Minuto 69 di Serbia-Inghilterra: Djeb Spence, terzino destro del Tottenham, fa il suo debutto in Nazionale. E senza rendersene nemmeno conto, taglia un traguardo epocale. “Io, il primo musulmano a giocare per l’Inghilterra? Non lo sapevo”, ha sorriso nel postpartita. “La prendo come una benedizione: è sempre bello ispirare i bambini e farli sognare. Un giorno potrebbero essere loro a realizzare quello che è capitato a me”. Dunque, più che per quel rotondo 5-0 al triplice fischio, Spence e compagni tornano da Belgrado con un’inedita consapevolezza. E cioè che da oggi la Nazionale dei Tre leoni inizia finalmente a esprimere il multiculturalismo religioso del paese che rappresenta.
È incredibile che finora non fosse mai successo. Se infatti, in termini di minoranze etniche, la tradizione della rosa inglese è sfaccettata e profonda – si pensi a Ince, Heskey o Defoe, per arrivare alla variegatissima squadra attuale –, finora qualunque altra fede al di là dell’anglicanesimo era di fatto un tabù (non così facile da sdoganare, evidentemente, quando prima di ogni partita si canta God Save the King). Basti pensare che i musulmani nel Regno Unito sono più di 3 milioni, oltre il 6% della popolazione totale. Soltanto 250 però giocano nei quattro campionati inglesi professionistici. Qualcuno era riuscito a indossare la divisa della Nazionale nelle giovanili, fino all’Under 21. Eppure, prima di Spence, nessuno era mai arrivato a esordire in prima squadra.
“Per tutti i musulmani britannici è un momento di grande celebrazione”, spiega alla BBC Ebadur Rahman, fondatore di un’organizzazione di supporto agli atleti professionisti di fede islamica. “Djeb ha una grande responsabilità sulle spalle: non solo giocare per l’Inghilterra, ma anche per tutti i musulmani del mondo. Da oggi sarà visto come un pioniere, in grado di rompere le barriere”. Anche perché il 25enne non fa mistero del suo credo, sia nelle esternazioni pubbliche sia quando prega sul terreno di gioco. “È un’ottima cosa che sia a suo agio nel professare e celebrare la propria fede”, approva anche la Football Association. “Ciascun calciatore musulmano in questo paese aspira a giocare per l’Inghilterra. Non per il paese dei genitori, né nessun altro. Soltanto l’Inghilterra”.
E se in altri sport come il cricket si registra una maggior commistione, il calcio finora era rimasto intoccato dall’evoluzione della società. Poco importa se di campioni musulmani, in generale, ce ne sono a decine anche ai massimi livelli e senza ormai subire particolari pregiudizi: si pensi a Momo Salah, alle sue esultanze e al suo seguito intercontinentale. Se però si è inglesi è più difficile. “Questione di educazione, di mancanza di opportunità”, continuano gli osservatori. E di diffidenza da parte del resto della popolazione: soltanto nel 2022, uno studio dell’Università di Birmingham ha rivelato che il 22% dei cittadini britannici – quasi uno su quattro – ha dei sentimenti negativi nei confronti dei musulmani.
Ma proprio i modelli come Salah hanno contribuito a sdoganare il fenomeno: un’altra ricerca accademica, a Stanford, ha stimato che la popolarità dell’egiziano del Liverpool sia correlata a un calo del 16-19% dei reati d’odio legati all’islamofobia, dimostrando il potere del calcio come arma contro i bigottismi. Per non parlare della stupidità: è notizia del mese scorso che Muhammad sia diventato per la prima volta il nome più diffuso fra i neonati inglesi. E subito le folle social hanno gridato alla sostituzione etnica – senza contare l’infinita varietà di nomi occidentali, la cui somma surclassa naturalmente tutto il resto. Per certe intuizioni logiche, a quanto pare, ci vogliono partite che fanno la storia. E giocatori come Spence.