Domenica 8 giugno 2025: dopo una maratona tennistica durata più di cinque ore, Jannik Sinner è seduto sulla panchina del Philippe Chatrier di Parigi. È stravolto, ha lo sguardo perso nel vuoto. Pensa a quanto è stato vicino il Roland Garros: l’ha sfiorato, accarezzato, poi è svanito. Tre match point falliti, poi altre occasioni per battere Carlitos Alcaraz e conquistare il suo quarto titolo dello Slam. È inevitabile che un tennista, per quanto forte e mentalmente solido, possa crollare al termine di un match del genere, di un vero e proprio giro sulle montagne russe che però è finito male, con l’avversario in festa per la vittoria. Cinque settimane dopo, Jannik Sinner è in ginocchio sull’erba, si appoggia alla racchetta, sorride. Tocca il prato sotto di sé, lo accarezza, gli dà delle pacche con la mano aperta. Da qualche minuto è diventato il primo tennista italiano, non importa se uomo o donna, a conquistare il torneo in singolare di Wimbledon. Non esiste, perché non sarebbe potuta esistere, rivincita più bella. Anche perché l’avversario battuto era proprio lui, lo stesso Carlitos Alcaraz che aveva vinto a Parigi.
Su quella panchina del Centrale de Roland Garros, accanto a Sinner, c’eravamo tutti. E tutti abbiamo avuto la percezione che quella vittoria di Alcaraz fosse stata un colpo duro, secco, talmente centrato da far barcollare anche una colonna di marmo come Sinner. Che però ha risposto facendo quello che sa fare meglio: è tornato subito in campo, nel silenzio che piomba dopo una sconfitta. Si è isolato, non ha lasciato che i divorzi con il suo fisioterapista e il suo preparatore atletico ostacolassero il suo percorso a Wimbledon. È entrato in modalità-Jannik: lavoro, gioco, risultati.
Ma, ripetiamo, la botta di Parigi sembrava essere stata davvero pesante: il numero uno al mondo ha perso a Halle contro Bublik, mentre nel frattempo Alcaraz si prendeva anche il torneo del Queens. Anche a Wimbledon, però, c’è stato un momento in cui Sinner sembrava destinato a crollare, di nuovo: ha tremato contro Dimitrov, per un problema al gomito, poi però gli dei del tennis gli hanno teso una mano. Il giocatore bulgaro, avanti di due set, si è accasciato al suolo e ha dovuto ritirarsi. Sinner da lì è ripartito, forse lo scampato pericolo agli ottavi ha dato l’ultima pennellata di convinzione all’affresco che stava dipingendo: l’affresco della rivincita.
Dopo aver battuto Shelton e Djokovic, forse anche a causa dei contrattempi e dei dubbi che ha vissuto/assaporato nel corso del torneo, Sinner ha cambiato mentalità: ha ascoltato le sensazioni in campo, ha modificato un po’ il suo gioco. Di fatto ha costruito da zero la partita contro Alcaraz, colpo dopo colpo: «A differenza di Parigi», ha detto dopo la finale. «sono andato a prendermi la partita: ho tirato, ho cercato di andare più a rete, anche sbagliando a volte. Ma sono felice di come ho gestito le situazioni del match».
Nonostante i cambiamenti, il primo set della finale contro Alcaraz è stato complicato. Sinner era teso, si è arrabbiato con la sfortuna. Alcaraz era andato sotto ma poi ha ripreso coraggio e vantaggio con una delle sue tremende accelerazioni tecniche e fisiche. Solo che Sinner non ha ceduto, si è rimesso lì a giocare, con uno sguardo ancora più gelido, ha gestito la partita e anche le emozioni da campione vero. Sul Centrale di Wimbledon ha scolpito la sua rivincita: elegante e impeccabile in campo, poi timido durante il cerimoniale di premiazione, davanti alla famiglia reale, dopo aver abbracciata la sua, di famiglia. La vittoria è servita, Jannik ora sorride. Si è scrollato di dosso i fantasmi di Parigi, ha mostrato a tutti come si può reagire a una sconfitta tremenda, come è possibile farlo da campioni. E così la vittoria sull’erba più bella e glamour del mondo, il sogno dei sogni per qualsiasi tennista, è diventato realtà.