Christian Pulisic ama gli scacchi. È una passione che gli è stata trasmessa dal nonno paterno, da cui ha preso anche il secondo nome, Mate: ha iniziato a giocare con lui da bambino, costruendosi una «memoria che tiene stretta nel suo cuore», come ha dichiarato in un’intervista ai tempi del Chelsea, per poi tornare a spendere ore e ore sulla scacchiera nel corso del lockdown. Dopo la vittoria della Champions nel 2021, si è addirittura tatuato una regina sull’avambraccio sinistro, a sottolineare il suo legame con il gioco. E sotto quel disegno impresso sulla pelle si legge il nome Mate. Quando gli è stato chiesto se ci fosse un motivo particolare dietro la scelta della regina, Pulisic ha risposto: «In realtà no, ma la regina è il pezzo più cool. È versatile, potente e può muoversi come vuole».
Ora, lasciando un attimo da parte la scacchiera e trasferendoci sul campo da calcio, il Pulisic che stiamo ammirando in questo inizio di stagione è – fuor di metafora – la regina del Milan. Allegri lo ha spostato dall’esterno verso il centro centro, dandogli la libertà di scegliere la posizione da occupare a seconda dei momenti della partita, a seconda delle disposizioni degli avversari. È libero, Pulisic, di svariare sul fronte offensivo, non più relegato alle mansioni di alfiere che gli venivano richieste nelle prime due stagioni, largo sulla fascia destra e pronto a tagliare in diagonale. Ora agisce e colpisce da vero regista offensivo. I risultati di questa trasformazione? Nei 250 minuti in cui è stato in campo nelle prime cinque partite di campionato, ha messo insieme quattro gol e due assist. Basta fare una semplice divisione per rendersi conto che Pulisic è decisivo, per un gol del Milan, ogni 42 minuti.
A questo punto, c’è una domanda che sorge spontanea: è possibile che ci stiamo accorgendo solo ora di quanto sia forte Christian Pulisic? Sembra paradossale, dato che il capitano degli Stati Uniti è in Europa da dieci anni (ha debuttato col Dortmund nella stagione 2015/16) e ha vinto una Champions League con il Chelsea, eppure è proprio così. O meglio: dopo un inizio sfolgorante, è come se l’attaccante americano si fosse un po’ perso per strada. Nei suoi primi anni europei, infatti, Pulisic era considerato una delle stelle più brillanti reclutate dal settore giovanile del Borussia Dortmund, poi il suo status era cresciuta a tal punto da convincere il Chelsea a spendere 64 milioni di euro per lui. Era il 2019, e nonostante il trionfo in Champions di due anni dopo – marchiato da Pulisic soprattutto nella semifinale contro il Real: gol e assist nel doppio confronto – la sua avventura al Chelsea ha avuto un andamento altalenante, complice qualche infortunio e i diversi avvicendamenti sulla panchina dei Blues.
Pulisic, insomma, non ha trovato mai la continuità che cercava. Quella di cui aveva bisogno per tener fede alle premesse che lo avevano accompagnato nel trasferimento da Hershey, Pennsylvania, alla Germania poco prima del suo 16esimo compleanno. In questo senso, il suo arrivo al Milan nell’estate del 2023 per appena 21 milioni di euro è stata una svolta. Perché è vero che i primi due anni in rossonero sono stati difficili in termini di risultati, culminati con il pessimo ottavo posto della scorsa stagione, ma è anche vero che in Serie A Pulisic ha trovato un terreno perfetto in cui far detonare le sue caratteristiche. Quando si accende, i ritmi meno intensi del nostro campionato – almeno rispetto a quelli che caratterizzano Premier e Champions League – lo rendono impossibile da contenere. La frequenza di corsa, l’altissima intensità con la palla al piede, la capacità di infilarsi negli spazi fanno il resto. Giocando a destra, è migliorato moltissimo anche a chiudere l’azione col sinistro. La sua evoluzione è stata costante, e non era scontato se consideriamo tutte le difficoltà vissute dal Milan nelle ultime due stagioni.
