È forse il problema principale per i grandi club: i contratti dei calciatori stanno drogando il mercato e rischiano di far scendere i prezzi dei cartellini – al netto di quanto succede nella bolla dell’Arabia Saudita. Quel trend che aveva portato il Chelsea del businessman Tod Boelhy a offrire ingaggi extralusso per almeno sei o sette anni ora sta diventando un modello anche per i club di seconda fascia. Un esempio? L’accordo con cui l’Athletic Bilbao ha blindato uno dei suoi giocatori-simbolo, Nico Williams, fino al 2035. Ecco, un contratto del genere sembra aver siglato un impegno a lunghissimo termine e praticamente indissolubile, un vero e proprio patto di sangue. Che però potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio per tutte le parti in causa. Lo dice l’andamento degli ultimi anni.
Come rilevato da L’Équipe, infatti, firmare contratti di lunga durata è diventata una tendenza sia nella Liga spagnola che in Premier League. Al 22 luglio, sono 43 i giocatori che hanno accordi superiori ai cinque anni, di cui 18 nel solo Chelsea. Che ha sfruttato questa possibilità più di ogni altro club prima che la FIFA finisse per cercare di equiparare la durata a livello globale: «Oggi, almeno secondo la Federazione Internazionale, non si possono più stipulare accordi più lunghi di cinque anni», ricorda al giornale francese Jean-Rémi Cognard, avvocato esperto in diritto sportivo. «Solo che questa durata non è legata solo ai codici dalle istituzioni calcistiche. C’entra anche il diritto del lavoro nazionale, che alla fine prevale». Come accade proprio in Spagna e Inghilterra, ma non negli altri top cinque campionati europei.
Ok, ma qual è il vantaggio di questi contratti? Fino a qualche tempo fa era un modo per ammortizzare il costo del trasferimento su più stagioni sportive. Acquistare un giocatore per 80 milioni di euro e fargli firmare un contratto di dieci anni anni permetteva di dichiarare un ammortamento annuale di otto milioni. Questa pratica, di fatto, permetteva ai club di aggirare le regole del Fair Play finanziario, di comprare di più o a prezzi più alti. Ed è proprio qui che la FIFA è intervenuta in modo più significativo: indipendentemente dalla durata del contratto di lavoro, la durata massima dell’ammortamento per un cartellino è di cinque anni. E questa regola vale dappertutto, anche in Liga e in Premier League.
Eppure alcune squadre continuano a proporre contratti lunghissimi. «In teoria, bisogna rispettare la scadenza del contratto a tempo determinato. E questa è una cosa che dovrebbe proteggere i club: in presenza di un accordo ancora lungo, se un giocatore vuole andarsene, l’indennizzo che dovrà pagare sarà più». E lo stesso discorso vale anche per i ritocchi di stipendio: se il contratto in questione è lontano dalla scadenza, il giocatore rischia di avere meno potere al tavolo di trattative. In virtù di tutto questo, quindi, un calciatore che stipula un accordo di sette, otto o dieci anni rischia di mettersi da solo in una prigione dorata. Non a caso, viene da dire, solo due grandi nomi del panorama europeo hanno sottoscritto contratti più lunghi di cinque stagioni: il già citato Williams ed Erling Haaland.
Ma il rischio riguarda anche i club. Pensiamo al già citato Chelsea: oltre a Cole Palmer, Enzo Fernández e Nicolas Jackson, anche Mykhailo Mudryk ha firmato un contratto lunghissimo, otto anni e mezzo da gennaio 2023 a giugno 2031. Oggi l’attaccante ucraino rischia quattro anni di squalifica per doping. Ma i problemi possono manifestarsi anche al di là di casi “unici” come quello di Mudryk: João Félix è arrivato l’anno scorso per 52 milioni e ha sottoscritto un accordo fino al 2031, non ha convinto e ora è difficilissimo da piazzare sul mercato; Benoît Badiashile (contratto fino al 2030) e Wesley Fofana (contratto fino al 2029) hanno avuto problemi fisici ricorrenti. È anche una questione di garanzie percepite, quindi di stimoli che potrebbero calare: «Con tanti anni di contratto», ha spiegato Cognard a L’Équipe, «un calciatore si sente sicuro e questo può essere un’arma a doppio taglio, in quanto potrebbe implicitamente abbassare il livello delle performance. Dopotutto una carriera professionistica raramente dura più di 20 anni, firmare un contratto da otto-dieci anni è una scelta importante, che può condizionare l’intera storia di un atleta». Insomma, una volta scomparso il discorso-ammortamento non ci sono più motivi validi per firmare contratti lunghi. O almeno così pare.