Più in alto di tutti. Come nessuno aveva mai fatto alla guida di un gruppo di ragazze straordinarie. Julio Velasco è entrato nel ristrettissimo gotha di allenatori azzurri capaci di fregiarsi del titolo di campione olimpico e mondiale contemporaneamente: prima di lui ci erano soltanto riusciti Vittorio Pozzo e Ratko Rudic, nel calcio e nella pallanuoto maschili. Novanta e trent’anni fa. Basterebbe questo semplice dato per certificare la grandezza del commissario tecnico di La Plata nella storia degli sport di squadra. Invece è perfino riduttivo. Perché Velasco – oltre a dimostrarsi e riconfermarsi ogni volta eccezionale stratega, acuto lettore delle situazioni di gioco, trasformatore di partite in corsa – è soprattutto un uomo con una storia e un bagaglio valoriale da condividere e trasmettere a fondo. Da vero e proprio pedagogo moderno, senza alcuna distanza di genere o età rispetto alle protagoniste dell’Italvolley femminile. Che con lui in panchina, negli ultimi due anni, ha vinto più che in tutto il resto della sua esistenza.
Il cammino della Nazionale in Thailandia racchiude tutta l’essenza dell’allenatore. Non a caso, è lui stesso a sottolineare che «questa vittoria mi ha dato emozioni maggiori rispetto alle Olimpiadi». Perché se Parigi 2024 era stata un’autentica marcia trionfale, soltanto un set concesso in sei partite, zero nella fase a eliminazione diretta, le insidie del Mondiale appena concluso hanno messo a dura prova le azzurre. Soprattutto dalle semifinali in poi, dove non tutto tecnicamente è funzionato con la solita implacabilità. Anche per merito di un’accoppiata di avversarie – Brasile e Turchia – di livello assoluto. Egonu e compagne hanno saputo resistere alla pressione grazie a chi le ha messe in condizione di farlo. A un ct baluardo, che appena serve si fionda a difendere le sue pallavoliste come un leone. «Una delle giocatrici della Polonia, dopo aver murato Nervini, l’ha guardata con un sguardo provocatorio. Secondo me ha un po’ esagerato. Va bene esultare ma se tocchi Stella, che è la più piccola del gruppo, mi arrabbio. Allora le ho fatto segno con le dita di guardare me», ha raccontato alla Gazzetta, dopo la vittoria nei quarti di finale. «Io non protesto mai, ma quando ho visto dalla panchina del Brasile che cercavano continuamente di influenzare l’operato degli arbitri mi sono fatto sentire», ha ribadito al turno successivo. Senza però mai perdere l’aplomb, senza mai trascendere nella teatralità. Quanto serve, punto e basta.
In zona medaglie, Egonu e compagne hanno tremato, facendo vedere di essere umane – qualcuno iniziava a dubitarlo: 36 vittorie di fila in gare ufficiali – e dando il meglio di loro proprio nell’ora più difficile. Altrimenti non si vince due volte al tie-break, dopo pericolose situazioni di svantaggio – contro le brasiliane – o set troppo brutti per essere veri – il secondo, in finale contro le turche. Una lucidità collettiva che sottende l’impressionante solidità di squadra forgiata da Velasco. «Volevo ragazze autonome e autorevoli», ha sorriso con l’oro al collo. Arrivano quei momenti in cui un allenatore può sbracciarsi quanto vuole, escogitare qualsiasi piano o diversivo. Ma ormai il più è fatto: bisogna affidarsi alla bravura delle atlete, preparate alla perfezione e pronte alla grande impresa. Responsabilizzate, appunto.
Velasco ha forgiato per quest’Italia una profonda armatura tecnica ed emotiva, con la pazienza che si addice a un biennio di lavoro. Via i dubbi del passato, via i malumori, via chi rifiutava le convocazioni. La base di partenza è sempre un gruppo compatto, orientato al piacere di giocare insieme non meno che all’obiettivo. In tale contesto lui mantiene le distanze, integerrimo, misurato nei toni e nell’entusiasmo, senza confondere i ruoli – amico, padre adottivo, maestro, psicologo? no, commissario tecnico – nemmeno per un secondo. «Le donne sono eccezionali: vanno incoraggiate e imparano straordinariamente in fretta», spiegava a chi gli chiedeva un confronto con la Nazionale maschile, portata all’argento olimpico e a due ori mondiali negli anni Novanta. «Da allenatore si convince con l’empatia. Devi capire che l’altro è altro, è diverso da te, e motivarlo con la sua motivazione, non con la tua. Devi fare un po’ come Socrate, che con le domande faceva ragionare, guidava». È la maieutica dello sport. Di chi ha capito queste ragazze – sdoganando non solo la loro forza, ma anche il loro essere modello sociale – e da fuoriclasse incompiute, le ha rese campionesse eterne. Hanno fatto tutto loro, in realtà. Velasco ha soltanto indicato la via. Come s’addice all’allenatore perfetto, mai oltre la linea di bordocampo.