Il fatto è che a Pulisic, si può dire, il calcio scorre nelle vene: suo padre Mark e sua madre Kelley sono stati entrambi giocatori alla George Mason University, con il padre che più in là è diventato anche allenatore. Pulisic ha dichiarato: «Quando ero bambino, mio padre mi ha spinto a giocare a calcio, ma ha anche lasciato che io mi innamorassi del gioco a modo mio». E questo amore per il gioco lo ha assorbito ancora di più seguendo la madre in Inghilterra: Kelley ha vissuto un anno a Tackley, nell’Oxfordshire, per motivi di lavoro, e Christian ha giocato nelle giovanili del Brackley Town. Tornato poi a casa, nella città del cioccolato, mentre i suoi coetanei giocavano a baseball o a basket, lui si allenava col pallone da calcio nel cortile. Sua madre ha raccontato che già da bambino voleva essere ugualmente bravo a giocare con entrambi i piedi, e diceva: “Faccio cinquanta tiri col destro, poi cinquanta col sinistro”. Ecco, oggi i risultati di quegli allenamenti sono sotto gli occhi di tutti. Chris è poi cresciuto ammirando il Barcellona di Guardiola, nel quale – per sua stessa ammissione – si rivedeva molto: «Da bambino ero più piccolo degli altri. Più basso, non forte fisicamente. Ma ero veloce e tecnico, e vedevo quel Barça pieno di giocatori con quelle caratteristiche, così pensavo di potercela fare anche io».
Tecnica e velocità, dunque, sono gli ingredienti principali del gioco di Pulisic. Doti alle quali l’americano abbina un grande senso della porta: come ha detto Landucci, «quando Pulisic calcia, i portieri suonano a morto». I dati sono eloquenti: da quando è arrivato al Milan, nessun giocatore del campionato di Serie A ha messo insieme più gol (38) e più assist (25) di Pulisic, considerando le 107 presenze in tutte le competizioni. Eppure, viene da dire, soltanto adesso inizia a ricevere un credito trasversale. Perché è vero che le qualità tecniche sono sempre state indiscutibili, così come la capacità nell’uno contro uno e nel tiro, ma il fattore che sta rendendo così entusiasmante il nuovo Pulisic è la sua completezza. La sua intelligenza in campo. E qui si vede già la mano di Allegri, che ha capito subito di avere nella sua scuderia un cavallo diverso dagli altri, e sta plasmando la fase offensiva del nuovo Milan intorno al talento di Captain America. Il primo tempo con il Napoli, in questo senso, rappresenta alla perfezione il modo in cui Pulisic riesce a sfruttare la sua nuova libertà, risultando decisivo in diverse zone di campo. Nell’azione dell’1-0 lavora da ala, bruciando in velocità Marianucci sulla fascia sinistra e servendo Saelemaekers con il piede (teoricamente) debole. Nell’occasione più clamorosa per il raddoppio rossonero, è lui a fare da raccordo nella sua metà campo, mettendo in porta Fofana con un filtrante degno di Modric e De Bruyne. È poi lui stesso a realizzare il 2-0, con un inserimento intelligente e una battuta a rete da attaccante navigato.
Gli highlights di Milan-Napoli
In tutte queste azioni, come un grande scacchista, Pulisic riesce a leggere in anticipo il posizionamento degli avversari, ne smaschera i punti deboli e li punisce con cinismo e intelligenza. Inoltre l’americano ha quella completezza tecnica che gli consente di essere utile in ogni zona di campo. Non è un caso che in patria, dove però sono abituati a lanciare slogan iperbolici, Pulisic venga soprannominato “The LeBron James of football”: proprio come LeBron è in grado di fare qualsiasi cosa sul campo da gioco.
A 27 anni appena compiuti, dunque, Pulisic sembra entrato nella fase della piena maturità. Una fase in cui sembra pronto a manifestare una leadership che non è solo tecnica, ma anche mentale: si vede nel modo in cui coinvolge i compagni, nel modo in cui si fa trovare in campo, come a dire agli altri: “Se siete in difficoltà, ci sono io.” E poi, quegli occhi della tigre tatuati sul braccio, sovrapposti ai suoi nell’esultanza che sta diventando iconica, lo rendono sempre di più il simbolo del nuovo Milan. Un Milan in cui Pulisic è centrale, letale, decisivo.