Un trionfo netto, per certi versi inatteso e per molti altri inseguito con grande lungimiranza e preparazione. Il Marocco si è laureato campione del Mondo Under 20 per la prima volta nella sua storia, battendo in finale l’Argentina gran favorita. Curiosità per gli amanti delle statistiche: tre delle quattro semifinaliste alla rassegna di categoria in Cile erano presenti anche tre anni fa, all’ultima edizione del Mondiale per Nazionali maggiori. Il podio però è nettamente diverso – con la Francia che scivola al quarto posto – e se in Qatar il Marocco fu un’autentica rivelazione, oggi invece si dimostra una vera e propria potenza del calcio dell’avvenire. Soprattutto grazie a quei calciatori cresciuti lontano dal Paese che rappresentano.
“Dal 2021 ci siamo impegnati in un approccio di rendimento guidato da una chiara visione strategica” , spiega Jamal Fathi, predecessore di Mohamed Ouahbi sulla panchina dell’Under 20. “Abbiamo elaborato un modello ibrido e intelligente: alcuni giocatori provengono dalla formazione locale, attraverso le accademie nazionali e i centri di formazione dei club, mentre altri sono stati individuati in Europa, grazie a un’unità dedicata che segue i giovani talenti binazionali, con sei osservatori all’opera”. La doppia cittadinanza è diventata così un prezioso valore aggiunto. E questi calciatori sono arrivati a rappresentare quasi la metà della rosa attuale: 9 su 21. Da Yanis Benchaouch (militante nel Monaco, nato a Périgueux), a Naïm Biyar (tra le file del Foggia, nato a Reims), da Othmane Maamma (Watford, nato ad Alès) a Ibrahim Gomis (Marsiglia, nato a Perpignan), passando per e Gessime Yassine (Dunkerque, nato a Salon-de-Provence). Tutti loro, neanche a dirlo sono nati e si sono formati calcisticamente in Francia.
È il segnale di un notevole rovesciamento di schemi, in atto non da ieri ma che con l’exploit del Marocco U20 si palesa a tutti: se fino a tempi recenti erano le Nazionali europee – Francia, Spagna e Inghilterra in primis – a drenare talenti dai Paesi d’origine dei molti genitori – molto spesso africani –, ora si sta progressivamente assistendo all’affermarsi del fenomeno opposto. E cioè vengono scelti il Senegal o il Marocco a discapito delle big del vecchio continente: fuoriclasse come Kalidou Koulibaly (nato in Francia) o Hakim Ziyech (nei Paesi Bassi) hanno tracciato la rotta, ma la Federcalcio di Rabat è stata tra le prime a farne un processo sistematico, con notevole capacità di programmazione.
“Abbiamo anche creato un fondo di formazione attraverso una partnership con operatori privati e la fondazione di accademie regionali”, spiegano gli addetti ai lavori. “Questo modello ci permette di riunire i migliori profili, formati localmente o all’estero, attorno a un ambizioso piano nazionale”. Chiaramente i settori giovanili europei, dove vengono formati questi ragazzi, mettendo a loro disposizione mezzi tecnici e finanziari, devono fare i conti con la perdita di un patrimonio importante in ottica Nazionali – meno giocatori per la Federcalcio francese, per esempio, significano anche meno fondi per farli crescere. Ma come spiega Ouabhi, l’eroe dei marocchini iridiati, questo tipo di pratica “non ha niente di aggressivo. Non offriamo nulla ai giocatori: niente soldi, niente. Quello che faccio, però, è andare lì a parlare con i genitori e proporre un progetto sportivo a breve, medio e lungo termine”. E tanto basta per abbracciare la riscossa nazionale: visto come si sta festeggiando tra Casablanca e dintorni, difficilmente Zabiri e i suoi colleghi si pentiranno di questa scelta.