La narrazione highlights-oriented dello sport contemporaneo, ma in realtà le cose vanno così fin da quando esistono i giornali, ha già emesso la sua sentenza: la finale di Wimbledon 2025 vinta da Sinner su Alcaraz, finale terminata col punteggio semiperiodico di 4-6 6-4 6-4 6-4, è girata quando il tennista numero uno del mondo ha servito un ace su una seconda palla piuttosto pesante. Eravamo nel cuore caldo del terzo set, il tabellone diceva 4-3 per Alcaraz e 30 pari di punteggio. Palla che rimbalza sulla riga, sbuffata di gesso, punto a Jannik. Fosse andata diversamente, dicono e pensano tutti in modo più o meno esplicito, Alcaraz avrebbe vinto quel set e poi la partita, costringendo così Sinner alla seconda sconfitta consecutiva all’ultimo atto di un torneo dello Slam – nonché al sesto match persa in fila perso contro lo spagnolo.
Ci sta pensarla così, in fondo se c’è uno sport che vive di clamorosi ribaltoni psicologici, beh, quello sport è proprio il tennis. Allo stesso tempo, però, ridurre una grande partita e – di conseguenza – una grande vittoria a un singolo ace, a un singolo momento, è un tantino eccessivo. Per un motivo molto semplice: prima e dopo quel punto comunque importante, comunque determinante nell’economia della partita, Jannik Sinner ha dimostrato di essere forte come Alcaraz, se non di più. E di esserlo su un terreno, inteso come superficie di gioco ma anche come situazione tecnica ed emotiva, chiaramente favorevole al tennista spagnolo. In ordine sparso: non si giocava sul cemento, non si giocava indoor, Alcaraz aveva già conquistato due volte Wimbledon, Alcaraz aveva vinto il primo set e Sinner era comunque reduce da un periodo non semplice – la sospensione di tre mesi dopo il caso-Clostebol, la sconfitta in finale a Roma, l’incubo vissuto al Roland Garros, l’uscita a Halle contro Bublik, il problema al gomito e la sconfitta annusata, sfiorata e poi scongiurata contro Dimitrov di qualche giorno fa. Eppure, nonostante tutto questo, Sinner era lì, è sempre stato lì, ha approcciato abbastanza bene la finale e ha perso il primo set solo perché Alcaraz ha avuto uno dei suoi meravigliosi momenti di grazia tennistica, quattro game consecutivi in cui è stato letteralmente incontenibile.
Il Telegraph, tra tutti i giornali stranieri che hanno raccontato la finale, è quello che ha centrato meglio il titolo dell’articolo di commento: “Iron-willed Jannik Sinner beats Carlos Alcaraz to win Wimbledon”. Ecco, la chiave sta in nell’aggettivo Iron-willed, che in italiano si potrebbe tradurre come persona dalla volontà di ferro. Questo titolo e questo aggettivo, esattamente come la finale, vanno però letti su due piani diversi: se Sinner è riuscito a non cedere, se Sinner è riuscito a ribattere colpo su colpo ad Alcaraz, se Sinner alla lunga è riuscito a chiudere il suo avversario all’angolo e poi a metterlo ko, la sua forza di volontà c’entra, è stata fondamentale, ma c’è anche da dire che la sua vittoria è stata una essenzialmente tecnica, soprattutto tecnica. Per dirla brutalmente: tantissimi tennisti hanno la forza di volontà di Sinner, ma nessuno ha il suo bagaglio di colpi, la sua capacità di difendersi, la sua inquietante – in senso positivo – continuità tattica e prestazionale; magari Jannik non avrà gli accecanti picchi di classe di Alcaraz, ma questo non toglie che sia un tennista raffinatissimo, un giocatore completo dal punto di vista formale e sostanziale. E infatti per prendersi il famoso ace di seconda che ha girato il terzo set, sul 3-4 e 30 pari, serve tantissima qualità. Così come per indovinare il rovescio lungolinea che ha indirizzato il quarto set, un rovescio che Paolo Bertolucci in telecronaca ha definito «illegale», serve una sensibilità mostruosa.
Ci sarebbero tanti altri colpi da citare, da raccontare, ma a questo punto il concetto dovrebbe essere chiaro: al di là della sua evidente superiorità mentale su qualsiasi altro giocatore al mondo, Jannik Sinner è arrivato a vincere Wimbledon perché è un tennista fenomenale. Diverso da Alcaraz naturalmente, forse meno spettacolare e più solido rispetto allo spagnolo, ma questo non significa meno forte in senso assoluto. Anche perché lo stesso Alcaraz gioca come un dio solo per il 20 o il 25% delle sue partite, e questo è un problema solo e soltanto suo, non dipende dagli altri. Sinner invece è un caterpillar e ora è arrivata anche la certificazione definitiva, non si può definire diversamente una finale sull’erba vinta in modo autorevole per non dire autoritario, tre set in fila di cui il primo senza ace, 30 punti vinti a rete su 40 discese tentate, una percentuale del 56% di punti sulla seconda palla. Ecco, questi sono dati che descrivono un tennista che non ha niente da invidiare a nessuno e tantomeno ad Alcaraz, che va oltre l’efficacia al servizio, oltre la forza fisica, oltre la volontà: sono i dati di un tennista che sa variare il suo stile, che non martella più solo da fondo campo o quando ha la palla in mano e va a servire, che è cresciuto in tutti gli aspetti del suo gioco, che può dominare l’ATP per i prossimi anni.
È praticamente certo che l’impero tennistico di Sinner sarà in realtà una diarchia condivisa con Alcaraz, ma dopo la vittoria a Wimbledon ci sono tutti i presupposti per pensare che la loro sia una rivalità assolutamente paritetica: sul Centre Court dell’All England Club, infatti, Jannik non si è soltanto preso il titolo più importante della sua carriera e nella storia del tennis italiano, ma ha anche cancellato il fantasma di Alcaraz, nel senso da oggi in poi potrà affrontarlo senza alcun tipo di timore reverenziale. Anzi, adesso forse sarà Carlos a dover trovare il modo per rimettersi in scia e poi a correre fianco a fianco con Jannik, se ci riesce.