Le ATP Finals sono cominciate nello stesso modo in cui sono finite. L’inizio era tutto in un’immagine: Jannik Sinner e Carlos Alcaraz che allungano le braccia sul trofeo. È terminata con Sinner che è stato più abile dell’altro. Lo aspettavamo, lo sapevamo: il Sincaraz come unico e possibile epilogo di una stagione incentrata su un inevitabile dualismo. Una specie di spareggio: due titoli Slam a testa nel corso del 2025, il “quinto Slam” a decidere chi si prendeva l’ultima soddisfazione dell’anno – e cinque milioni di dollari. Numero uno contro numero due del ranking, oppure – per aggirare la rigidità delle statistiche – due numeri uno a confronto.
Jannik ha vinto le sue seconde Finals di fila, questa volta con un significato forse ancora maggiore: non c’era più il Fritz dello scorso anno, dall’altra parte della rete c’era la sua nemesi. Non si erano mai incontrati alle Finals, lo avevano fatto tanto nel corso dell’anno: altre cinque, e solo una volta (a Wimbledon) aveva avuto la meglio l’italiano. Sinner ha fatto 31 – le vittorie consecutive sul cemento indoor: ultima sconfitta, la finale 2023 a Torino contro Djokovic – ma soprattutto si è ripreso una sorta di rivincita sul cemento, dopo le vittorie dello spagnolo a Cincinnati (anche se per ritiro di Jannik) e New York.
Per una settimana, Torino ha vissuto all’ombra delle due “Moli” tennistiche, respirando aria di attesa attorno al destino inevitabile che i due si sarebbero affrontati – molto più rispetto allo scorso anno, quando Alcaraz a sorpresa aveva vinto appena un incontro per essere eliminato già nella fase di round robin. Jannik è ormai di casa qui all’Inalpi Arena: la sbornia generale per la presenza del beniamino di casa ha fatto spazio a un sentimento più maturo, di consapevolezza. Dal capoluogo piemontese passa un pezzo di storia del tennis, e questa storia non può essere tale senza un antagonista: quel Carlos Alcaraz che il pubblico italiano ha prima accolto con freddezza per poi, invece, riconoscergli il dovuto.
È successo qualche minuto prima dell’ultimo impegno di Sinner nel round robin, contro Shelton: la sera prima lo spagnolo aveva sconfitto l’altro italiano delle Finals, Lorenzo Musetti, interrompendo così la corsa del carrarino. Quel successo aveva permesso ad Alcaraz di riprendersi, solo una settimana dopo averlo perso, il privilegio di guardare tutti gli altri dall’alto in basso nel ranking ATP: la cerimonia di “incoronazione”, al venerdì, si è tradotta alla fine in una vera e propria attestazione di grandezza da parte del pubblico torinese, con applausi convinti e sinceri. È risuccesso per la premiazione dopo la finale, con un vero e proprio boato per lo sconfitto. Un pubblico tifoso sì, ma sportivo e consapevole, appunto: consapevole che ci voglia un Alcaraz per misurare la straordinarietà di Sinner.
E in effetti i due non hanno fatto altro che lanciarsi messaggini di stima e di affetto a vicenda, per tutta la durata del torneo. «Sarebbe una bugia dire che sono super felice che non sia io il numero uno al mondo…», ha detto Sinner dopo la sua partita con Shelton. «Ma sono felice per Carlos, se lo merita: se dev’essere un altro a prendersi il primo posto nel ranking, sceglierei sempre lui. Ha una qualità incredibile e sta giocando a un livello altissimo, su qualsiasi superficie». Tra di loro c’è rispetto, è evidente: è una rivalità sana che porta i due a volersi migliorare a vicenda, con professionalità, perché entrambi sanno che un allenamento in meno o un colpo ripetuto senza la concentrazione giusta vuol dire perdere terreno nei confronti dell’altro. «Vedo più lui che mia madre…», ha scherzato Carlitos, e certo quel “vedere”, probabilmente, si può a ragione estendere anche ai suoi pensieri.
«Preparati bene per l’anno prossimo, perché io farò lo stesso», ha detto Alcaraz al suo avversario, tra il serio – il serissimo – e il faceto – mica tanto – subito dopo la finale. È quasi come se il tennis mondiale oggi sia un affare privato: Jannik e Carlos, Carlos e Jannik. Gli altri, sullo sfondo. È un male, è un bene? Chi lo sa: sappiamo però che quando i due si affrontano, lo spettacolo è garantito. Dopo due decenni di Big Three – quasi Four, a intermittenza – abbiamo imparato che il tennis possa sì essere scontato per qualche giorno/settimana, ma al tempo stesso produce una saga che rimarrà nel tempo. Il Sincaraz che, giuriamo, andrà on air ancora per parecchio tempo, in attesa – se ci sarà – di un terzo incomodo, non è poi la peggiore delle programmazioni.
Per certi versi, anche se Sinner ha dovuto scontare tre mesi di sospensione, è stato l’anno in cui se la sono giocata più alla pari, da quando sono entrambi ai vertici del tennis mondiale. Hanno perfezionato quello che una rivalità nello sport dev’essere: leale, appassionante, infinita. Si sono sfidati a distanza per una stagione intera, vincevano partite sapendo che dall’altra parte del tabellone il rivale stava facendo altrettanto. Lavoravano sui loro aspetti tecnici prendendo ispirazione a vicenda. Cercavano le soluzioni migliori perché essere i migliori, con l’altro in circolazione, non è mai scontato. E questa è forse la cosa più bella.