. E allora bisogna fare dei distinguo importanti: da una parte ci sono i quattro club brasiliani (Botafogo, Flamengo, Palmeiras, Fluminense), che hanno messo in difficoltà quelli europei e alla fine hanno ottenuto il passaggio agli ottavi; dall’altra ci sono le due squadre argentine, Boca e River, che invece hanno dimostrato di essere uno o due gradini sotto. E non solo perché sono state eliminate, ma per il modo in cui è arrivata questa eliminazione: la squadra di Gallardo ha battuto solo gli Urawa Red Diamonds, poi ha pareggiato con il Monterrey ed è stata battuta dall’Inter; quella di Russo e Cavani, invece, aveva anche iniziato bene contro il Benfica (2-2 dopo essere stata in vantaggio di due gol), ma poi è stata sconfitta dal Bayern ed è riuscita a non vincere contro l’Auckland City, una squadra composta da giocatori semiprofessionisti.
C’è poco da aggiungere, questi dati/risultati parlano da soli. In questo caso, però, è giusto anche andare oltre. Nel senso che le prestazioni offerte da Boca e River sono lo specchio, si potrebbe dire anche la conseguenza, di una gravissima crisi strutturale dell’intero calcio di club argentino. Basti pensare che, proprio guardando a Boca e River, rispettivamente l’ultima vittoria in Libertadores risale, rispettivamente, al 2007 e al 2018; inoltre, sempre in Libertadores, il Superclásico giocato in finale sette anni fa ha rappresentato una sorta di ultimo tango prima del monologo dei club brasiliani, che hanno disputato quattro derby in finale negli ultimi cinque anni. Certo, in Copa Sudamericana – l’equivalente sudamericano dell’Europa League – le cose sono andate diversamente, il Defensa Y Justcia (nel 2020) e il Racing Avellaneda (nel 2024) hanno portato il trofeo in Argentina, ma la differenza economica con il Brasilerão, almeno in questo momento, è abissale. Praticamente la stessa cosa che succede in Europa tra la Premier League e gli altri tornei, ma il contesto è completamente diverso.
Sono gli stessi argentini a sottolineare le difficoltà del loro sistema, del loro movimento di club: dopo l’eliminazione del River, El Clarín ha pubblicato un articolo piuttosto impietoso, in cui si legge che «le due squadre più importanti del nostro Paese hanno speso tantissimi milioni, come mai prima d’ora, eppure non sono riuscite a costruire delle squadre all’altezza. Entrambe vivono enormi problemi politici, ci sono dissidi interni alle due dirigenze, ma in realtà la Federazione argentina dovrebbe interrogarsi sulla grande distanza che c’è rispetto al Brasile e alle leghe europee: non è che il nuovo formato del campionato abbia abbassato l’asticella della competitività, facendo in modo che Boca, River e tutti gli altri club fatichino troppo nelle gare internazionali?». Il Clarín fa riferimento al recente cambiamento della Superliga argentina, conformatasi adesso come un torneo con 30 squadre iscritte e una formula piuttosto cervellotica, che assegna due titoli nazionali al termine di due serie di playoff. E poi c’è un altro aspetto da considerare: la perpetua crisi economica che attanaglia l’Argentina ha colpito anche il calcio, determinando una situazione per cui persino Boca e River, i club più importanti del Paese, generano ricavi commerciali molto inferiori rispetto a quelli delle squadre brasiliane. In virtù di tutto questo, come dire, i risultati arrivati al Mondiale per Club non possono e non devono essere considerati una sorpresa, anzi.