Una volta, parlando con l’autore di due apprezzati libri su Cristiano Ronaldo e Lionel Messi, gli chiesi se la sua prossima fatica si sarebbe focalizzata su Erling Haaland, reduce della sua prima, devastante stagione con il Manchester City. Risposta: «E cosa dovrei scrivere, pagine e pagine di codici binari?». Una replica che, applicata alla Formula Uno, calzerebbe a pennello per Oscar Piastri. Pilota modernissimo e assolutamente robotico a livello di gestione delle emozioni, della pressione e della curva di apprendimento. Alla terza stagione in Formula Uno, a 24 anni, appare già pronto a coronare lo scopo di una vita intera per un uomo di motori, ovvero vincere il Mondiale della competizione regina delle corse su quattro ruote.
Qualcuno potrebbe obiettare che Piastri guida un missile, ma per la replica è sufficiente spostarsi di qualche metro nel paddock e mettere Piastri a confronto con il compagno di squadra Lando Norris, il più umano tra i grandi piloti di oggi. Umano perché non ha avuto paura di ammettere la propria fragilità psicologica che talvolta lo induce in errore. Piastri per contro rimane glaciale, imperturbabile, mono-espressivo, come se non ci fosse differenza tra il resettarsi dopo un lungo nel circuito australiano di casa che gli è costato il podio; far registrare senza sbavature in Bahrain il primo hat-trick (pole, giro veloce, vittoria) in carriera; uscire vincitore da un corpo a corpo con Max Verstappen in Arabia Saudita; oppure baciare il muro della Santa Devota a Montecarlo uscendo con il minor danno possibile.
Oscar Piastri da Melbourne sembra il prodotto in laboratorio di una IA, che ha innestato su un corpo da atleta filamenti di Kimi Raikkonen, frammenti di Mark Webber, codici di Max Verstappen e bit di Niki Lauda. L’accostamento con quest’ultimo potrebbe provocare un sopracciglio alzato tra gli appassionati più tradizionalisti, ma nessuno sta sostenendo che Piastri sia il nuovo Lauda. Però, la maniera in cui, come ha scritto Pino Allievi su Autosprint, «in McLaren ha portato tranquillità, certezze, metodo di lavoro e dialogo con i tecnici, ricorda il periodo di Niki in Ferrari». Piccole tracce, segnali di un passato che torna rielaborato e modernizzato.
Quanto a Verstappen, spogliando l’olandese da tutti i lati oscuri derivanti dalla formazione di stampo militare ricevuta dal padre Jos, si arriva su un terreno comune dove ogni emotività e condizionamento psicologico sono banditi. Anche in questo caso, è sufficiente appoggiarci a Norris. Mentre l’inglese soffre psicologicamente Max e spesso dai duelli esce perdente, nonostante goda di mezzi superiori, Piastri gestisce lo scontro con una glacialità che rasenta l’indifferenza. Nessun timore reverenziale; per lui Verstappen è un rivale come gli altri. Lo si è visto lo scorso anno ad Abu Dhabi, nella gara conclusiva della stagione, dove la McLaren si stava ancora giocando il titolo costruttori con la Ferrari. Piastri non ha alzato il piede alla prima curva, arrivando al contatto con l’olandese. Lo stesso è accaduto quest’anno in Arabia Saudita, con Verstappen costretto a tagliare la chicane di curva 1 per poi prendersi la penalizzazione che ha regalato il successo all’australiano. Piastri, di fatto, si è messo sullo stesso piano del rivale, rispondendogli punto su punto. Preferisci la penalità per poter correre in aria fresca? Io piazzo una serie di giri di scientifica regolarità e sfrutto la superiorità tecnica della mia monoposto per sorpassarti al cambio gomme. Poi a Imola Max gli ha restituito il colpo, con un sorpasso spettacolare al Tamburello. I due parlano lo stesso linguaggio, quello della pista. I giochetti psicologici non funzionano.
Un’altra dote che Piastri condivide con Verstappen è l’adattabilità, concetto questo ben espresso proprio dall’olandese: «Ognuno possiede un determinato stile di guida, ma se l’auto non lo richiede, allora questo stile non serve a niente». Anche Piastri possiede il suo, ma è in grado di modellarlo rapidamente alle necessità richieste. Tom Stallard, il suo ingegnere, ha definito questa malleabilità «cruciale, perché non tutti i piloti riescono a comprendere in tempo reale il motivo, poniamo, del comportamento dell’auto all’ingresso di una curva. Lui invece registra l’opportunità mancata e la rielabora per la volta successiva, ancora prima che arrivi la nostra spiegazione».
Rimane indubbiamente più agevole individuare gli elementi in comune tra Piastri e Raikkonen, e tra Piastri e Webber, non fosse altro che, in quest’ultimo caso, l’ex pilota è il suo agente e mentore. Con il finlandese, ultimo pilota a laurearsi campione con una Ferrari, la somiglianza deriva dall’atteggiamento cool and collected, come direbbero gli inglesi, con vocabolario ridotto all’osso e prontuario composto da una decina di frasi fatte per togliersi di mezzo il prima possibile l’intervistatore di turno. Come Raikkonen, anche Piastri correrebbe e basta, se potesse. Per comunicare gli basterebbero un abitacolo, un volante, due pedali e un pad a farfalla per cambiare. Tutto il resto è superfluo, anche se spesso necessario. Come i social media: oggi qualsiasi atleta non può farne a meno. Ma Piastri è tutto tranne che un personaggio social, e l’immagine più bizzarra nella quale finora è capitato di vederlo è una foto di lui e la sua compagna vestiti come Fred e Daphne di Scooby Doo.
