C’è aria di rosso vivo, dalle parti di Londra. L’ovazione dell’Emirates Stadium pesa ancora di più della doppietta di Gyokeres in Champions con la sua nuova squadra – esultanza alla Batman inclusa, naturalmente. Poker all’Atlético, una facilità disarmante a segnare senza far segnare gli avversari. Praticamente mai: zero gol subiti in questo primo spicchio europeo – con i Gunners a punteggio pieno insieme a Inter e PSG, tre semifinaliste su quattro della scorsa edizione –, soltanto tre in Premier League. Nessun tifoso dell’Arsenal lo ammetterà mai: troppe e troppo profonde le delusioni inanellate negli anni recenti. Eppure, gioco e risultati alla mano, è lecito alzare l’asticella. Oggi questo gruppo ha tutti i mezzi per vincere. E rompere una maledizione – al di là di svariate coppe nazionali – che perdura da vent’anni di vacche magre in bacheca.
L’ultimo grande titolo conquistato dai Gunners resta sempre la Premier 2003/04. A fortissima trazione francese, nel segno di Henry, Pirès e il miglior Arsène Wenger in panchina. Poi basta. Una sfilza di secondi, terzi e quarti posti. Una finale di Champions e una di Europa League, entrambe perse fra i rimpianti. E pian piano, nell’immaginario collettivo inglese il glorioso Arsenal è diventato persino una macchietta: il Tottenham delle big, che flirta ogni volta col successo salvo puntualmente prendersi la porta in faccia (peggio ancora adesso che gli Spurs hanno rotto il loro tabù). Ha dovuto convivere con questa pressione anche la squadra di Arteta, che nel giro di qualche stagione ha ridato linfa e credibilità a un progetto tecnico smarrito. I tre secondi posti consecutivi in campionato con cui Martinelli e compagni si sono presentati ai nastri di partenza del 2025/26 sono il biglietto da visita di chi fa sul serio. Forse lo è ancora di più l’eliminazione al penultimo atto della scorsa Champions League per mano del PSG – a posteriori, per com’è andata la finale, ancora più lusinghiera. “L’ambizione è molto chiara sia per noi sia per la società”, ha dichiarato negli ultimi giorni l’allenatore spagnolo, tracciando il cambio di paradigma anche nell’approccio rispetto alle prudenze del passato. “Siamo qui per vincere. E vincere grandi trofei”.
Il fatto è che questo Arsenal, pur sfoggiando sin qui numeri stagionali impressionanti – 10 vittorie, un pareggio e un ko, 25 gol fatti e 3 subiti –, dà la sensazione di avere ancora enormi margini di miglioramento. Dicevamo di Viktor Gyokeres, arrivato in pompa magna da Lisbona: prima dell’uno-due all’Atlético aveva segnato soltanto altre tre reti. Poche, per un attaccante che tra club e Nazionale ha sfondato quota 100 nelle ultime due annate. Ma la squadra sta girando a meraviglia lasciandogli tutto il tempo per ambientarsi e carburare, adattandosi al salto di specie costituito dalla Premier. Il 27enne svedese non è l’unico a dover ingranare: in estate i Gunners hanno allestito una faraonica campagna acquisti, da 300 milioni di euro complessivi. Profili del calibro di Eze, Madueke o Zubimendi, rendimento alla mano, sono ancora in rodaggio. Saranno però un enorme valore aggiunto in prospettiva, sintomo di una rosa ormai profondissima e in grado di sfidare qualunque top club in tutte le competizioni.
Dunque va dato tempo al tempo. La stagione è lunga, le difficoltà emergeranno – e lì dovrà essere bravo Arteta a saperle gestire. Dalle parti dell’Emirates sono tutti fin troppo avvezzi a non coltivare false illusioni, quando siamo soltanto a ottobre. Piuttosto che sognare in grande, va compreso qualunque atteggiamento autoconservativo, con fare quasi santommasiano. Eppure lo stadio si scalda. I calciatori brillano. E l’allenatore non si nasconde più: che sia davvero la volta buona, per questi Gunners? Se non ora, quando. A leggere articoli come questo – o come quello del Guardian di oggi – a Londra staranno facendo tutti gli scongiuri del caso. Ma fa parte di un gioco che ora l’Arsenal vuole tornare a vincere. Senza più inciampi sul traguardo.