In quello che è un testo sacro per gli appassionati di tennis, Infinite Jest, David Foster Wallace parla delle radici della bellezza dello sport, definite come «infinite e autocompetitive. Si compete con i propri limiti per trascendere l’io in immaginazione ed esecuzione. Scompari dentro al gioco: fai breccia nei tuoi limiti; trascendi; migliora; vinci». Una trasformazione auto-indotta, capace di far evolvere lo sportivo, tramutandolo in una divinità. Uno sport con un valore poetico elevato, tanto da essere entrato negli ultimi anni nel radar d’attenzione della moda.
Sono ormai tantissimi i tennisti assoldati dalle maison in qualità di ambassador o testimonial: Jannik Sinner (Gucci); Lorenzo Musetti (Bottega Veneta); Carlos Alcaraz (Louis Vuitton); Jack Draper (Burberry). In alcuni casi, la collaborazione non si limita soltanto all’utilizzo di accessori o capi da sfoggiare sui campi, ma anche alla creazione di collezioni ad hoc: è il caso di Coco Gauff, scesa in campo agli Internazionali di Roma di maggio con la sua sneaker Coco CG2, originariamente realizzata da New Balance, in una versione che vede l’aggiunta di un’altra firma stilistica, quella di Miu Miu; c’è anche Lacoste, che agli US Open 2025 ha lanciato una capsule di cinque pezzi con Novak Djokovic, sostituendo lo storico coccodrillo che campeggia sulle sue polo con una capra, giocando con la sua traduzione in inglese (goat) e l’omonimo acronimo in campo sportivo, che sta invece per Greatest Of All Time – come Djokovic è stato spesso definito. Certo, il flirt con la moda è iniziato già quasi dieci anni fa, quando alcuni tra i più noti direttori creativi hanno deciso di mettersi alla prova, collaborando con i brand simbolo dello sportwear, realizzando completi custom, indossati da donne assai consapevoli della potenza non verbale di un outfit: è il caso di Serena Williams nel 2018 agli US Open (in un look realizzato a quattro mani da Nike e Virgil Abloh, all’epoca già direttore creativo di Louis Vuitton), ma anche di Maria Sharapova, che nel 2017, sempre a Flashing Meadows, sfoggiò un mini-dress nero corredato da Swarovski, pensato per lei da Nike e Riccardo Tisci, all’epoca stilista per Givenchy.
Ad alzare il livello della competizione hanno contributo diverse ragioni. Il mondo del lusso guarda con estremo interesse al tennis: nessun esempio è migliore di Rolex, che ha messo in piedi grandi operazioni di partnership con le maggiori competizioni globali e i due big del tennis attuale, Jannik Sinner e Carlos Alcaraz. Inoltre, lo scorso anno, il lungometraggio di Guadagnino, Challengers, aveva al centro dell’agone un terzetto di tennisti da sempre legati a filo doppio, interpretati da Zendaya, Mike Faist e Josh O’Connor. A seguire i costumi, in quell’occasione, era stato addirittura J.W. Anderson, non solo amico e collaboratore del regista, ma anche direttore creativo del suo brand eponimo e di Dior. Nel tour pubblicitario legato al lancio della pellicola, Zendaya e il suo stylist Law Roach ci hanno messo il carico da novanta, optando per una serie di look che erano chiari riferimenti allo sport: ci sono state le décolleté di Loewe con tacco a forma di palla da tennis, che però è comparsa pure sull’abito giallo acido di Celia Kritharioti, al bordo del profondo scollo; il minidress bianco col colletto da polo di Ralph Lauren; l’abito di Loewe sul quale si disegnava la sagoma di uno sportivo in racchetta. Scelte stilistiche ridondanti e prosaiche, che però hanno sortito l’effetto di coniare la dicitura “tennis-core”, a sottendere il nascere di una nuova tendenza, che portava lo sport sui red carpet e sulle passerelle.
