Un sorriso contagioso. Capelli corti, sguardo sbarazzino, quell’urlo che ha scandito la storia delle sue imprese in pedana. Poi certo: anche le protesi, le cicatrici. Che lei per prima non ha mai voluto nascondere – anzi, nel corso dei primi appuntamenti televisivi s’arrabbiava con chi cercava di coprirgliele con quintalate di trucco. Perché Bebe Vio è l’insieme di tutte le sue esperienze: atletica paralimpica, testimonial globale, laureata in Comunicazione e Relazioni internazionali. E ancora: conduttrice tv, doppiatrice, attivista e fondatrice dell’Academy che porta il suo nome – nata per la promozione dello sport paralimpico e renderlo accessibile per tutti. Nel fioretto ha vinto qualsiasi cosa – 5 ori mondiali, altrettanti europei, 6 medaglie olimpiche, due delle quali del colore più bello – eppure si tratta di un bottino riduttivo rispetto al segno che sta lasciando in ogni altra sfera sociale. Con lo spontaneo entusiasmo che la contraddistingue.
È un percorso unico, quello della 28enne veneziana. Pionieristico e dissacrante, nel senso migliore del termine. Vietata la parola pietismo: non la sopporta. Depennare il concetto di nonostante tutto: Bebe è la persona che è nel bene e nel male degli eventi, compresa la terribile meningite che la colpì nella preadolescenza. Accettabile invece la parola handicap, in barba ai buonismi e al galateo del politicamente corretto. “So che è sbagliato”, ha spiegato in una lunga intervista a Vanity Fair, “però secondo me dipende veramente da come vengono usate le parole, anche quando si fa ironia sulla disabilità o su altri tipi di differenze. Credo molto nell’auto-ironia, perché allora vuol dire che stai aprendo dei cancelli di accesso. Sono sempre stata la prima a ironizzare sulla disabilità: nel momento in cui la si accetta è semplicemente una cosa che è parte di te e quindi non è più un difetto e può essere facilmente presa in giro”.
Così il suo messaggio si perpetua non solo per tenacia, forza d’animo o vulcanica intraprendenza. Ma ancora di più per la capacità di comunicare a tutti – non solo alle persone partite da una storia come la sua – con un linguaggio spontaneo e senza filtri. Questione d’efficacia, di distanze mentali azzerate con pochi semplici gesti. Nelle difficoltà di tutti i giorni, vedere una ragazza che sfida ogni difficoltà fino al trionfo olimpico rappresenta un esempio di speranza, ma al contempo potrebbe anche scoraggiare a dismisura – lei, nelle sue condizioni, così realizzata, e io? sintesi dell’inconfessato pensiero comune. Nel caso di Bebe Vio, questo non succede perché è lei stessa a trasmettere il rovescio della medaglia: oltre gli ori, le avventure, i grandi incontri – Obama, Mattarella, von der Leyen –, ci sono debolezze, fragilità, “le giornate belle e le giornate brutte: sta a noi scegliere come voler continuare ad andare avanti. Lo scopo è non considerare i disabili come supereroi, ma come persone normali”.
E come persona normale, Bebe persegue i suoi obiettivi. Più dei risultati, ispira attraverso l’atteggiamento. Con la sua straordinaria capacità di reinventarsi sempre, ogni volta, verso qualcosa di nuovo: non si resta atleti in eterno, dunque va preparato il terreno per il futuro. Ed è un terreno florido, ricco di iniziative diverse e approcciate con l’entusiasmo della prima volta. Quest’anno è stata eletta nel Consiglio Federale di Federscherma, l’ultimo atto di una vita vissuta nel nome dello sport, della sana competizione, della crescita personale. “Aggrappatevi alle passioni”, dice. “Siate organizzati, determinati, senza paura di sbagliare. E soprattutto circondatevi di persone che vi facciano sentire bene”. Chiunque può identificarsi in questo consiglio. Se fra i mille progetti di Bebe Vio ce ne dovesse essere uno più prezioso degli altri, va ricercato nell’impegno emotivo: “La forza la trovi perché è fondamentale comunicare il più possibile sulla disabilità. Magari una persona che leggerà queste parole, qualcosa in più farà. Lo scopo è sempre quello di muovere dentro qualcuno in più”. Vale più di qualsiasi Olimpiade, di qualsiasi stoccata vincente.