Non è una novità. Nella storia e nella storia del calcio c’è sempre stato il fascino per l’esaltazione dell’avversario, volto in questo modo a impreziosire il valore delle proprie gesta. Militari o sportive cambia poco: lo facevano gli antichi Greci e Romani – si pensi al pathos di certe sculture come il “Galata morente”, vinto in battaglia e così celebrato – e lo faceva, senza andare così indietro nel tempo, Kylian Mbappé quando difendeva il livello della tanto bistrattata Ligue 1. Oggi però Cristiano Ronaldo ha toccato un inedito picco di quel filone narrativo. Arrivando ad affermare che «è più facile segnare in Spagna che in Arabia Saudita. Il cui campionato è molto meglio di quello portoghese o francese, dove tutto ruota attorno al PSG». E ancora: «Se giocassi ancora in Premier League, avrei segnato tanti gol quanti ne ho realizzati in questa stagione».
Le dichiarazioni di CR7 arrivano nel corso di una lunga intervista rilasciata su YouTube al giornalista britannico Piers Morgan (qui il contenuto integrale). E come sempre, quando parla il campione portoghese, le sue parole scatenano gli animi. Brividi appena menziona il prossimo ritiro – «sono preparato, ma il giorno in cui accadrà piangerò» –, ennesima frecciatina al rivale di sempre – «Leo Messi è migliore di me? Non sono d’accordo, e non voglio essere umile”» –, piedi per terra sul Mondiale in arrivo – «vincerlo non è un sogno, non è quel che definisce un giocatore. I numeri invece non mentono: se si guardano i record, Cristiano Ronaldo è in cima alla lista».
Fin qui, insomma, nulla che trascenda dal personaggio. Ma quando arriva l’insostenibile confronto fra il calcio saudita e quello europeo, il 40enne portoghese non perde affatto la serietà. E rivendica una serie di affermazioni oggettivamente fuori dalla realtà: «Perché non contano anche i gol realizzati nella Saudi Pro League per la Scarpa d’Oro? Chiedete anche agli altri giocatori del campionato: quando la gente parla, non sa quanto sia difficile correre con 40 gradi». Soltanto la Premier inglese, a suo dire, regge il paragone.
Ora, è altrettanto difficile dire se certe affermazioni siano il frutto sincero dell’ego di CR7 – la cui sola presenza, indubbiamente, sposta gli equilibri economici e sportivi – oppure abbiano a che fare con una comprensibile captatio benevolentiae nei confronti di chi l’ha fatto diventare il calciatore più ricco di sempre. E a tal proposito, ci sarebbe poco da fare la morale: per certe cifre quasi tutti sarebbero disposti a tessere gli elogi del proprio datore di lavoro, soprattutto se si tratta di una tematica in fin dei conti innocente – Cristiano Ronaldo non è stato incalzato sullo sportswashing o sui diritti delle donne a Riyadh, non a caso. E rovesciare qualsiasi chiave di lettura convenzionale sul valore tecnico dei campionati va soltanto a suo vantaggio, a sostegno della sua sconfinata aura: cancellata l’infamante immagine del campione a fine carriera pronto a svernare per i petroldollari, ecco al suo posto la sfida da superuomo, disposto a giocare in un forno a cielo aperto pur di oltrepassare ogni limite. Sicuramente il cinque volte Pallone d’Oro voleva prima di tutto accendere la discussione. Indirizzarla. E, a giudicare dai post sui social o articoli come questo, ci è riuscito alla grande: ne stanno parlando tutti. E non poteva essere altrimenti.