Anche sul lato privato, l’australiano è lontano dall’archetipo del pilota glamour, festaiolo e – talvolta – sciupafemmine. Sta da sei anni con Lily Zneimer, conosciuta sui banchi dell’Haileybury College di Herford, Inghilterra, dove il nostro si era trasferito all’età di 16 anni per andare dritto al cuore della tradizione motoristica – ci sarebbe stata anche l’Italia, lui che ha un trisavolo partito da Licciana Nardi, paesino in provincia di Massa Carrara, ma con il nostro paese non c’è mai stato alcun abbocco. La Zneimer, laureata in ingegneria, tiene un profilo bassissimo a livello mediatico ed è più facile vedere i due a un evento motoristico piuttosto che a una festa VIP. Anche se qualcuna gli è toccata, come quella post vittoria in Bahrain, organizzata dai padroni di casa, nonché proprietari della McLaren. Il commento è stato in pieno stile Raikkonen, ovvero all’insegna di un’innata dissociazione dal convenzionale: «Sarà certamente una cosa allegra e bella, ma non posso farmi coinvolgere più di tanto, perché domenica prossima ho una gara». Attenzione però a non infilare troppo Piastri dentro il clichè comportamentale raikkoniano, visto che anche in pista certi elementi – la guida pulita, l’abilità nel fare ciò che basta per stare davanti, senza strafare – sono assimilabili a quanto Kimi fece vedere soprattutto nei suoi anni d’oro, culminati con il già menzionato titolo con la Ferrari.
Infine Mark Webber, che sta a Oscar Piastri come nel tennis Brad Gilbert stava a Andre Agassi. Ovvero un buon atleta, non un campionissimo, capace di estrarre il meglio da un allievo più dotato di lui. Webber è sempre stato considerato un pilota plafonato, ma possedeva dei numeri non da poco, soprattutto nella velocità in curva, dove era notevolissimo. Webber conosce la pista, ma soprattutto conosce le dinamiche del Circus, e tutte le sue esperienze, positive e negative, sono state travasate nel suo connazionale. Si veda la lucidità, condita con un pizzico di cinismo, con la quale ha tolto Piastri dalla Alpine, per la cui Academy aveva corso in Formula 2 e 3 (vincendo entrambe le categorie al debutto) e nel 2022 era diventato terzo pilota del team. Le prospettive nebulose riguardanti il suo futuro nella scuderia francese (si parlava di un possibile prestito alla Williams), derivanti da una situazione contrattuale ancora tutta da definire, hanno consentito a Webber di scavalcare l’Alpine e ottenere un posto in McLaren. Nessuna infrazione né doppio gioco, come sentenziato dalla Commissione per il Riconoscimento dei Contratti della FIA; solo freddezza, decisione e capacità di analisi.
Come in pista, perché da quando Piastri si è trovato in testa al Mondiale, nelle sue prestazioni è subentrato un certo approccio calcolatore che opta per evitare i duelli, se questi non sono strettamente necessari. Come in Canada, dove alla partenza non ha rischiato contro Andrea Kimi Antonelli, preferendo un approccio morbido nei confronti dell’italiano, partito meglio di lui, per poi provare a passarlo (non riuscendoci, in quella gara) in situazioni meno rischiose. Webber sa cosa significhi lottare per il titolo, soprattutto se il rivale principale è il tuo compagno di squadra. Accadde nel 2010 in Red Bull, quando lui e Sebastian Vettel arrivarono a scontrarsi anche in gara, in Turchia, con il tedesco ko e l’australiano che ripartì, ma oramai le chance di vittorie erano andate in fumo. Il titolo alla fine lo vinse Vettel, al termine di una drammatica gara ad Abu Dhabi griffata da un capolavoro tattico Red Bull, che sacrificò Webber con un pit-stop per indurre la Ferrari di Fernando Alonso all’errore e sbancò il tavolo con Seb. Webber ha in seguito dichiarato di aver imparato molto da quell’annata, e anche questa parte di lui è stata trasmessa a Piastri, nonostante Oscar parta da una situazione di assoluta parità con Norris.
Ma la rivalità, pur dissimulata e contenuta, rimane, ed è innegabile che, rispetto all’inglese, l’inerzia della stagione sia più dalla parte di Piastri, meno soggetto a errori e sempre portato ad alzare ulteriormente l’asticella. Se nel 2023 il suo difetto principale era la gestione delle gomme e nel 2024 la qualifica (20-4 per Norris il totale), oggi è davvero difficile trovare una falla evidente nella macchina Piastri. I suoi due nonni erano meccanici, la madre colleziona auto d’epoca, il padre ha costruito un’azienda, la HP Tuners, che produce software per automobili. Oscar, prima dei kart, guidava auto controllate da remoto. Da bambino i suoi libri delle buonanotte riguardavano esclusivamente il mondo delle quattro ruote, e di ogni auto conosceva a memoria velocità e potenza in cavalli. Ingegneria e meccanica, informatica e codici binari fin dall’infanzia. Alla fine, tutto torna.