Quando, nel 1984, Michael Jordan indossò quelle scarpe per la prima volta, la storia dello sport (e del marketing collegato) cambiò per sempre. E non è un modo di dire, considerato che le AirJordan sono i progenitori di tutte le calzature sportive realizzate in collaborazione tra atleti e grandi brand. Quando nel 1984 Nike approcciò l’allora “Rookie” fu l’unico brand tra quelli che gli avevano proposto una collaborazione, a permettergli di metterci del suo, decidendo la scala cromatica, anche a costo di pagare le salate multe dell’NBA, che imponevano sulle scarpe almeno un 51% di bianco. Jordan aveva voluto il rosso e il nero, che erano i colori dei Chicago Bulls e una percentuale del solo 23% di bianco. La regola fu definitivamente cambiata nel 2002. Una storia che è stata raccontata anche da un film, Air – La storia del grande salto, del 2023, con Ben Affleck, e che oggi rivive in un libro delle edizioni Assouline.
Nelle librerie dal 16 ottobre, e con una prefazione firmata dallo stesso atleta, Air Jordan festeggia il 40ennale dell’uscita della scarpa, che fu messa poi sul mercato nel 1985. Il primo libro autorizzato che non si concentri sulla biografia del cestista o sulla sua carriera è disponibile anche in una versione limitata di 1000 copie numerate con copertina dai dettagli barocchi, disegnata dal chief design officer di Jordan Brand e ispirata dalle grafiche laserate delle Jordan XX. Il contenuto però, rimane lo stesso: una storia in sei capitoli scritta da Adam Bradley, e moltissimo materiale fotografico, in alcuni casi anche inedito. Ci sono trofei dell’adolescenza, il cappello e l’abito con il quale Jordan si diplomò, pezzi di abbigliamento tecnico mai visti e fotografato per l’occasione.
Ed è un omaggio dovuto, considerato che quello che fu definito da tutti gli addetti ai lavori un azzardo (a Jordan furono pagati 2,5 milioni di dollari con l’obiettivo di guadagnare dalla vendita del modello almeno tre milioni di dollari nei primi tre anni) si è trasformato in un modus operandi per tutti quelli che sono venuti dopo. Ancora oggi, dopo quarant’anni di edizioni speciali ed evoluzioni, firmate da designer come Peter Moore, Tinker Hatfield e Mark Smith, lo stesso Jordan è coinvolto nel brand, e si assicura che i modelli realizzati siano non solo all’altezza dell’originale, ma continuino ad essere lo stato dell’arte delle calzature da basket. Un modello, quello delle Air Jordan, con un logo che riprendeva la sagoma del cestista in una fotografia scattata da Life Magazine nella University of North Carolina firmata da Co Rentmeester, e che poi fu subito un successo: il brand si aspettava di venderne 100mila paia nel primo anno (al costo originale di 64,99 dollari) e invece in sei settimane ne consegnò 1,5 milioni. Ed è lo stesso agente storico di Jordan, Peter Falk, a raccontare – nel documentario The Last Dance – che «nel primo anno ne vendemmo per 26 milioni di dollari».

A funzionare, ieri come oggi, probabilmente fu la fama che accompagnava quelle scarpe, non pensate per rispettare le rigide regole del campo in fatto di colori, e che per questo facevano guadagnare pesanti multe ogni volta che Jordan le indossava in campo. La loro forza fu che, fuori dalle arene sportive, le Air Jordan entrarono comunque agevolmente nel discorso culturale, finendo in un infinito numero di prodotti televisivi, letterari o musicali. Will Smith le indossava in Willy il principe di Bel Air; appaiono ai piedi di Giancarlo Esposito in Fà la cosa giusta di Spike Lee (1989); in Space Jam (1996) ai piedi dello stesso Jordan ma anche nelle canzoni dei rapper e indosso a Keith Haring.
Nel libro si elencano anche fedelmente tutti i modelli realizzati negli anni, compresi quelli insieme a celebrities o atleti, da Billie Eilish a DJ Khaled passando per Eminem e Travis Scott, aprendosi anche alle collaborazioni con i brand del lusso che, da una decina di anni a questa parte, cercano di entrare nel radar e negli interessi degli appassionati di sportswear, disposti a spendere anche molto per ottenere alcune specifiche versioni della scarpa su StockX (il portale di resell sul quale le AirJordan sono tra le sneaker più richieste). Negli anni diversi brand le hanno ripensate, da Christian Dior a Comme des Garçons, passando ovviamente per Off-White, il brand del compianto Virgil Abloh, primo designer proveniente dal mondo dello streetwear a salire sul trono di una maison europea (Louis Vuitton).
Oggi, il logo del Jumpman è un simbolo universalmente riconosciuto, e si può dire con un certo grado di serenità che la connessione tra mondo dell’abbigliamento e mondo dello sport, tra atleti e brand, e di conseguenza, tra brand e appassionati, è stata creata da lui. Quell’incedere sicuro in partita, entrando sul campo con quelle scarpe che non rispettavano le regole, ma ne riscrivevano di nuove, è l’avo diretto di quello che oggi è il tunnel walk, l’entrata degli atleti dell’NBA e della WNBA allo stadio, in outfit firmati da maison di cui molto spesso sono testimonial. E serviva un libro del genere a ricordarcelo.