La Coppa del Mondo a 48 squadre ha generato un’ondata di naturalizzazioni, soprattutto nelle Nazionali asiatiche

Un incentivo facilitato dall'attrattività di alcuni campionati, dove molti calciatori (spesso sudamericani) iniziano nei club e finiscono per rappresentarne la Nazionale.
di Redazione Undici 12 Novembre 2025 alle 17:47

Questione di incentivi. Fino all’ultimo Mondiale, per certe Nazionali la qualificazione aveva sempre avuto connotazioni proibitive: strette nella morsa fra le big del continente, che puntualmente non mancavano all’appello, e un numero limitato di slot per il grande evento. Dal 2026 però cambia tutto. Da 32 a 48 squadre. Con i nuovi posti garantiti in larghissima parte – anche per ragioni economiche, non giriamoci attorno – alle federazioni continentali meno rappresentate: Africa, America centrale e Asia. Soprattutto quest’ultima ha intuito con lungimiranza le prospettive del nuovo format. Perché maggiori possibilità di partecipare ai Mondiali, significano anche maggiori incentivi a fare in modo che questo avvenga davvero. Ingegnandosi, investendo sul movimento. E quando ciò non basta, attirando talenti dall’estero.

È una tendenza sempre più ricorrente, a partire da quelle Nazionali con un bacino di giocatori limitato ma sostenute da amministrazioni favorevoli a rilasciare la cittadinanza per meriti sportivi. Dagli Emirati Arabi al Qatar, passando per l’Indonesia. In alcuni casi – come nel Sudest asiatico – si fa di necessità virtù a partire dal proprio passato coloniale: si pensi a Jay Idzes, difensore del Sassuolo nato in Olanda e oggi capitano della Nazionale di Giacarta. In altri, a fare la differenza è l’attrattività economica dei rispettivi campionati: succede allora che molti giocatori, spesso dal Brasile o dal resto del Sudamerica, migrano nella penisola arabica e dopo aver fatto fortuna con il proprio club iniziano il processo di naturalizzazione.

I casi sono molteplici. Da Lucas Mendes a Edmilson Junior, da Ro-Ro a Sebastian Soria (tutti arruolati per il Qatar). Mentre gli Emirati arabi uniti, che giovedì si giocheranno lo spareggio contro l’Iraq sono pronti a schierare un undici nato lontano da Abu Dhabi per più del 50% degli interpreti: Luanzinho, Caio Lucas, Nicolas Gimenez, Caio Canedo, Ruben Amaral, Marcus Meloni. Praticamente un’esotica reunion del Brasileirão. E ferme restando le regole sulle apparizioni ufficiali con la Nazionale d’origine – cosa assai improbabile, in un’élite calcistica come la Seleção – non c’è nulla che vieti questi meccanismi di spesa all’ingrosso. Anzi: l’apertura della FIFA incoraggia a intraprendere tutte le strade possibili per qualificarsi ai Mondiali.

In termini di risultati sportivi il salto di qualità è sotto gli occhi di tutti: all’edizione americana dell’estate prossima ci saranno molte prime volte – tra cui l’Uzbekistan di Fabio Cannavaro, la Giordania o Capo Verde, con storie molto diverse fra loro. E per altre Nazionali senza un passato calcistico di rilievo, come appunto l’Indonesia, esserci andati vicino come non mai è il viatico per un percorso che guarda al lungo periodo. “L’espansione delle squadre ha alimentato questa propensione alla naturalizzazione”, spiega al Guardian Shaji Prabhakaran, membro del comitato esecutivo dell’Asian Football Confederation. “Più slot ai Mondiali significano più speranza e opportunità per le Nazionali di tutto il mondo. Percepiscono che seguendo un programma strutturato di naturalizzazioni potranno dare spinta al loro intero movimento, migliorando in qualità, risultati e performance”. E giocare sotto i riflettori della Coppa del Mondo, si sa, è il sogno di tutti. Senza scomodare tutto il resto.

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