L’esame di maturità tra i banchi di scuola. E quello in vasca, ai Mondiali di Singapore. Superati entrambi. Il secondo un po’ di più: a 19 anni, nel pieno dell’estate più atipica per una ragazza della sua età, Sara Curtis è diventata la prima nuotatrice italiana della storia a giocarsi una finale iridata dei 100 metri stile libero. L,ha conclusa in ottava posizione, ma va benissimo così: è un assaggio di quel che sarà. E una conferma di quel che c’è già: il futuro di Sara è adesso. Da bruciante certezza in corsia. Da esempio genuino di un’Italia multietnica, aperta al mondo anche attraverso le nuove generazioni. E ferma restando la sua giovane età, lei ha la forza di parlarne con dissacrante franchezza.
Sara Curtis accorpa dentro di sé tutte le caratteristiche del cambiamento positivo che si richiede a una società. È nata a Savigliano, in Piemonte, da papà italiano e mamma nigeriana. Motivo per cui, di volta in volta, viene beceramente tacciata di non essere a pieno titolo una cittadina di questo Paese. Sara Curtis conquista il record nazionale, a tempo di record, sia nei 50 sia nei 100 metri stile libero – strappandolo in questo caso alla “Divina” Federica Pellegrini dopo quasi un decennio? Eppure c’è chi storce il naso, relegandoli a “record nigeriani” (a scanso di ulteriori buzzurri: lei non è nemmeno mai stata nel paese materno). Sara Curtis, dopo una vita in Italia, decide di trasferirsi negli Stati Uniti per studiare e allenarsi alla Virginia University – insieme alle migliori nuotatrici americane emergenti? Eppure c’è chi lo vede come un pretesto per voltare alle spalle all’azzurro. «È assurdo parlare in certi termini guardando al colore della pelle», racconta lei nell’intervista uscita su Undici. «Mi fa arrabbiare la chiusura mentale di quelle persone che rimangono semplicemente ancorate alle loro idee, a come la pensano loro».
E anche in questo sta la forza del suo modello. Perché Sara farà la carriera che vorrà – straordinaria, unica, sopra o sotto le ormai altissime aspettative: sarà in ogni caso la sua. Ma intanto parla, si racconta, ammette paure e debolezze di una teenager di colpo sotto i riflettori dello sport. Dice di sentirsi troppo alta coi tacchi, di volersi ogni tanto togliere quelle spalle da nuotatrice. Dice di essere emotiva e sensibile, ma al contempo tenace e in grado di farsi scorrere addosso le critiche. Dice di soffrire molto gli allenamenti – e anche per questo, poi, di essere particolarmente serena in gara. Dice che un giorno ci vorrebbe andare davvero, in Nigeria, magari per un viaggio, e che la sua famiglia multiculturale rappresenta una fonte di ricchezza in più. Dice anche – punto di vista non banale, per un’atleta del suo livello – di «non essere una persona ossessionata dal nuoto. Probabilmente l’ossessione è la cosa che ti può portare ad avere un danno a livello mentale».
Sono messaggi che pesano e che valgono. Trasmessi da una ragazza come le altre – «Esco con i miei amici, non mi chiudo in casa, cerco di vivere una vita normale» – ma con una visibilità superiore a quasi tutte le altre. Il percorso di Sara Curtis nel nuoto di velocità è ancora all’inizio – anche se già impreziosito da traguardi impensabili per i più: oltre le statistiche fioccano le medaglie, su tutto l’oro ai Mondiali in vasca corta a Budapest 2024, nella staffetta mista 4×50 stile libero. Ma il segno che sta lasciando nel nostro dibattito pubblico – facendo luce sugli italiani di seconda generazione, sulle loro sfide quotidiane e politiche, in contesti spesso ostili – è già più grande di quanto stia riuscendo a realizzare una bracciata dopo l’altra. Che come abbiamo visto non è poco.
Ancora più emblematico è che le parole di Sara non costituiscono soltanto la migliore risposte contro gli hater. Ma anche per chi vorrebbe aiutare l’evoluzione sociale portata avanti dalle italiane come lei. «Sono convinta che la nostra generazione, la mia generazione, sia molto più sensibile rispetto a quelle precedenti», ha detto sempre a Undici. «Noi viviamo nei social, ambienti che possono essere anche tossici ma allo stesso tempo ci rendono più attenti a temi come la guerra, le discriminazioni, la salute mentale». Ecco. Su quest’ultimo punto, scrollando Instagram e dintorni, si possono nutrire forti e legittimi dubbi. Eppure ci vuole la forza di una giovane nuotatrice per dissiparli. E farlo capire anche agli altri, verso un’Italia più globale.