Certo, ci sono anche ragioni meno nobili dietro l’interesse verso lo sport da parte dell’industria della moda, guidata da conglomerati finanziari il cui obiettivo primario rimane il profitto. Negli ultimi anni la nuova generazione di tennisti è riuscita a far appassionare un pubblico più giovane, che ha la stessa età di chi oggi scende in campo. In poche stagioni, le vicende sportive e le vittorie, le rimonte e gli scontri, sono state capaci di creare una narrativa avvincente, che si inserisce di diritto nella lista delle rivalità storiche: se fino a ieri a tenere banco erano Nadal e Federer, oggi gli schieramenti si dividono (senza animosità) tra Alcaraz e Sinner, rivali sul campo ma amici nella vita. A
dimostrare il rinnovato interesse del pubblico ci sono i numeri: nel 2024 la U.S. Tennis Association (USTA) ha riportato delle entrate pari a 623,8 milioni di dollari, la cui grande maggioranza deriva da un unico evento, gli US Open. Risultati che superano del 40% quelli del 2019 (l’ultimo anno prima della pandemia da Covid), che sono in parte dovuti alle sponsorship e ai diritti televisivi, ma che vedono il fattore principale di crescita nell’aumento della vendita dei biglietti, che rispetto al 2015 è salita del 75%. Un pubblico più grande e più interessato significa automaticamente per le maison un nuovo audience da poter raggiungere: una fetta di consumatori che è, probabilmente, alto-spendente, considerati i costi dei biglietti e, più genericamente, il costo dello sport stesso, non uno dei più democratici e inclusivi quando si parla di allenamenti, attrezzature e via discorrendo.
«Certo, il tennis è uno sport costoso da praticare quotidianamente, ma parte della fascinazione che esercita sulla moda è dovuta anche ad altro» spiega Sara Moschini, head of fashion del sito web di Grazia. «Si tratta di uno sport nato come aristocratico, praticato nei club, e che è più legato di altri al concetto di uniforme, e a delle regole precise che si rispettano anche oggi come il vestirsi di bianco a Wimbledon, per dirne una. Tra i capi più utilizzati in partita ce ne sono alcuni, come la polo con un micro logo o la gonna a pieghe che sono vicine a un’estetica preppy (quella legata alle scuole preparatorie dell’Ivy League, frequentate dai ceti più benestanti della società statunitense, ndr)». E in effetti, tra gli amanti di lunga data dello sport, nella moda, c’è la “Papessa” Anna Wintour, oggi Chief Content Officer di Condé Nast ma fino a ieri direttrice della Bibbia della moda, Vogue US. Wintour segue con una certa costanza i principali tornei, pratica lo sport, ed è amica di lunga data di Roger Federer, ed è indubbio che il mondo di riferimenti estetici assai Wasp nel quale il tennis si colloca, abbiano una loro precisa traduzione modaiola anche nella vita reale, fuori dal campo.
L’attrazione tra i due poli non è certo a senso unico: se i giocatori di tennis di ambo i sessi si prestano con piacere alle collaborazioni di questo tipo è anche perché, secondo Forbes, questo tipo di accordi sono piuttosto remunerativi. Secondo la rivista, nove dei dieci giocatori più forti al mondo nel 2025 hanno guadagnato di più tramite le sponsorizzazioni che attraverso le vittorie ai tornei, mentre altri come Andrey Rublev e Taylor Townsend hanno deciso di lanciare i propri brand. Un cambio di paradigma che potrebbe mettere in difficoltà i brand che canonicamente hanno vestito il tennis – quelli del comparto sportivo – e costringerli alla rincorsa. Lo sostiene nella sua newsletter Sporstverse il giornalista Daniel Yawn Miller, e lo ribadisce anche Sara Moschini. «In un momento nel quale assistiamo ad un rinascimento del tennis, i brand sportivi non hanno ancora delle linee di abbigliamento particolarmente “modaiole” che possano catturare l’interesse di un pubblico più ampio, a parte alcune sporadiche collaborazioni. In un momento nel quale il tennista del caso non ha di per sé uno stile peculiare, come André Agassi ieri o Naomi Osaka oggi, capaci di indirizzare e influenzare lo sviluppo delle linee, l’offerta deve migliorare, perché il momento è quello giusto».