I primi due ace di Alcaraz nei primi due punti della finale di Wimbledon non devono aver fatto pensare al meglio. Eppure, da lì in poi, il match di Jannik Sinner è stato un dominio assoluto. Anche in quel primo set portato a casa dallo spagnolo ma in cui Jannik aveva giocato meglio, almeno fino agli ultimi due game: Alcaraz si è preso il primo parziale con una delle sue accelerazioni incontenibili, quelle a cui nessun essere umano può (ancora) resistere, fatte di colpi imprevedibili, finte di corpo che ricordano quelle dei calciatori, traiettorie da proiezione ortogonale.
Una volta esaurita quella vampata, però, Sinner si è ripreso la partita. E l’ha fatto manifestando una varietà di colpi impressionanti, primo tra tutti un rovescio meraviglioso che ha messo in costante difficoltà Alcaraz. Anche il dritto, in costante apertura del campo, ha fatto il suo lavoro. Nel terzo set, poi, ha iniziato a funzionare perfettamente anche il servizio, e così Sinner ha spinto l’avversario in terreni tecnici inesplorati. E, soprattutto, è riuscito a innervorirlo. Alcaraz non ha mai trovato ritmo, travolto dalla costanza di Sinner. Dal secondo set in poi, quando è arrivato il primo e forse decisivo break del match, non c’è stata partita. Più Sinner cresceva, più Alcaraz si incupiva e faceva fatica a portare avanti lo scambio. Troppa la differenza di passo e di forza dei colpi, troppo il divario anche mentale in ogni singolo game.
Anche dal punto di vista psicologico Sinner ha dominato la finale. Non ha sbagliato nulla nei punti con più pressione, aspetto che forse in altri match era stato più complicato da gestire. La superiorità del numero uno al mondo va oltre un risultato finale (4-6, 6-4,6-4, 6-4) che non parla di un’ampia distanza. Certo, all’interno della partita molti scambi sono stati combattuti, ma è stato sempre Sinner a comandarli. Aveva bisogno di una partita così, contro Alcaraz, non tanto per vendicare il Roland Garros, non solo per rompere la striscia di cinque vittorie di fila dello spagnolo, quanto per evitare che, nella sua testa, iniziasse a far capolino l’idea di essere inferiore a Carlos. Ora che si è sbloccato, Jannik potrà solo che migliorare. Anche se i dettagli che ha limato nelle due settimane londinesi lo hanno già portato a un livello tecnico impressionante.
Il suo quarto trionfo in uno Slam, non solo perché è arrivato a Wimbledon, quello che lo pone un gradino sopra tutti gli altri. Fino a oggi c’erano dei dubbi, più che altro per il modo in cui Alcaraz era riuscito a imporre il suo strapotere fisico su certe superfici, in certe partite. Ecco, Sinner è cresciuto anche lì, si è visto chiaramente in finale: Jannik è riuscito a tenere e a contenere la potenza del servizio e del dritto di Alcaraz, che in questo modo non è riuscito a spalancare il campo come al suo solito. Quando è sceso a rete, poi, è stato una sentenza. Tra smorzate e palle corte non ha offerto una soluzione uguale all’altra, impedendo all’avversario di fare quello che più gli piace: martellare dal fondo senza pietà.
In questo senso, forse, l’immagine più importante è stata quella offerta dall’ultimo game del secondo set, il più esaltante al servizio. Proprio quel game ha liberato Sinner, nel modo più dolce e naturale possibile. Jannik si è più guardato indietro, breakando quasi sempre a inizio set e spezzando le certezze di Alcaraz. In qualche modo ci abbiamo capito poco anche noi, che forse non abbiamo realizzato la portata storica di quello che è successo a Wimbledon. Sinner ha fatto sembrare normale la sua vittoria, il suo dominio, e la cosa più incredibile è proprio questa.