Myriam Sylla è una fuoriclasse del volley e un modello a cui ispirarsi, non solo per chi fa sport

La pallavolista italiana è tra i candidati per Aura Sport & Cultura Award.
di Redazione Undici 13 Settembre 2025 alle 01:30

Il sassolino dalla scarpa si toglie col sorriso e la medaglia al collo. Dorata e scintillante, dopo l’impresa mondiale dell’Italvolley in Thailandia. «Ora vedremo come ci chiamerete: inventatevi un bel nome»,  Myriam Sylla sprona la stampa, alludendo a quella Generazione di fenomeni coniata a suo tempo per la pallavolo maschile. In queste parole – pronunciate en passant, sulla via del ritorno a casa – c’è tutta la storia e l’arguzia della schiacciatrice palermitana. Che prima di arrivare a vincere tutto – «tutto quello che c’era da vincere ce l’ho», ribadisce lei, come per aiutarsi a realizzare l’accaduto – ha dovuto scalare intere montagne di vita e di sport. Talvolta proibitive, insormontabili all’apparenza. Eppure, un giorno alla volta, una partita alla volta, Myriam è arrivata in cima. E adesso racconta al mondo come si sta lassù.

Figlia di genitori ivoriani, nata in Sicilia, trasferitasi giovanissima in Lombardia. Per tutta l’infanzia e l’adolescenza ha dovuto fare i conti con le resistenze di un ambiente che ancora non aveva capito la sua sconfinata passione e qualità pallavolistica. Soltanto a 16 anni riceve finalmente il passaporto italiano: «Fino ad allora dovevo andare in questura a Lecco per rinnovare il permesso di soggiorno, e questo significava arrivare alle 5 del mattino, mettersi in coda per scrivere il proprio nome su un foglio che, se già troppo pieno, ti costringeva a tornare il giorno successivo e fare tutto daccapo», ha raccontato in questi giorni a Vogue. Forte della sua storia di successo, oggi Sylla può farsi carico delle istanze sociali di una popolazione sommersa, come la sua, ostacolata dai pregiudizi e da un quadro normativo ancora troppo complesso. «Seguo su TikTok persone della mia generazione che ancora non hanno il passaporto italiano e questo mi fa uscire di testa. Non esiste che, nel 2024, ci siano ragazzini e ragazzine che non possano completare la propria identità. Sono nati qui, cresciuti qui, mangiano e parlano italiano, eppure viene detto loro: “Eh no, siete nigeriani”. Magari non sanno niente del Paese di origine dei loro genitori, o magari sì… Ma chi se ne frega?!».

Un vulcano di emotività, Myriam. Trascinante in campo e fuori. Nonostante le sfide quotidiane, le crisi più profonde che si possano affrontare – la bulimia giovanile e la perdita dell’adorata mamma, a cui ha dedicato i recenti trionfi con la Nazionale. Tutto questo l’ha vissuto, l’ha sofferto e l’ha trasmesso. Ispirando e coinvolgendo, rivelando una fragile umanità che altrimenti si fatica a perfino a concepire per una campionessa che, ribadiamo, ha vinto tutto il vincibile della pallavolo. È anche per questo che Myriam e le sue compagne saranno un modello generazionale per gli anni a venire. “Abbiamo tutte sofferto per Paola”, quando Egonu stava per cedere sotto il peso degli insulti razziali. «Ma la risposta migliore all’ignoranza è non arretrare, non abbandonare il campo». Non l’hanno mai fatto. E per quel poco che vale, oggi meritano un epiteto giornalistico all’altezza – va scelto bene, con cura e capacità di sfondare, come loro hanno ripetutamente dimostrato sotto rete. Europei, Olimpiadi, Mondiali.

Poteva perfino essere un bottino ancora più ricco, visto il talento sconfinato di queste ragazze. Ma come fa notare Sylla, con la saggezza sportiva di chi ha appena compiuto 30 anni, «le cadute insegnano a risalire: oggi noi non saremmo queste». E certi tie-break non sarebbero finiti come sono finiti. È un riscatto inseguito a lungo, con pazienza e consapevolezza dei propri mezzi sia sul piano personale sia su quello collettivo. Le azzurre, sotto la sapiente guida tecnica di Julio Velasco nell’ultimo biennio, l’hanno compiuto come meglio non si poteva immaginare. E ora giustamente se lo godono. Libere e leggere. Immaginando – adesso sì – i mille modi con cui verranno decantate le loro gesta. Fino alla vittoria che pesa più di qualsiasi oro iridato: «Mamma, voglio essere come loro!». Le bambine di oggi, che guardano atlete come Myriam per la forza che trasmettono e non per il colore della pelle. Nessuno ci farà più caso, un giorno.


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