Mattia Furlani è un talento generazionale e ci sta spiegando un nuovo modo per trattare i giovani, il modo giusto

Il lunghista italiano uno dei candidati per Aura Sport & Cultura Award.
di Redazione Undici 12 Settembre 2025 alle 11:03

Mattia Furlani è comparso nelle nostre vite con la forza incendiaria di una cometa in rotta di collisione con un altro corpo celeste, portando con sé la promessa abbagliante di un talento in perenne divenire che desse un senso a quei pomeriggi di mezza estate trascorsi pigramente sul divano alla ricerca di qualcosa da guardare in tv in assenza di emozioni, vibrazioni, connessioni umane ed esistenziali. E così, da marzo ad agosto 2024, senza soluzione di continuità: argento ai mondiali indoor di Glasgow, argento agli Europei di Roma, bronzo alle Olimpiadi di Parigi. L’Italia sportiva, quasi senza rendersene conto, aveva trovato una nuova speranza di grandezza e di vittoria, qualcuno in grado di spodestare il tirannico Miltiadīs Tentoglou e inaugurare una nuova era anche nel salto in lungo, quella consacrata al sogno, confessato in questa video-intervista al podcast de La Gazzetta dello Sport, di diventare il primo essere umano a saltare i nove metri; perché, in fondo, ciò che ci piace davvero quando assistiamo all’ascesa di un giovante di talento è immaginarne la scalata verso la gloria.

Con Furlani è accaduto e sta accadendo – e accadrà – esattamente questo: guardarlo saltare, aggredire la pedana, magari sotto una pioggia torrenziale come accaduto a Losanna durante una delle ultime tappe della Diamond League 2025, significa guardare la realtà che si deforma e si trasforma davanti ai nostri occhi mentre stiamo già pensando alla prossima gara, alla prossima competizione, al prossimo Europeo o Mondiale, ai prossimi dieci anni in cui ci saremo noi e ci sarà lui, in quel rapporto di reciprocità diretta e inversa che da sempre lega i grandi atleti alla propria generazione di riferimento.

Eppure non è sempre tutto così immediato e automatico, nemmeno per chi ha un talento talmente fuori scala da far sembrare che tutto avvenga quasi senza sforzo, come se fosse del tutto normale saltare costantemente oltre gli 8.30 a nemmeno vent’anni. Ed è stato proprio Furlani a ricordarcelo in quello che avrebbe dovuto essere il momento più importante della sua ancora giovane carriera e che è invece diventato qualcosa di più di una semplice celebrazione: «Questa è la dimostrazione che per le cose ci vuole tempo. Bisogna dare tempo ai giovani», spiegò alla Rai dopo la conquista della sua prima, storica, medaglia olimpica, quando sperava di essere stato d’ispirazione per tanti suoi coetanei che «tutti i giorni dimostrano di dare il massimo per cercare di raggiungere un risultato».

Il riferimento più immediato, dal punto di vista della competizione sportiva, era ai Mondiali di Budapest dell’anno prima e a un diciottesimo posto che sembrava averlo riportato bruscamente alla realtà dopo le meraviglie mostrate agli Europei juniores. Ben presto quelle parole si sono trasformate in un autentico manifesto generazionale, nel grido che accomuna Mattia a tanti di quei giovani che avrebbero bisogno di essere ascoltati e che non hanno la pedana dello Stade de France come cassa di risonanza delle proprie idee e delle proprie emozioni. Al racconto di uno sport sempre più incentrato sull’idea che siano solo e soltanto i risultati a determinare il proprio posto nel mondo e nella storia, Mattia Furlani aveva voluto opporre un principio opposto, quello della pazienza, della fiducia, del saper aspettare e rispettare l’individuo nel suo complesso, comprensivo delle sue debolezze, delle sue fragilità, dei passaggi a vuoto che portano a un fallimento che è sì fugace ed estemporaneo come il successo ma che, per qualche motivo, tende a pesare sempre un po’ di più nel giudizio altrui.

E l’averlo fatto a coronamento di un traguardo individuale costato sudore, fatica e sofferenza è stato ancor più importante e significativo perché ha ribadito come e quanto di Mattia Furlani sia pieno il mondo e di come e quanto ci sia bisogno di un mondo pieno di Mattia Furlani. L’atleta, certo, ma anche il ragazzo che ben presto diventerà l’uomo: empatico, sensibile, forte, testardo, competitivo, determinato. Se il futuro è ancora tutto da scrivere, il presente è già perfetto così com’è, persino nelle sue imperfezioni e nelle sue interruzioni. Anzi, a pensarci bene, soprattutto in quelle.


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