Poesia e leggerezza in pedana. Un attrezzo alla volta, a passo di musica, fino ad arricchire la storia della ginnastica ritmica italiana per un decennio: è il lascito di Alessia Maurelli, capitana della Nazionale fino allo splendido bronzo conquistato a Parigi 2024, prima del suo ritiro dalle competizioni. Oggi, a 29 anni, si guarda alle spalle e sorride: ha vissuto l’emozione del podio in ogni grande occasione – Europei, Mondiali, Olimpiadi –, ha trascinato una squadra di ragazze all’interno di un’esperienza totalizzante – “allenarsi ogni giorno, tutti i giorni” – e che per arrivare all’esecuzione da medaglia deve rasentare una perfezione quasi maniacale. Concentrazione assoluta, cura dei dettagli, sincronismo, padronanza tecnica. Ed è per questo che, soprattutto, Alessia ha contribuito anche ha fare luce sulle mille difficoltà emotive di uno sport implacabile. Vissuto sul filo di lana, senza fermarsi mai, negli anni più formativi della propria esistenza.
“Noi ginnaste iniziamo da piccole e quasi non conosciamo il mondo o cosa significhi vivere una vita normale”, ha raccontato alla Gazzetta dello Sport poco prima di Parigi. “Ho vissuto nove anni in hotel, lontano dalla mia famiglia: è come essere in una bolla. Ma questa non è la vita vera. In più ti alleni nove ore al giorno e vivi in simbiosi con ragazze che diventano come sorelle. Ci sono stati momenti in cui sentivo il bisogno di staccare da tutto. Così nel tempo ho imparato a vivere in gruppo senza amalgamarmi, ma mantenendo la mia personalità. Da capitana, è il consiglio che do sempre alle più giovani”. Ma Alessia Maurelli non è sempre stata così. Un megafono per il movimento, la più importante presa di coscienza – se ne parla lei, possiamo ammetterlo tutte – sulle proprie fragilità di atleta e giovane adulta.
Era diventata capitana delle Farfalle – epiteto che lei stessa in seguito avrebbe temporaneamente abolito, poi ci torniamo – al termine di Rio 2016, sull’onda emotiva di un amaro quarto posto. “Inizialmente non mi sentivo pronta per un ruolo così importante”, spiega. “Per questo iniziai un percorso con una psicologa: all’epoca per me era complicato anche solo parlare in pubblico”. Di nuovo, l’esempio parte dalla vulnerabilità dell’essere umano di fronte a situazioni più grandi di sé. E dalla seguente consapevolezza, senza farne mistero alcuno: prima della generazione di Maurelli, dichiarare serenamente di ricorrere a una professionista terza – oltre al corpo va curata la mente, sempre – era quasi impensabile. Un sofferto tabù. Che l’atleta azzurra ha permesso di superare, trovando la forza anche a partire da altre storie di grande sport. Nel suo caso, Pietro Mennea e Alessandro Del Piero: gli esempi che aiutano a diventare esempio, in un ciclo virtuoso d’ispirazione collettiva.
Maurelli non è stata da meno anche quando la ginnastica ritmica è stata travolta da un buio scandalo mediatico-giudiziario: la storica allenatrice di Alessia e della Nazionale, Emanuela Maccarani, oggi è a processo per presunti maltrattamenti contro le sue ex atlete – in seguito alla denuncia di alcune di loro. “Questa vicenda mi ha toccata nel privato”, ricorda la campionessa. “Ancora oggi a pensarci rabbrividisco: gli interrogatori, i telefoni sotto controllo, i microfoni nascosti in palestra, i giornalisti che ci aspettavano in hotel. Non ci siamo allenate per tre mesi. Sono cose che mi hanno cambiata, dal modo in cui uso il telefono a come mi relaziono con gli altri. Se non hai forza mentale e delle persone a fianco che ti aiutino, non le superi. A un certo punto avevo bisogno di esprimermi, ma ogni parola era sempre amplificata. Mi hanno criticata, ma io conosco la mia verità”. E per quanto riguarda l’uso della parola Farfalle, disconosciuto per “il peso insostenibile del collegamento diretto con la violenza”, alla fine Maurelli ha trovato un compromesso di pari buonsenso. “Saremo sempre conosciute così, ma in quel periodo era un termine che ci faceva male perché era associato all’abuso. Poi capisci che non estirpi un male solo liberandoti di una parola: il modo giusto è affrontare le cose. E noi le abbiamo affrontate da guerriere”. Raccontandolo da protagoniste.