La stagione NBA che sta per iniziare, la numero 80 della storia, sarà la più ricca di sempre. Un accordo tv senza precedenti ha inondato la lega di nuovi capitali, con un trio di emittenti televisive e piattaforme di streaming – composto da ESPN, Disney e Amazon – che hanno offerto un totale di 76 miliardi di dollari in undici anni per trasmettere le partite del campionato. «Si tratta di un contratto praticamente senza precedenti, secondo solo a quello firmato dall’NFL», scrive L’Équipe, che in questo articolo ha spiegato come il nuovo accordo abbia polverizzato le cifre precedenti, rendendole quasi «una mancia, il resto dimenticato sul bancone». Si parla del triplo dei 24 miliardi in nove anni che erano stato investiti nel ciclo precedente, anche perché Amazon è entrata nell’arena anche come partner dei canali dell’NBA pass. Inoltre saranno avviati anche dei progetti incentrati su contenuti supplementari, che permetteranno all’NBA di avvicinarsi ancor di più agli appassionati di tutto il mondo, nell’intenzione di trasformare l’esperienza dei tifosi per il prossimo decennio.
I cambiamenti non riguardano solamente la lega. L’NBA è notoriamente un multiverso sportivo in cui i giocatori – dotati di un sindacato e di una vera e propria “coscienza di classe” – hanno un peso specifico importante nelle decisioni e nelle scelte strategiche. E infatti il nuovo accordo tv impatterà direttamente sui loro stipendi: metà dei ricavi andrà ai giocatori, un passaggio che obbligherà Adam Silver, il commissioner della lega, ad aumentare il salary cap anno dopo anno. Adesso, di fatto, il mito del “milione per partita” non è più utopistico. L’Équipe, e non potrebbe essere altrimenti, inizia l’analisi parlando del francese Victor Wembanyama, talento dei San Antonio Spurs che potrebbe diventare il primo giocatore nella storia a guadagnare un miliardo di dollari solo di stipendio. Attualmente ha firmato un contratto da rookie da 55,6 milioni a stagione, ma a breve il rinnovo lo porterà ad almeno 300 milioni di dollari in cinque anni. Una cifra a cui potrebbero aggiungersi dei bonus che scatterebbero solo a determinate condizioni – diventare MVP, essere nominato difensore dell’anno o entrare nel miglior quintetto di stagione – e che potrebbe salire fino a 450 milioni.
Per comprendere la differenza tra la realtà attuale e quello che verrà, il paragone possibile è quello con il 1998, anno in cui Micheal Jordan firmò un contratto record da 33 milioni di dollari per la sua ultima stagione a Chicago. Oggi, quei 33 milioni sono uno stipendio superato da 49 giocatori in tutta la lega. Se pensiamo alle star attuali, il contratto di Shai Gilgeous-Alexander, MVP della stagione e delle Finals con gli Oklahoma Thunder, si fonda su un ingaggio di 285 milioni di dollari in quattro anni; nel 2030/31, quindi, i suoi guadagni potrebbero arrivare fino a 79,1 milioni a stagione – quasi un milione a partita, considerando che la regular season è di 82 gare. Come lui, anche Devin Booker – stella dei Phoenix – supererà i 70 milioni annui, mentre Kevin Durant ha appena firmato con Houston un accordo di due anni per 90 milioni. Infine Nikola Jokic, per il quale si parla di un potenziale contratto a nove cifre nel nuovo accordo con Denver della prossima estate.
Un aumento simile del flusso di denaro, ricorda L’Équipe attraverso le parole di un agente che lavora nel mercato americano, ha dato vita a un grande caos già nel 2016, «quando le squadre si ritrovarono improvvisamente con 25 milioni in più da spendere e strapagarono i free agent ben oltre il valore reale». Oggi questo pericolo non c’è, o comunque è stato già limitato in partenza: la lega, infatti, ha deciso di perseguire un aumento graduale del salary cap, pari a circa il 10% a stagione. La sostanza non cambia, la NBA diventa e diventerà sempre più ricca, ma almeno non avverrà da un giorno all’altro.