L’emiro non poteva fermarsi al 2022. Messi che alza la coppa, i Mondiali d’inverno e una rivoluzione cronologica-strutturale che ha cambiato per sempre la storia della manifestazione. A quasi tre anni da quelle notti, oggi il Qatar decide di rilanciare. Anche perché la corsa allo sport, tra paperoni del deserto, non sembra avere alcuna intenzione di fermarsi. L’Arabia Saudita investe miliardi su miliardi, compra CR7 e si assicura l’edizione del 2034? Bene: Doha allarga gli orizzonti e punta ai Giochi estivi. Perché se c’è un evento globale – l’unico e il solo – in grado di attirare più audience e risorse dei Mondiali di calcio, quello è l’appuntamento olimpico. Che nel 2028 saranno a Los Angeles, nel 2032 a Brisbane. Ma nel 2036 – due anni dopo che Mohammad bin Salman consegnerà il trofeo al Mbappé di turno – ancora non si sa. E il Qatar vuole sciogliere ogni dubbio.
“Al momento disponiamo già del 95% delle infrastrutture sportive richieste per ospitare le Olimpiadi”, ha dichiarato lo sceicco Joaan bin Hamad Al Thani, presidente del Comitato olimpico qatariota e fratello minore dell’emiro Tamim. “Metteremo in atto un piano nazionale comprensivo per assicurare la realizzazione degli impianti rimanenti: presto saremo pronti a ospitare l’evento”. Considerato che mancano undici anni all’accensione del braciere, la candidatura di Doha si fa decisamente forte. Perché non solo la città, nel pieno di una crescita urbanistica vertiginosa, vanta già un ampio curriculum nell’ambito dell’eventistica sportiva: World Athletics, World Beach Games, Mondiali di ginnastica e naturalmente quelli di calcio – oltre ai Giochi asiatici che saranno ospitati nel 2030. Ma allo stato attuale, non s’intravedono altre sedi competitive: le uniche altre proposte di candidatura avanzate sono quelle di Ahmedabad (India), Istanbul, Nusantara (Indonesia) e Santiago del Cile. Nessuna dispone del potere economico di Doha. E soprattutto, del suo parco infrastrutturale.
L’unico annoso problema, quando si tratta di penisola arabica d’estate, è come sempre la temperatura. Uno scoglio che il Qatar ha già dimostrato di risolvere organizzando le gare d’atletica in piena notte, o a suon di aria condizionata negli impianti al chiuso – e talvolta pure all’aperto: ai comprensibili dubbi di natura ambientale, questa volta l’emirato potrà ribattere con l’innegabile risparmio di costo garantito da stadi e palazzetti già pronti, per ora inutilizzati, e che permetterebbero di dirottare parte del budget verso progetti ecologici ad hoc (una formula più volte sperimentata, sia per controbilanciare gli sperperi o per strategie di greenwashing).
Nel peggiore dei casi, se il Qatar è già riuscito a spostare i Mondiali in inverno non sarà impossibile fare lo stesso con le Olimpiadi in primavera o in autunno – non a caso i Giochi asiatici 2030 si terranno a novembre. “La nostra candidatura riflette una visione nazionale sullo sviluppo della regione, esaltando i valori di eccellenza, amicizia e rispetto che definiscono il movimento olimpico e paralimpico”, insistono da Doha. E rispetto al 2022, l’eventistica sportiva è ormai contraddistinta da scelte globali sempre più controverse – non serve nemmeno uscire dagli Stati Uniti, oggi, per sentire l’allarme delle organizzazioni per i diritti umani in merito ai lavori verso la prossima Coppa del Mondo. Anche su questo, il Qatar ha aperto la via. Ripetersi non sembra poi così difficile.