Ricominciare dove tutto ebbe inizio. Non poteva esserci momento migliore e peggiore allo stesso tempo, per Daniele De Rossi, dopo l’amaro epilogo sulla panchina della sua Roma, un anno fa. A quel punto qualcuno avrebbe continuato ad allenare altrove. Le occasioni non sarebbero mancate: l’ex centrocampista giallorosso, nel poco tempo a disposizione, aveva fatto vedere ottime cose e piazza e spogliatoio lo volevano trattenere a furor di popolo. Qualcun altro magari si sarebbe preso una fisiologica pausa di riflessione. Lui invece no. O meglio: la riflessione era già pronta e matura dentro di sé. Forse da sempre, sin da quand’era bambino e dava i primi calci al pallone sul litorale di Ostia. E laggiù oggi è tornato. Da uomo, campione, leggenda. Rilevando il club che l’aveva iniziato al suo sport, nell’unico modo possibile: “Voglio essere il presidente che avrei voluto avere da calciatore”.
Roma è come una matrioska: ha mille anime, incastonate l’una dentro l’altra. E il nucleo del nucleo della capitale, per un simbolo come DDR, non può che essere lungo le rive del Tirreno. Dove calcio, vita di quartiere e socialità si confondono in una società di nome Ostiamare. Oggi milita in Serie D. Ma quando Daniele era piccolo, aveva perfino assaggiato un paio di stagioni di professionismo in C2: erano i tempi della presidenza Viola alla Roma, e le altre squadre sul territorio venivano incoraggiate, anche economicamente, a diventare serbatoio del vivaio giallorosso. Sarebbe stata anche la parabola di De Rossi, qualche anno dopo. Le giovanili nella Roma dello scudetto non si scordano mai. Ma ancora di più quei pomeriggi passati a giocare senza pressioni e pensieri – dapprima attaccante, poi arretrato a centrocampo. Soltanto sogni a occhi aperti: una volta il ragazzino indicò al padre – Alberto De Rossi, storico allenatore della Primavera a Trigoria – un attico in riva al mare, dicendogli di volerlo comprare se un giorno sarebbe diventato ricco. E così ha fatto. Acquistare l’Ostia, per Daniele, non è soltanto il nuovo sfizio di un ex fuoriclasse che ha vinto tutto. Ma il coronamento di un percorso iniziato esattamente da queste parti, quasi trent’anni fa.
“Quando ho raccontato a mio padre che avevo intenzione di comprare l’Ostiamare non ci poteva credere”, dice oggi l’uomo, in una dinamica che si ripete. “Alla Roma avevo molta pressione. Qui invece sento il calore umano, mi sento come a casa: è stata come una rinascita. Respirare, prendere un po’ le distanze. Ancora oggi, quando arrivo all’ultimo tratto di strada che porta al mare mi trasformo. Insieme possiamo scrivere una storia che ci renderà fieri, con l’orgoglio di rappresentare Ostia dentro e fuori dal campo”. Da quando DDR ha fatto il grande passo, lo scorso gennaio, l’intera comunità è andata in visibilio. Perché non è più l’Ostiamare di una volta: la squadra milita in Serie D, lo stadio Anco Marzio necessita di un’importante ristrutturazione e i settori giovanili hanno bisogno di una solida struttura alle spalle. “Il nostro obiettivo”, ha ribadito a più riprese De Rossi, “è costruire una squadra che sia il fiore all’occhiello della regione, con un centro sportivo di categoria superiore e una scuola calcio che sia un punto di riferimento per il territorio. I giovani sono l’ossigeno del calcio: nel lungo periodo puntiamo a un vivaio che fornisca talenti alla prima squadra. E diventare così un sostegno tecnico anche per Roma e Lazio”. In ultima analisi, fino alla Nazionale, com’era successo a lui. Rispondendo a quell’esigenza-urgenza di talenti sempre più rari da coltivare alle periferie dello sport nel nostro paese.
Nel giro di pochi mesi De Rossi ha subito dimostrato coi fatti l’assoluta novità della sua gestione. La formazione Under 19 si è già laurata campione d’Italia dilettanti. Mentre la prima squadra punta a un campionato da protagonista. Rinnovata nelle ambizioni, nella mentalità. Perfino nell’estetica: le nuove maglie per la stagione 2025/26, targate Macron, sono un inno alla cultura locale. E le ha disegnate Daniele in persona, scegliendo una fantasia moderna e riconoscibile – il gabbiano stilizzato, simbolo dei biancoviola – che al tempo stesso potesse entusiasmare e toccare nell’intimo gli abitanti di Ostia. “Ho voluto immaginare queste maglie come un abbraccio tra passato e futuro”, spiega il presidente. “Un simbolo, prima ancora che un capo sportivo. Disegnarle è stato per me un viaggio che mi ha riportato indietro nel tempo, a quando da bambino passavo le ore a immaginare maglie da calcio sul quaderno”. La parola chiave è restituire, a quei bambini che oggi immaginano come lui una volta. E domani, chissà.


